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Una nuova classe di farmaci per l’insufficienza cardiaca: gli ARNI

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Una nuova classe di farmaci per l’insufficienza cardiaca: gli ARNI

Enrico Bologna

 

Specialista in Medicina Interna, Gastroenterologia e Patologia generale.
Già Primario Ospedale Fatebenefratelli, Isola Tiberina, Roma.
Libero docente in Patologia Medica, Università di Roma “Sapienza”.


Riassunto

 Le difficoltà incontrate nel trattamento dell’ipertensione dell’anziano, caratterizzata da isolato o prevalente aumento della pressione sistolica e differenziale per rigidità aortica e spesso accompagnata da insufficienza cardiaca, ha spinto alla ricerca di nuove molecole. Dopo i deludenti risultati delle sperimentazioni condotte con farmaci capaci di far aumentare i livelli dei peptidi natriuretici (Candoxatril e Omapatrilat) la ricerca si è rivolta verso altre sostanze dotate di questo effetto. Una di queste nuove molecole (LCZ696), ottenuta dall’unione di porzioni di Valsartan e di un profarmaco di Neprilysin (endopeptidasi neutra), ha inaugurato la nuova classe degli Angiotensin Receptor blockade and Neutral endopetidase Inhibitors (ARNI) che uniscono gli effetti di un inibitore recettoriale di Angiotensina con quelli di una peptidasi che inibisce la degradazione dei peptidi natriuretici. Lo studio clinico  PARAMETER, condotto su soggetti con insufficienza cardiaca, ha dimostrato che LCZ696 riduce in misura significativa la letalità per cause cardiovascolari e la  necessità di ricoveri per questi pazienti.

 

Summary

Systolic hypertension with increased pulse pressure due to arterial stiffness is frequent in elderly people, often associated with heart failure, and difficult to treat. After the disappointing results obtained with Candoxatril and Omapatrilat, a molecule of the novel class of drugs combining the actions of ARB and of an inhibitor of natriuretic peptide degradation,Angiotensin Receptor blockade and Neutral endopetidase Inhibitors (ARNI) is under sperimentation. This molecule (LCZ696) is composed by a Valsartan moiety and a moiety of a prodrug of Neprilisyn (a neutral aminiopeptidase inhibitor). The efficacy and safety of this drug in long-term survival and frequency of hospitalizations of patients with heart failure was confirmed by the PARAMETER Study. 

 

Il trattamento farmacologico dell’ipertensione arteriosa ha reso possibile una significativa riduzione del rischio di morbilità e di letalità per ictus, cardiopatia ischemica, nefropatia cronica e insufficienza cardiaca. Ma l’ipertensione arteriosa è tuttora  responsabile ogni anno di oltre nove milioni di decessi nel mondo per cause cardiovascolari 12,13. Questo parziale fallimento può essere messo in rapporto con varie cause, prima fra tutte la percentuale ancora elevata di soggetti con ipertensione non diagnosticata, non trattata o trattata in modo inadeguato. Un’altra e sempre più importante causa è rappresentata dal crescente numero di soggetti anziani, oltre un terzo dei quali presentano ipertensione arteriosa, spesso solo o prevalentemente sistolica. Infatti il trattamento di questa forma di ipertensione, la cui efficacia è dimostrata da numerose ricerche, è notoriamente difficile. Un crescente numero di ipertesi soprattutto anziani, inoltre, presenta insufficienza cardiaca di varia entità conseguente a cardiopatia ischemica o ad esiti di infarto del miocardio.

Queste considerazioni hanno spinto a studiare nuove modalità di trattamento per le forme più “difficili” di ipertensione, in particolare quelle che si accompagnano a insufficienza cardiaca, ricercando nuovi farmaci capaci di correggere le modificazioni emodinamiche proprie di queste forme.

Mentre nel giovane l’ipertensione è in genere dipendente da aumento della gittata cardiaca e delle resistenze periferiche, nell’anziano il meccanismo  prevalente è rappresentato da ridotta elasticità delle grandi arterie e in particolare dell’aorta. Ne conseguono aumento della pressione sistolica e della velocità del flusso sistolico insieme a riduzione della pressione diastolica per deficit del richiamo elastico aortico e per riduzione del volume di sangue presente nell’aorta all’inizio della diastole. Si ha così aumento della pressione differenziale e della velocità di flusso arterioso, che sono predittori indipendenti di eventi cardiovascolari (letalità, infarto del miocardio, ictus, fibrillazione atriale, insufficienza renale e di declino cognitivo) 24,29.

Finché l’aorta mantiene la propria elasticità la pressione sistolica e la pressione differenziale vengono amplificate mentre il flusso sanguigno procede verso le arterie periferiche, così che nell’arteria brachiale la pressione misurata con lo sfigmomanometro supera di circa 10 mm Hg quella aortica 14. Con la perdita di elasticità delle pareti aortiche questa amplificazione si riduce fino ad annullarsi: una elevata pressione sistolica brachiale indica che valori ugualmente elevati interessano l’aorta, ed è stato ripetutamente osservato che la pressione centrale. più ancora di quella brachiale, presenta una forte correlazione con il rischio di danni degli organi bersaglio 10,24,25. In particolare, la rigidità delle grandi arterie, che amplifica l’entità e la velocità di propagazione dell’onda di pressione sistolica, determina un precoce ritorno delle onde di riflessione con ulteriore aumento della pressione sistolica, della pressione differenziale e del carico ventricolare sinistro. Questo accresciuto carico pulsatile è causa di ipertrofia e fibrosi ventricolare sinistra e di disfunzione endoteliale favorente l’aterosclerosi. Una condizione patologica tipicamente caratterizzata da queste alterazioni è l’insufficienza renale cronica, che è  associata ad un aumentato rischio di insufficienza cardiaca, il cui principale meccanismo patogenetico è rappresentato da ipertensione prevalentemente sistolica e da aumento della pressione  differenziale15.

Un recentissimo studio osservazionale multicentrico multietnico è stato condotto per 3,5 anni su 2.602 soggetti nefropatici senza segni di insufficienza cardiaca al momento dell’arruolamento. La velocità  dell’onda sistolica carotide-femorale, indice gold-standard di rigidità delle grandi arterie, è risultata essere un indicatore indipendente e significativo del rischio di ricovero per insufficienza cardiaca. Altrettanto significativamente correlate al rischio di insufficienza cardiaca sono risultate la pressione brachiale sistolica e la pressione differenziale 7. Una indiretta conferma clinica di questa correlazione deriva dal rilievo  più volte confermato che i betabloccanti, i quali rispetto ad altri antiipertensivi hanno minor efficacia sulla pressione aortica, sono anche i meno efficaci nel ridurre il rischio di coronaropatie, di ictus e di letalità negli anziani ipertesi 2,27,28,31.

Questa ed altre numerose osservazioni hanno rappresentato uno stimolo alla ricerca di nuovi mezzi capaci di  agire in modo mirato sulla rigidità arteriosa, nella speranza di ottenere così un effetto “antiinvecchiamento” sull’apparato cardiovascolare.  Con questo intento sono state prese in esame molecole capaci di interferire con i meccanismi che sono al’origine delle alterazioni emodinamiche sopra ricordate. Fra tali ricerche grande interesse hanno suscitato quelle sui peptidi natriuretici.

Il sistema dei peptidi natriuretici (Natriuretic Peptide, NP) è costituito da tre molecole strutturalmente simili (Fig. 1) ma prodotte da geni distinti: il peptide natriuretico atriale (Atrial Natriuretic Peptide, ANP) e il peptide natriuretico atriale tipo B, (B-type Natriuretic Ppeptide, BNP) sono prodotti dai cardiomiociti e liberati per effetto della dilatazione delle camere cardiache. Il peptide natriuretico tipo C (C-type Natriuretic Peptide, CNP) è prodotto dall’endotelio arterioso e dalle cellule renali in risposta allo stimolo rappresentato da citochine. BNP, che è prodotto in forma inattiva anche dai fibroblasti cardiaci, viene attivato in circolo, Tutti i NP svolgono potenti azioni sul sistema cardiovascolare (natriuresi, vasodilatazione, inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, effetto inotropo negativo, attività antiproliferativa e antifibrotica, quest’ultima svolta soprattutto da BNP e da CNP: nell’insieme, quindi, una ampia gamma di attività protettive  cardiorenali 16. Il catabolismo dei NP  è operato da Neprilysin* o endopeptidasi neutra (Neutral EndoPeptidase (NEP), che degrada anche altri peptidi vasoattivi quali Angiotensina I, Bradikinina ed Endotelina. La NEP è ampiamente espressa nell’organismo (reni, polmoni, cervello, testicoli, endotelio, miociti vascolari e cardiaci, fibroblasti, neutrofili, adipociti).

 (*) Neprilysin, denominata anche Endopeptidasi Neutra (Neutral EndoPeptidase (NEP), Membrane Metallo-Endopeptidase (MME), Cluster of Differenttiation 10 (CD10) e Common Acute Lynphoblastic Leukemia Antigen (CALLA), è una metallo proteinasi zinco-dipendente che scinde i peptidi al sito aminico del residuo idrofobico inattivando in tal modo vari ormoni peptidici tra cui Glucagone, Encefaline, Sostanza P, Neurotensina, Ossitocina e Bradichinina. Neprilysin degrada anche il Peptide amiloide beta, implicato nalla genesi della malattia di Alzheimer.

Già da alcuni anni varie osservazioni condotte con particolari tecniche di laboratorio (soprattutto spettrometria di massa) hanno dimostrato che sia nell’insufficienza cardiaca congestizia sia nell’ipertensione arteriosa gli elevati livelli plasmatici di NP misurati con i comuni metodi immunoreattivi sono riferibili  a forme non “mature” e comunque biologicamente inattive o ipoattive 3,9,20,22. In queste condizioni, quindi, la produzione di NP deve considerarsi ridotta o comunque inadeguata.

Inizialmente considerati solo come validi indicatori diagnostici e poi anche predittivi dell’insufficienza cardiaca, i peptidi natriuretici atriali sono ora visti come potenziali innovativi agenti terapeutici per varie malattie cardiovascolari. In base ai risultati di recenti ricerche, inoltre, ANP e BNP hanno dimostrato di possedere anche rilevanti effetti metabolici: infatti essi inibiscono lo sviluppo degli adipociti e convertono gli adipociti bianchi in bruni, attivano l’adiponectina, incrementano il consumo di O2, rallentano lo svuotamento gastrico, riducono i livelli di insulina e migliorano la tolleranza glicidica. Considerando queste  acquisizioni, l’ipertensione arteriosa, l’insufficienza cardiaca e vari aspetti della sindrome metabolica possono essere tutte considerate condizioni legate, sia pure in diversa misura, anche ad un deficit di peptidi natriuretici 16.

Conferme a questa ipotesi sono venute da studi su cani, in cui la somministrazione di BNP ha favorevolmente modificato stati sperimentali di malattie cardiovascolari 5 e su ratti, nei quali l’aumentata espressione cardiaca di BNP ottenuta agendo sul relativo gene ha corretto la funzione e la struttura del miocardio alterate da cardiopatia sperimentalmente indotta 6. Sono questi i motivi per i quali ANP è stato ammesso per il trattamento dell’insufficienza cardiaca acuta in Giappone e BNP è disponibile per la stessa indicazione negli USA.

Per ottenere un persistente incremento dei NP sono stati condotti tentativi con un inibitore selettivo della NEP, il Candoxatril. Questa molecola determina aumento dose-dipendente dei livelli plasmatici di ANP e natriuresi ma anche un inaspettato aumento di Angiotensina II 21; l’effetto sui valori pressori di soggetti ipertesi è stato pressoché nullo nonostante un significativo aumento di ANP circolante 4. Ugualmente inconsistenti sono stati i risultati ottenuti con Candoxatril  in studi sperimentali e clinici relativamente all’insufficienza cardiaca 16.  Questi deludenti risultati trovano spiegazione nel fatto che la NEP neutralizza sia i peptidi natriuretici sia vari peptidi vasoattivi aventi funzioni opposte a quelle dei NP: tra questi Angiotensina 1-7, che contrasta l’azione vasocostrittrice di Angiotensina II; inoltre catabolizzano Endotelina (ET-1) e Bradichinina (BK), che agiscono con opposti effetti sulla pressione arteriosa.

Nell’intento di indurre aumento dei NP prevenendo quello di Angiotensina II, la ricerca si è allora diretta verso molecole capaci di inibire sia ACE aia NEP e pertanto definite come inibitori delle vasopeptidasi (VasoPeptidase Inhibitors, VPIs)28.

Tra queste la molecola più largamente studiata è stata Omapatrilat, la cui somministrazione determina riduzione dei livelli di Angiotensina II e aumento  di quelli di vari peptidi vasodilatatori quali ormoni natriuretici atriali, bradichinina  e adrenomedullina, dei quali ostacola la degradazione. In soggetti con ipertensione sistolica questo farmaco (80 mg/die) a confronto con Enalapril (40 mg/die)  dopo un trattamento di 12 settimane ha dimostrato una netta superiorità nel ridurre la pressione sistolica, la pressione differenziale e l’impedenza aortica. Questi risultati, non dipendenti da un maggior effetto antiipertensivo, dimostrarono che la rigidità aortica  è provocata almeno in parte da specifici meccanismi reversibili 21. Omaprilat non poté però entrare nell’uso clinico per un eccessivo rischio di effetti avversi (in particolare angioedema), ma dimostrò il beneficio  che l’associazione di un ACE-inibitore con una sostanza che induce aumento  dei NP può indurre sull’emodinamica dei grandi vasi. Gli studi su questo farmaco hanno inoltre permesso di dimostrare che l’aumento dei livelli di NP oltre a favorire la natriuresi riduce il tono simpatico, svolge effetto antiproliferativo e antiipertrofìco e inibisce la secrezione di aldosterone 21.

L’efficacia di farmaci come Omaprilat senza gli inconvenienti sopra ricordati viene ora ricercata con molecole capaci sia di inibire la NEP sia di bloccare il recettore dell’Angiotensina (Angiotensin Receptor, AR): i bloccanti del recettore di Angiotensina (Angiotensin Receptor Bìockers (ARB),  infatti, non interferiscono come gli ACE-inibitori sul metabolismo di BK e sono causa molto più rara di angioedema 1.

Si sta così sviluppando una nuova classe di farmaci che associano le proprietà degli inibitori di NEP e degli ARB: gli Angiotensin Receptor blockade and Neutral endopetidase Inhibitors (ARNI). Questa associazione unisce gli effetti inibenti dell’ARB sulla vasocostrizione, l’ipertrofia dei miociti e la fibrosi miocardica con quelli diuretici, vasodilatatori, antiipertrofici, antiproliferativin e inibenti il RAS svolti dai peptidi natriuretici atriali.

La molecola più ampiamente studiata fra gli ARNI è LCZ696. Si tratta di una molecola costituita in rapporto 1:1 da  Valsartan e dal profarmaco di  Neprilysin AHU377 (Sacubitril) (Fig.2). Studi sull’animale hanno dimostrato  che LCZ696 provoca aumento dei livelli plasmatici di cGMP, renina e Angiotensina II, confermando così l’efficacia del farmaco come inibitore di NEP e bloccante del recettore AT1 8. Gli studi clinici finora portati a termine hanno dimostrato che questa  molecola, confrontata con placebo e con Valsartan, è efficace sia in pazienti ipertesi in cui riduce in misura dose-dipendente la pressione sistolica, diastolica e differenziale durante l’intera giornata. sia in soggetti con insufficienza cardiaca con frazione di eiezione conservata 12. In queste ultime ricerche, condotte in confronto con Valsartan, LCZ696 ha dato luogo a significativi miglioramenti del volume atriale, della classe funzionale NYHA e della funzione renale indipendentemente dalla riduzione della pressione sistolica. La tollerabilità è apparsa analoga a quella di Valsartan e in particolare non sono stati osservati casi di angioedema 11,26.

Nell’ambito del Congresso ESC di Barcellona (30 agosto-3 settembre 2014) sono stati pubblicati i risultati dello studio PARADIGM-HF, condotto in 47 nazioni su 8.442 pazienti  con insufficienza cardiaca classe II – IV NYHA e frazione di eiezione inferiore a 35% e già in trattamento con la miglior terapia possibile. In questi soggetti l’efficacia a lungo termine di LCZ696 (200 mg/die) è stata confrontata con quella di Enalapril, 10 mg/die 19. Lo studio è stato interrotto dopo una mediana di 27 mesi per un evidente vantaggio ottenuto con LCZ696 relativamente all’end-point primario (morte per cause cardiovascolari o ricovero per insufficienza cardiaca): 21,8% con LCZ696 contro 26,5% con Enalapril, p< 0,001. In confronto con Enalapril, LCZ696 ha ridotto la letalità cardiovascolare del 20% (p<0,0000002), quella generale del 16% e i ricoveri del 21% (p<0,00004). I pazienti trattati con LCZ696 hanno presentato più frequentemente ipotensione arteriosa e angioedema di lieve entità ma meno spesso peggioramento della funzione renale, ipopotassiemia e tosse.

Mentre nuovi ARNI sono in fase iniziale di valutazione, si è in attesa dei risultati dello Studio multicentrico PARAMETER, che saranno disponibili nel 2015. Lo studio, della durata di un anno, riguarda 432 pazienti ipertesi ultrasessantenni in cui LCZ696 viene confrontato con Olmesartan. Endpoint  dello studio sono le variazioni della pressione sistolica aortica e della pressione differenziale aortica 29.

La disponibilità di farmaci della classe ARNI, che sembrano rappresentare un importante progresso per il trattamento dell’insufficienza cardiaca, costituisce la più recente ma verosimilmente non ultima tappa di una serie di tentativi, iniziati negli anni ’80 con Idralazina e con ACE-inibitiori e proseguita con antialdosteronici e beta-bloccanti, tentativi tutti originati dal continuo miglioramento delle conoscenze nella fisiopatologia cardiovascolare e dall’applicazione di queste conoscenze in terapia.

 

 

Fig. 1. Struttura dei tre peptide natriuretici (da 14).

 

a   Sacubitril.svg Valsartan.svg  b

Fig. 2.    LCZ696: Sacubitril (a) + Valsartan (b)

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