Il vino e la salute

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IL VINO E LA SALUTE
Effetti positivi delle dosi moderate

Publio Viola

Specialista in Gastroenterologia, Medicina tropicale e Scienza dell’alimentazione
Primario Medico Emerito - Ospedale San Giovanni, Roma
Libero docente in Medicina Sociale - Università di Roma “Sapienza” 
Presidente Sezione Medico Nutrizionale dell’Accademia dell’Olivo e dell’Olio.


Il vino ha da sempre occupato un posto di rilievo nella cultura e nella gastronomia delle civiltà mediterranee. In esso si è visto infatti non solo una bevanda gradita al palato, ma anche un dono della Natura attraverso il quale l’uomo poteva avvicinarsi alla Divinità, tema che ritroviamo in tutte le mitologie: Osiride in Egitto, Dioniso in Grecia, Bacco a Roma, Saturno nelle civiltà italiche. 

La conoscenza del vino è quindi antichissima, ma la conoscenza dell’alcool doveva ancora tardare a venire. Nel 1484 Arnaldo da Villanova riuscì ad isolare dal vino, tramite la distillazione, la ”quintessenza” cioè il quinto elemento astrale integratore dei quattro elementi della filosofia empedoclea-platonica (terra, aria, acqua e fuoco) che chiamò “acqua di vita” o “aquavitae”). Poiché in arabo si definiva “al kohol” una polvere finissima di solfuro di antimonio che veniva usata dalle donne per tingersi le ciglia e le sopraciglia, e poiché il solfuro di antimonio veniva ricavato per sublimazione, processo molto affine alla distillazione, entrò in uso definire “alcool” l’operazione chimica della distillazione.

 

NOTIZIE STORICHE

Il vino è una soluzione di alcool in acqua in cui la gradazione alcolica esprime la quantità in millilitri di alcool etilico presente in 100 millilitri di vino. Per risalire al contenuto in grammi si moltiplica la quantità dei gradi per il peso specifico dell’alcool che corrisponde a 0,8  (12 gradi corrispondono quindi a 12 x 0,8, cioè a 96 grammi per un litro di vino).

Oltre all’alcool, nel vino sono presenti alcuni componenti minori che ne determinano l’aroma ed il sapore.  La colorazione del vino è data dalla presenza di sostanze pigmentarie (flavoni per il colore rosso e xantoni per il colore giallo).

La vite cresceva in Europa in epoche antichissime, come attestano alcuni reperti fossili risalenti a più di un milione di anni fa. L’uso del vino si perde perciò nella notte dei tempi, anche se le prime notizie risalgono agli Assiri ed ai Sumeri i quali ci hanno lasciato tracce di testimonianze relative agli effetti positivi e negativi esercitate da questa bevanda.

Fin dall’antichità il vino ha comunque occupato un posto di rilievo nella vita delle popolazioni. In esso si è visto un mezzo di sostentamento, ma soprattutto un dono di Dio, tema che ricorre in tutte le civiltà mediterranee: Osiride in Egitto, Dioniso in Grecia, Saturno nelle civiltà italiche, Bacco a Roma.

Anche la Sacra Scrittura si occupa del vino e fissa la sua scoperta nel 3000 a. C. e, mentre biasima Noè per averci dato la prima rappresentazione dell’ubriachezza, loda il patriarca per averci insegnato a coltivare la vite. La mitologia greca fa invece risalire al 1400 a. C. l’avventura di Stafìlo, figlio di Dioniso, il quale, accorgendosi che una delle sue capre tornava all’ovile ad un’ora tarda e particolarmente allegra, la volle seguire e così poté osservare che mangiava un frutto sconosciuto, identificato con l’uva. La raccolse e ne preparò un succo cui i greci dettero il nome di “vinos” mentre il nome di stafìle ancora oggi significa “uva”.

Inizialmente il vino prodotto era di qualità scadente e spesso veniva modificato il suo sapore mescolandolo con acqua, spezie ed anche formaggio grattugiato. Godeva però di grande prestigio in quanto la sua assunzione avvicinava gli uomini agli dei e per questo motivo nelle feste dedicate a Bacco (baccanali) veniva bevuto abbondantemente. La leggenda narra comunque che Bacco, figlio di Giove, in un suo viaggio in Italia, portò a Roma la vite dando inizio alla sua coltivazione ed alla produzione del vino che veniva celebrato nelle festività delle vendemmia, definite appunto “vinalia” dedicate a Giove.

Il vino era per i romani principalmente un complemento del pasto. Solo raramente veniva infatti consumato fuori pasto, nel qual caso si trattava di “meditazione” che si accompagnava a momenti di conversazione, di discussione, di lettura e di canto. Esistevano però le “tabernae vinariae” dove venivano serviti con relativa abbondanza vini di qualità mediocre.

La cultura della vite e del vino, nella civiltà romana, così come quella greca, ebbe comunque un grande rilievo sociale, tanto che Orazio amava concludere i suoi interventi con la frase rimasta famosa “nunc est bibendum”.

Con la caduta dell’Impero Romano l’Europa fu devastata dai barbari che non conoscevano le tecniche della coltivazione della vite. Cadde così l’abitudine del bere e fu soltanto il sorgere dei monasteri che consentì di salvare la vite in quanto il vino (sangue di Cristo) serviva per le celebrazioni della messa, e furono sempre i monaci che, oltre a consumare il vino nelle cerimonie, lo offrirono ai pellegrini di passaggio.

Con il tempo tuttavia la viticoltura si diffuse gradualmente in tutta l’Europa e, mentre miglioravano le tecniche di coltivazione, il vino divenne una bevanda popolare delle popolazioni mediterranee.

Nel 1484 Michele Savonarola, medico della famiglia degli Estensi, riferì che Arnaldo da Villanova e Raimondo Lullo ritenevano di essere riusciti ad isolare, tramite la distillazione del vino, la “quintessenza”, cioè il quinto elemento astrale integratore della filosofia platonica (terra, aria, acqua e fuoco), molto più attiva del vino, sia come tonico che come stimolante. Poiché in arabo si definiva “al kohol” una polvere finissima utilizzata dalle donne per ungere le ciglia e le sopracciglia, preparata mediante il processo di sublimazione molto affine alla distillazione,  entrò in uso definire “alcool” l’operazione chimica della distillazione. Nel 1500 Teofrasto Paracelso la applicò al vino e scrisse “alcohol vini” per indicare la parte essenziale (e più nobile) del vino.

Con la diffusione del vino, ben presto si affacciò il concetto dei rapporti vino-salute ed infatti, fin dalle prime civiltà fu considerato un fattore sia di malattia che di guarigione.

A quest’ultimo proposito il grande medico greco Ippocrate precisava che il vino dolce appesantiva il capo, ma facilitava lo svuotamento dell’intestino, il vino bianco possedeva effetti diuretici ed era perciò indicato nei soggetti pletorici, infine, i vini allungati con acqua erano utili per combattere la febbre.   

A Roma, Celso riteneva utile il vino nell’emicrania e nella medicazione delle ferite e Plinio lo definì “saluberrimum” in quanto dal vino traevano giovamento le forze, il sangue ed il colorito degli uomini.  Galeno, nel suo trattato di medicina, cita trecento volte l’uso del vino per diverse  indicazioni terapeutiche.

Più tardi la Scuola Medica Salernitana nel famoso Regimen Sanitatis attribuiva al vino poteri medicamentosi affermando che “scaccia i vapori, scioglie le viscere piene, acuisce l’ingegno, rafforza la vista, affina l’udito e fortifica il corpo”.

Nel 1600 Francesco Redi, medico e poeta fiorentino, affermava  “Quanto errando e quanto va – nel cercar la verità – che dal vino lungi sta”, ma nello stesso tempo temeva i pericoli di un a eccessiva ingestione concludendo in un altro scritto “chi vuol morire beva”,

Nel 1800 Luigi Pasteur  affermò che il vino era la più igienica delle bevande, mentre un altro medico francese, Claude Bernard, riteneva che il vino, in opportune quantità, esercitasse effetti benefici come gradito stimolante dell’appetito e della digestione.

Molti altri (studiosi e gastronomi) si sono occupati e si occupano ancora del vino,  e molto vi sarebbe da parlare di questa  gradevole bevanda che allieta la nostra mensa, ma che costituisce anche un pericolo per la nostra salute se assunto in maniera non controllata. Non deve essere dimenticata infatti la presenza dell’alcool che può determinare un danno acuto (ubriachezza e rischio di morte per incidenti) ed un danno cronico (distruzione del fegato e morte per cirrosi). In particolare i ragazzi sotto i 16 anni non devono bere perché l’organismo non ha ancora prodotto i meccanismi difensivi contro le bevande alcoliche.

Ci sembra giusto perciò invitare alla moderazione e concludere con la frase di S. Grisostomo

vinum opus dei, ebrietas opus diabuli


          
COMPOSIZIONE DEL VINO

Il vino è una soluzione di alcool in acqua in cui la gradazione alcolica esprime la quantità in millilitri di alcool etilico presente in 100 millilitri di vino. Per risalire al contenuto in grammi si moltiplica la quantità dei gradi per il peso specifico dell’alcool che corrisponde a 0,8  (12 gradi corrispondono quindi a 12 x 0,8, cioè a 96 grammi per un litro di vino).

Oltre all’alcool, nel vino sono presenti alcuni componenti minori che ne determinano i caratteri organolettici. Tale componenti minori sono rappresentati da alcoli superiori, da esteri dell’acido eptaenoico, dall’antanitrato di metile e dai polifenoli (come i tannini e le enocianine) e, quando il vino è invecchiato, dai prodotti di trasformazione degli alcoli, cioè da aldeidi ed esteri. La colorazione del vino è data dai pigmenti flavonici per il colore rosso e dai pigmenti xantonici per il colore giallo.

Alcuni componenti minori, come gli alcoli superiori (propilico, butilico, ecc.), sono dotati di una certa tossicità, tuttavia il loro contenuto nel vino non è mai tale da arrivare a determinare effetti pericolosi  per l’organismo. Inoltre, durante l’invecchiamento molti di questi componenti subiscono delle trasformazioni chimiche che ne diminuiscono la tossicità, mentre, al contrario, ne accrescono i caratteri organolettici, particolarmente il profumo.

Fino non molto tempo fa gli effetti esercitati dal vino (positivi e negativi) venivano attribuiti dai nutrizionisti solo al suo contenuto alcolico e tutte le sue attività sull’organismo si ritenevano collegate a detto contenuto. Attualmente, grazie al progredire delle conoscenze scientifiche, si sa che molti degli effetti positivi attribuiti alle dosi moderate di vino sono in realtà determinati dai componenti minori e precisamente dai polifenoli (o, più esattamente, composti fenolici).  

I composti fenolici del vino non hanno infatti soltanto un ruolo nel determinismo delle qualità organolettiche, ma svolgono anche importanti attività biologiche, soprattutto come agenti antimicrobici ed antiossidanti. Nel vino ricordiamo in particolare gli antociani (cianidina e delfinidina) a prevalente attività antimicrobica ed antiossidante, i tannini (procianidine) antiossidanti e gastroprotettivi ed i flavonoidi (kaemferolo, quercetina, catechina, miricetina) antiossidanti ed anticancerogeni. Infine, notevole interesse ha recentemente suscitato un altro polifenolo appartenente alla classe degli stilbeni, il trans-resveratrolo, dotato di azione ipocolesterolemizzante, antiaggregante piastrinica ed antitumorale. Secondo alcuni studiosi viene però rilevato che il contenuto in resveratrolo nel vino è piuttosto limitato e sarebbe anche scarsamente assorbito dall’intestino. Gli effetti benefici sarebbero svolti perciò prevalentemente dalla quercetina e dalla catechina presenti invece in quantità rilevanti. Questi due polifenoli avrebbero dimostrato inoltre di possedere un’attività due volte superiore a quella del resveratrolo.

Il quantitativo dei polifenoli nel vino può variare a seconda delle zone di produzione e dei sistemi di vinificazione, ma va comunque sottolineato che detto quantitativo è superiore a quello presente nell’uva perché aumenta durante il processo della fermentazione.

 

METABOLIZZAZIONE DELL’ALCOOL

Nel nostro organismo l’alcool subisce una prima metabolizzazione a livello dello stomaco (first pass) ad opera di una alcool-deidrogenasi  presente nella zona pre-pilorica. Questo fatto spiega perché l’alcool assunto a digiuno (e quindi con un rapido transito nello stomaco) determini una maggiore elevazione dell’alcolemia rispetto a quanto si verifica a stomaco pieno.  Deve essere puntualizzato a questo proposito che la descritta attività alcool-deidrogenasica dello stomaco è meno efficiente nella donna rispetto all’uomo e questo spiega (in parte) la minore tolleranza femminile dell’alcool. Tale attività viene notevolmente ridotta anche dal fumo del tabacco e dai farmaci gastro-lesivi.

Se non ossidato nello stomaco, l’alcool giunge ai tessuti, ma in particolare al fegato che viene impegnato in un intenso lavoro di metabolizzazione. Qualora però questo impegno diventi superiore alle proprie capacità, il fegato ne viene danneggiato in maniera irreversibile.

A livello cerebrale l’alcool determina i noti effetti di euforia, ma l’assunzione continuativa delle bevande alcoliche conduce ad una certa “tolleranza” caratterizzata dal mantenimento di un normale equilibrio psichico anche a dosi relativamente elevate. Questa tolleranza è tuttavia solo apparente e pertanto notevolmente pericolosa poiché si verifica esclusivamente a livello cerebrale, mentre, al contrario, a livello epatico non si verifica nessuna tolleranza collegata ad un possibile aumento dell’attività dell’alcool-deidrogenasi che, anzi, sembra  diminuire nell’alcolista cronico. Aumenta invece nel fegato l’attività di un altro sistema enzimatico, il MEOS (Microsomial Ethanol Oxidising System), che se da un lato conduce ad una maggiore ossidazione dell’alcool, dall’altro determina una dispersione di energia (calorie vuote) in quanto tale ossidazione non si accompagna ad un aumento della fosforilazione ossidativa con formazione di Acetil-CoA, cioè acetato attivo (e quindi produzione di ATP), ma conduce alla formazione di un acido acetico  non attivato che provoca una sofferenza del mitocondrio. Tale acido acetico, che non potrà essere metabolizzato nella catena respiratoria, diventerà tossico provocando una graduale alterazione della cellula epatica fino alla comparsa della cirrosi, senza che colui che eccede nel bere manifesti segni di sofferenza epatica, anzi, facendogli credere di “sopportare bene l’alcool”.

Come si è detto infatti, a livello cerebrale la tolleranza all’alcool aumenta consentendo gradualmente un più lungo mantenimento dello stato ottimale di coscienza, facendo ritenere al bevitore di essere in grado di “reggere bene il vino”. Si verifica così una situazione pericolosa in quanto il bevitore non si rende conto di aver perduto un importante meccanismo di difesa che lo faceva fermare a dosi minori e finisce quindi con l’aumentare gradualmente le quantità introdotte danneggiando il fegato il quale, lo ripetiamo, non aumenta i meccanismi di difesa ed inoltre non darà mai segni soggettivi di sofferenza, se non quando sarà troppo tardi.

 

QUANTITA’ CONSIGLIATE

La velocità di ossidazione dell’alcool è stata calcolata in 7-8 g/ora e pertanto una dose di 50 grammi (pari a circa mezzo litro di vino) richiede 6-7 ore per essere completamente metabolizzata. Nelle 24 ore un fegato normale non metabolizza più di 160-180 grammi di alcool (poco meno di due litri di vino)

La quantità massima di alcool tollerata nelle 24 ore per un individuo adulto in buone condizioni di salute corrisponde ad 1 grammo per kg di peso corporeo, inteso naturalmente come peso ideale e non gravato da eventuale obesità. Per quanto riguarda il vino (con una gradazione alcolica media di 12°) tale quantità corrisponde, per un uomo, a circa tre quarti di litro e, per una donna, a circa mezzo litro.

La quantità ottimale è però minore e corrisponde a 0,75 g per chilogrammo di peso nel maschio ed a 0,50 g nella femmina. Vale a dire, nelle 24 ore, a mezzo litro di vino nel maschio e ad un terzo di litro nella femmina, in quanto nella femmina esiste una più ridotta tolleranza all’alcool, legata non solo alla descritta minore attività del first pass gastrico, ma anche alla minore massa magra.       

Nell’infanzia (età prescolare e scolare) l’alcool deve essere severamente vietato in quanto in questa età la sua tossicità è 10 volte superiore a quella dell’adulto non essendosi ancora sviluppata la produzione degli enzimi detossicanti, tanto che in un bambino bastano già 0,6 g/kg per provocarne la morte (l’alcool-deidrogenasi e l’aldeide-deidrogenasi si formano infatti intorno ai 16 anni).

Nell’età avanzata le dosi devono essere ridotte sia perché con la senescenza l’organismo riduce gradualmente le sue capacità di detossicazione, sia perché l’alcool contribuisce ad aggravare la decadenza fisiologica degli organi. In particolare il cervello, oltre a subire una accentuazione dell’atrofia fisiologica della corteccia cerebrale, diventa più sensibile agli effetti dell’alcool,       

La gestante, specialmente nelle prime settimane, deve abolire le bevande alcoliche, mentre minor pericolo sembrerebbe esistere negli  ultimi 5 mesi. La limitazione dell’alcool durante tutta la gravidanza appare comunque sempre consigliabile in quanto consente un migliore sviluppo del feto, riducendo anche il rischio dell’aborto e del parto prematuro.

Un altro aspetto di notevole importanza è quello legato alla eventuale concomitanza di un’aggressione virale del fegato (epatite B ed ancor più epatite C) e va ricordato che purtroppo molto spesso tali affezioni sono del tutto asintomatiche. In caso di sieropositività per epatite l’interdizione dal vino deve essere assoluta poiché è stato dimostrato che anche minime dosi, pari ad un solo bicchiere al giorno, possono favorire l’instaurarsi di una epatopatia cirrogena, quando non di una neoplasia epatica. Si precisa a questo proposito che il vino presenta una maggiore attività cirrogena rispetto alle altre bevande alcoliche per la presenza del ferro.

  Ricordiamo infine che il fumo della sigaretta potenzia l’effetto dannoso dell’abuso alcolico riducendo l’attività alcool-deidrogenasica dello stomaco, ma soprattutto favorendo la comparsa di alcuni tumori (faringe, esofago).

 

INTERAZIONE CON I FARMACI

Come si è detto, l’alcool viene ossidato principalmente nel fegato attraverso la via dell’alcool-deidrogenasi ed, in caso di eccessiva introduzione, dalla via microsomiale (MEOS). Il sistema microsomiale del MEOS è fondamentale però anche per la metabolizzazione di vari gruppi di farmaci e quindi, una conseguenza dell’abuso alcolico è anche l’interferenza sui sistemi enzimatici che intervengono nel metabolismo di alcuni farmaci i quali possono subire una modificazione delle loro attività, oltre ad accentuare gli effetti negativi dell’alcool.

Tali interferenze possono in alcuni casi comparire anche nei bevitori moderati e/o negli eccessi occasionali. Riteniamo utile pertanto riportare le interazioni più importanti che si possono verificare con i medicamenti di maggiore impiego:

  Quanto esposto corrisponde alle interazioni con alcuni medicamenti di uso comune, ma un numero notevole di altri prodotti richiede altrettanta prudenza nel consumo delle bevande alcoliche. Deve inoltre essere rilevato che ogni giorno vengono messi in commercio nuove sostanze di cui non sempre sono conosciuti gli effetti collaterali e le interazioni con l’alcool. Sarà bene quindi usare sempre prudenza onde evitare di incorrere in spiacevoli inconvenienti.

 

MODALITA’ DI ASSUNZIONE E LIVELLI DI ALCOLEMIA

L’assunzione del vino (e degli alcolici in generale) a piccoli sorsi e la presenza del cibo nello stomaco rallentano l’elevazione dell’alcolemia e riducono i possibili effetti dannosi in quanto viene favorita l’attività alcool-deidrogenasica dell’antro gastrico (first pass). Si ricorda inoltre che l’assunzione della quantità globale di vino consentita nelle 24 ore va sempre suddivisa nei due pasti principali e non ingerita in una sola volta nella giornata.

Esistono anche individui che abitualmente non bevono durante i giorni lavorativi della settimana, ma bevono spesso abbondantemente in occasione di incontri con amici (alcolismo periodico o da weekend). In questo caso la quantità di alcool totale consumato nella settimana non è elevato, ma la concentrazione unica abbondante può determinare effetti acuti negativi di ordine psichico (ebbrezza alcolica con alterazioni del comportamento e pericolo di guida dell’automobile) e talora anche danni organici (pancreatite acuta, disturbi del ritmo fino a possibile arresto cardiaco e morte improvvisa).

Come già è stato spiegato, il livello dell’alcolemia può variare non solo in rapporto alla quantità di alcool ingerito ed al tempo dell’ingestione, ma anche in rapporto alla presenza o meno di cibo nello stomaco, e, naturalmente, alla differenza tra i due sessi. Riportiamo pertanto uno schema relativo alle variazioni orarie dell’alcolemia nei due sessi aventi un peso ideale (rispettivamente di 55 kg per la femmina e  di 70 kg per il maschio), correlata al numero delle assunzioni, a digiuno ed a stomaco pieno, di bevande alcoliche aventi un contenuto di alcool corrispondente ad un bicchiere di vino, cioè di 13  grammi.

Una credenza che deve essere sfatata è il ritenere che la pericolosità della assunzione di quantità elevate di vino sia legata prevalentemente alla mescolanza di vini diversi tra loro. Il danno infatti non è legato alla differenza delle bevande alcoliche, ma alla quantità totale di alcool ingerito. L’ingestione acuta di elevate quantità di vino (associata o meno ad altre bevande alcoliche) conduce infatti inevitabilmente ad un quadro comportamentale noto come ubriachezza. I disturbi più rilevanti in questo caso di etilismo acuto sono a carico del sistema nervoso e la loro gravità è strettamente correlata ai livelli di alcool presenti nel sangue e non ad eventuali componenti minori delle diverse bevande.

Per quanto concerne il tempo di normalizzazione dell’alcolemia e la possibile sommazione di effetti di diverse bevande alcoliche (il cosiddetto “effetto scala”) bisogna tenere presente che dopo l’assunzione a digiuno di una bevanda alcolica il tasso di alcolemia sale bruscamente raggiungendo un picco massimo in circa 30 minuti, quindi decresce lentamente con una media oscillante tra lo 0,10 e lo 0,15 ogni ora. Esiste pertanto un rischio (generalmente ignorato dal pubblico) di raggiungere un tasso alcolemico elevato anche bevendo quantità di alcool relativamente modeste, ma senza attendere il tempo sufficiente per la sua eliminazione tra una assunzione e l’altra. Bisognerebbe infatti attendere almeno un’ora tra una consumazione e l’altra per evitare tale sommazione, e questo appare importante soprattutto per quanto riguarda la guida automobilistica.

  A conclusione di questo capitolo ci sembra importante richiamare l’attenzione sul rischio della guida automobilistica in quanto non sempre chi ha superato i livelli di guardia si rende conto del suo stato di ebbrezza e crede di essere perfettamente idoneo alla guida del proprio automezzo, ma già a livelli di alcolemia dello 0,5 per mille esiste un aumentato senso di sicurezza che può condurre a manovre spavalde con forte incremento del rischio. Per questo motivo la legge italiana ha recentemente abbassato il limite massimo tollerato di alcolemia negli automobilisti da 0,8 per mille a 0,5 per mille, ma va anche rilevato che già a 0,5 per mille (livelli che si raggiungono con due bicchieri di vino assunti a digiuno, o con tre a stomaco pieno) diminuisce la capacità di adattamento all’oscurità, mentre è fortemente compromessa la valutazione degli ingombri stradali, della posizione del veicolo, della valutazione della distanza, della velocità e dei movimenti di guida. In molti soggetti infatti, specialmente nei giovanissimi e negli anziani, già sopra lo 0,2 per mille l’elaborazione mentale delle percezioni sensoriali è ridotta e spesso si verifica la tendenza a guidare in modo più rischioso.

  Ci sembra giusto infine ricordare che l’alcool non è presente soltanto nel vino, ma anche in altre bevande che spesso si associano al vino in occasione festività e di incontri, il cui contenuto dovrà sempre essere calcolato nella prevenzione del danno organico e degli incidenti di guida. Riportiamo qui una tabella che ne espone in grammi il contenuto percentuale:

                 

PRINCIPALI EFFETTI DEL VINO SULL’ORGANISMO

 

Apparato digerente

 

Il vino, ancor prima di essere ingerito, stimola per il suo bouquet tutta una serie di riflessi condizionati che conducono ad una attivazione delle secrezioni salivari, gastriche, pancreatiche e biliari. Il sapore del vino stimola poi le papille gustative della bocca che, attraverso il nervo vago, incrementano la secrezione cloro-peptica dello stomaco.

Quanto all’alcool, la sua presenza esercita un’azione di stimolo sulla secrezione gastrica per via indiretta, mediata cioè dalla liberazione dell’ormone gastrina. Una  azione eccito-secretiva diretta sembra invece venir svolta da alcuni componenti minori del vino, quali i peptidi, le amine e gli aminoacidi e, forse, anche dai polifenoli.

Nel complesso la digestione viene ad essere facilitata, ma si comprende anche come, nei soggetti affetti di gastrite o da ulcera gastro-duodenale, la stimolazione secretoria (specialmente a digiuno) possa risultare non vantaggiosa. Le dosi moderate invece esercitano nella maggioranza dei casi un effetto positivo ed anzi, in talune forme dispeptiche caratterizzate da digestione laboriosa e da inappetenza, un bicchiere di vino può risultare di notevole giovamento.

Lo stomaco nei soggetto sani non subisce alcun danno dalle quantità moderate di vino assunto ai pasti, ed anzi è stata descritta addirittura una attività protettiva nei confronti della gastrite ipersecretiva, forse per un’azione diretta dell’alcool sulla produzione locale della prostaglandina PGE1 o forse per un’azione specifica inibente esercitata da alcuni polifenoli sull’elicobacter pilori.

L’eccesso alcolico determina invece fenomeni irritativi della mucosa che gradualmente conducono all’atrofia gastrica con conseguenti turbe dell’assorbimento proteico, deperimento ed anemizzazione.
 
Il pancreas non subisce danni alle dosi ottimali, mentre è molto sensibile agli eccessi acuti in occasione dei quali si può verificare una pancreatite acuta anche mortale.

Il fegato non viene danneggiato dalle dosi ottimali nei soggetti sani, ma non possiamo tralasciare l’occasione per ricordare ancora una volta lassoluta interdizione del vino nei portatori del virus dell’epatite B e soprattutto dell’epatite C in quanto in questi casi l’alcool anche in piccole dosi potenzia enormemente l’attività epatolesiva del virus. E’ comunque ben nota la comparsa della cirrosi epatica nei forti bevitori, evento che non deve mai essere sottovalutato.

Le vie biliari non risentono effetti sostanziali dall’apporto alcolico che, anzi, a piccole dosi, sembra essere positivo. E’ stata infatti descritta una riduzione del rischio della calcolosi colesterolica nei bevitori moderati. Tale azione protettiva potrebbe derivare da una aumentata conversione del colesterolo in acidi biliari o forse da un maggior riassorbimento intestinale degli acidi biliari stessi (circolo entero-epatico). La quantità di alcol utile per la prevenzione della colelitiasi sarebbe compresa tra i 20 ed i 40 grammi pro die, pari a 200-400 ml di vino. Dosi superiori sembrano invece controproducenti, specialmente se si superano i 100 grammi di alcool.

  Non si può chiudere il capitolo dedicato all’apparato digerente senza ribadire ancora una volta che il vino  consumato in eccesso è una delle cause determinanti della cirrosi epatica e del cancro del fegato, oltre che del cancro della faringe e dell’esofago, specie se associato al fumo della sigaretta.

 

Apparato cardiocircolatorio

L’alcool a piccole dosi (vino in particolare) ha dimostrato di esercitare un’azione di prevenzione sulla comparsa dell’infarto del miocardio. Indagini epidemiologiche sull’uomo hanno infatti documentato che l’incidenza della coronaropatia appare ridotta con l’assunzione di moderate quantità di bevande alcoliche.

Per molto tempo è stato ritenuto che l’effetto protettivo fosse legato principalmente all’alcool e non al tipo della bevanda, effetto attribuito alla riduzione del colesterolo plasmatico totale cui si associa un aumento del colesterolo-HDL. Ciò tuttavia non spiega come mai gli scozzesi ed i finlandesi, che assumono birra e superalcolici, non presentino il medesimo grado di protezione che si osserva tra le popolazioni che consumano il vino.

Il vino si dimostra infatti più efficace della birra e dei superalcolici e già diversi anni fa uno studio internazionale aveva dimostrato come, posto a 1 il rischio di ammalare di infarto, detto rischio si manteneva quasi uguale con il consumo di superalcolici, mentre scendeva a 0,8 con l’apporto della birra ed a 0,4 con l’apporto del vino.

Questo studio è stato successivamente confermato da ricercatori inglesi i quali, esaminando la mortalità per infarto del miocardio in 18 paesi industrializzati, hanno evidenziato che l’Italia e la Francia presentano la più bassa incidenza statistica della malattia, ponendo in rilievo il fatto che gli italiani ed i francesi sono abituali consumatori di vino.

A questi proposito, quello che colpisce maggiormente l’attenzione è l’ormai noto “paradosso francese” dal quale si evince come la popolazione francese, pur conducendo una alimentazione simile a quella della popolazione americana (se non peggiore), presenti una mortalità vascolare nettamente inferiore, pari cioè ad un rapporto di 1 a 3. La spiegazione di questo paradosso non è semplice, ma non può non balzare all’evidenza che il fatto che i francesi sono buoni bevitori di vino (non di alcolici), in quantità molto maggiore degli americani, e, precisamente, circa 10 volte di più.

          

A questo punto dobbiamo chiederci: come agisce il vino, attraverso il suo contenuto di alcool o attraverso la presenza dei componenti minori?

Prima di procedere è necessario precisare che gli studi attuali hanno posto in evidenza come il semplice aumento del colesterolo plasmatico, conseguente ad un suo eccessivo apporto alimentare o ad un eccessivo apporto di acidi grassi saturi, non sia sufficiente a spiegare la patogenesi della malattia coronarica nella quale entrano in gioco altri fattori, ed in particolare l’attività dei radicali liberi dell’ossigeno che conducono alla perossidazione dei fosfolipidi delle lipoproteine che trasportano il colesterolo, cioè le  LDL (Low Density Lipoprotein).

L’attività lesiva della colesterolemia collegata ad un aumento delle LDL non è infatti determinata dalle LDL normali, bensì dalle LDL modificate dalla perossidazione. Tale evento perossidativo si può verificare per un aumento dei fattori pro-ossidanti, come ad esempio il fumo della sigaretta, ma anche per una insufficiente presenza nell’alimentazione di agenti antiossidanti. Le LDL ossidate, una volta formatesi, non solo perdono la capacità di cedere il colesterolo (ristagnando quindi nel sangue), ma svolgono anche un’azione tossica  sull’endotelio bloccando la produzione di agenti protettivi come la prostaciclina e l’ossido nitrico (NO). In questa maniera, oltre a creare delle microlesioni a carico della parete arteriosa, le LDL ossidate conducono alla proliferazione delle cellule muscolari lisce ed alla formazione delle cosiddette “cellule schiumose”, innescando il processo della lesione aterosclerotica e delle stenosi vasale con conseguenti fenomeni ischemici (infarto del miocardio, ictus cerebrale). 

Il principale meccanismo di protezione contro la perossidazione delle LDL è rappresentato dagli agenti antiossidanti che vengono introdotti con l’alimentazione (α-tocoferolo, acido ascorbico, β-carotene, carotenoidi non vitaminici, polifenoli, ubichinolo, selenio). Un ruolo particolarmente importante è stato riconosciuto ai polifenoli e soprattutto ai bioflavonoidi contenuti nel vino rosso (il vino bianco ha un minor contenuto di polifenoli).

I polifenoli, oltre ad agire come potenti antiossidanti, intervengono anche come inibitori della fosfolipasi A2 riducendo la formazione di acido arachidonico, ma soprattutto intervengono come inibitori della ciclossigenasi riducendo la formazione del trombossano e quindi dell’aggregabilità delle piastrine (azione aspirino-simile).

Infine, tra i polifenoli, il trans-resveratrolo avrebbe dimostrato un’azione diretta  ipocolesterolemizzante.

Le dosi moderate di vino, per la presenza di un’altrettanto moderata dose di alcool e soprattutto per la presenza dei polifenoli, svolgono azione preventiva sul rischio vascolare, ma appare comunque importante sempre ricordare che, se le dosi moderate di vino (e di alcool) esercitano un effetto protettivo, le dosi eccessive finiscono con il determinare una miocardiopatia alla quale si associa una diminuita capacità funzionale ed una predisposizione ai disturbi del ritmo. Non deve inoltre essere dimenticato che l’alcool aumenta i  livelli di trigliceridemia e di uricemia, per cui il vino deve essere escluso nei soggetti che presentano alterazioni dismetaboliche in tal senso. In particolare deve essere escluso nella sindrome plurimetabolica (obesità viscerale, ipertensione, ipertrigliceridemia, iperuricemia, iperglicemia), malattia che determina  gravi alterazioni microangiopatiche con morte precoce.

Per quanto riguarda l’ipertensione arteriosa, alle dosi moderate non si osservano effetti di rilievo sia sui normotesi, che sugli ipertesi. A dosi elevate è stato invece descritto un effetto ipertensivo per un aumento dei livelli di angiotensina, mentre nello stesso tempo si verifica una diminuzione della efficacia della terapia anti-ipertensiva,  

  A conclusione del capitolo sul sistema vascolare ci sembra giusto precisare che l’alcool non ha alcuna attività di vasodilatazione sulle arterie coronarie ed è un grave errore ritenere che un’ingestione di whisky possa essere utile nella crisi anginosa. L’alcool agisce invece da vasodilatatore sulle arterie periferiche della cute generando un altro errore. Viene infatti spesso affermato che in caso di freddo è utile bere un grappino perché riscalda le mani e la pelle in generale, ma questo è un effetto pericoloso in quanto il grappino ha bloccato un meccanismo di difesa attraverso il quale l’organismo trattiene il calore negli organi interni a scapito di quelli meno importanti come la cute. In questa maniera il grappino riscalda le mani, ma favorisce il raffreddamento interno e quindi la morte per congelamento.

 

Rischio di neoplasie

Le neoplasie sono l’espressione di numerosi fattori concomitanti che possono essere causali (induttori) o favorenti (promotori). Tra questi fattori un ruolo causale non secondario viene svolto dai processi ossido-radicalici e si comprende perciò come in questo contesto gli antiossidanti, vitaminici e non vitaminici, esercitino un ruolo di notevole importanza come anti-promotori della carcinogenesi.

In questi ultimi anni è stato dimostrato un marcato effetto protettivo degli antiossidanti non vitaminici quali i carotenoidi ed i polifenoli. Osservazioni in vitro ed in vivo fanno ritenere infatti che, oltre a potenziare l’azione degli antiossidanti vitaminici, i polifenoli agiscano anche come anti-induttori attraverso l’inibizione di  alcuni cancerogeni chimici, come gli idrocarburi policiclici, intervenendo quindi su più di un fattore della carcinogenesi. Tale azione antitumorale viene esercitata  da numerosi bioflavonoidi contenuti nel vino, quali la quercetina, la miricetina, la catechina, il kaemferolo,  e soprattutto il trans-resveratrolo. I polifenoli interverrebbero sia sulla prevenzione che sullo sviluppo del tumore. Tale attività sarebbe particolarmente evidente nei confronti del linfoma e del tumore del colon.

  Il vino assunto in dosi moderate può perciò contribuire alla prevenzione delle neoplasie, ma è di fondamentale importanza ribadire il concetto delle dosi moderate, perchè l’alcool in quantità superiori ai limiti consentiti può diventare invece un potente induttore di alcuni tumori maligni, quali quelli già accennati del cavo orale, dell’esofago e del fegato, senza escludere un effetto promotore su altri tumori come la mammella ed il pancreas.

 

Processo di invecchiamento

Secondo le teorie più accreditate l’invecchiamento e la morte sarebbero il risultato dei danni cellulari subiti dall’organismo durante tutto l’arco della vita come conseguenza dello stress ossidativo mediato dai radicali liberi dell’ossigeno che danneggia la replicazione del DNA.
 
Come si è più volte accennato, noi siamo protetti fisiologicamente contro l’effetto deleterio dei radicali liberi dell’ossigeno da alcune sostanze  antiossidanti  presenti  nella  nostra  costituzione  genetica  che ci consentono di vivere in buone condizioni nell’ambiente in cui viviamo (prima linea di difesa). Nonostante ciò, alcuni radicali liberi dell’ossigeno sfuggono, oppure vengono prodotti in maggiore quantità per cause varie (fumo della sigaretta, inquinamento, eccesso calorico, carenza proteica, ecc.). In questo caso possono essere bloccati (almeno entro certi limiti) dai già citati antiossidanti introdotti con l’alimentazione (seconda linea di difesa) contenuti prevalentemente nella verdura e nella frutta, oltre che nei loro derivati come il vino, l’olio di oliva vergine ed il tè verde.

Si comprende quindi come l’alimentazione possa giocare un ruolo rilevante nella prevenzione dell’invecchiamento, ma tale prevenzione deve essere precoce e continua, onde evitare che i radicali liberi si accumulino e si potenzino sinergicamente contribuendo al declino funzionale dell’organismo oltre che alla maggiore incidenza delle malattie cronico-degenerative caratteristiche dell’età senile.

Per quanto riguarda l’alcool, alcuni ricercatori ritengono che le dosi moderate possano essere utili per migliorare la speranza di vita. A questo proposito sono apparsi in Inghilterra i risultati di una ricerca condotta per 10 anni nella quale è stata evidenziata una maggiore durata della vita nei bevitori moderati rispetto agli astemi ed ai forti bevitori. Un’analisi multivariata ha dimostrato successivamente che questo comportamento statistico era indipendente dalle abitudini al fumo, dai valori della pressione arteriosa e dal tipo di attività esercitata, anche se alcuni studiosi hanno criticato i risultati della ricerca sostenendo che il dato è dovuto ad artefatti legati a diversi fattori che avrebbero inquinato il rilievo statistico. Indagini successive condotte in America sembrerebbero comunque aver confermato l’effetto protettivo del vino, anche se con alcune riserve. D’altre parte, un recente studio condotto in Italia sulle abitudini alimentari di soggetti centenari ha documentato in tali soggetti una regolare assunzione di quantità moderate di vino rosso (che continuava anche nella raggiunta tarda età, senza danni secondari all’organismo).  

Senza entrare nella discussione, deve essere posto in rilievo che in Inghilterra le bevande alcoliche non sono rappresentate dal vino, ma prevalentemente dalla birra e dai superalcolici, al contrario di quanto avviene in Italia, ed, a questo proposito, va precisato che l’Italia è uno dei paesi più longevi del mondo e ciò è molto probabilmente da mettersi in rapporto alla nostra Dieta Mediterranea, ricca di agenti antiossidanti, tra i quali il vino che ne è particolarmente dotato.

L’assunzione quotidiana del vino costituisce pertanto un valido e gradevole aiuto per prevenire l’invecchiamento, ma dobbiamo sempre puntualizzare che tale assunzione deve essere moderata. Non si devono infatti mai superare i 500 ml di vino al giorno per il maschio e 350 ml per la femmina (escludendo naturalmente qualsiasi altra  eventuale aggiunta di bevande alcoliche) perché l’alcool in eccesso finisce con l’invertire gli effetti protettivi diventando pro-ossidante (effetto viene che viene potenziato anche dal ferro presente nel vino) favorendo, al contrario, la perossidazione radicalica e quindi incrementando il danneggiamento fisiologico degli organi legato all’età.

  In ogni caso nella vecchiaia conclamata sarà sempre consigliabile limitare l’assunzione del vino perché l’alcool, anche a dosi moderate, è meno tollerato a livello cerebrale e può contribuire anche ad aggravare il danneggiamento degli organi già compromesso dall’età avanzata.

 

Sistema nervoso

Il sistema nervoso viene favorevolmente influenzato dall’alcool introdotto a piccole dosi. La sua azione in questo caso si traduce in un effetto blandamente tranquillante, con un piacevole senso di benessere e di distensione che, specialmente verso sera, induce il sonno fisiologico.

Gli effetti tranquillanti si ottengono già con un livello di alcolemia compreso tra lo 0,2 e lo 0,3 per mille ml di sangue, corrispondenti a quanto si verifica dopo l’ingestione di un bicchiere di vino a digiuno o dopo due bicchieri durante il pasto. A livelli più elevati (0,5-0,8 per mille) gli effetti diventano più marcati e compare un gradevole senso di benessere con tendenza all’espansione ed alla socievolezza, pur mantenendo ancora il controllo di se stessi. Superato lo 0,8 (pari all’assunzione di tre bicchieri a digiuno o di quattro a stomaco pieno) sarà bene fermarsi poiché, oltre ad un marcato aumento del rischio della guida automobilistica, si passa dal benessere all’euforia fino al pericolo dell’ebbrezza alcolica con comportamenti insulsi e pericolosi.

Le modificazioni che avvengono nella sfera psichica non dipenderebbero direttamente dall’alcool, ma  da un suo metabolita, l’acetaldeide che nella cellula neuronale si combina con l’adrenalina o con la dopamina per formare una sostanza della serie delle isochinoline, gruppo nel quale entrano a far parte alcuni alcaloidi come la morfina  e l’eroina. Osservazioni più recenti avrebbero però messo in evidenza anche un intervento diretto dell’alcool il quale favorirebbe la produzione cerebrale delle endorfine e delle encefaline, oppiodi endogeni che contribuiscono a migliorare lo stato di benessere fisico e psichico dell’individuo. E’ importante rilevare però che l’attività delle isochinoline, con la ripetuta somministrazione di alcool,  diminuisce e richiede un graduale aumento delle dosi onde ottenere il medesimo effetto inducendo spesso l’individuo ad aumentare l’introduzione dell’alcool con tutte le conseguenze descritte, tra le quali quella di credere di reggere bene il vino.

Per comprendere il meccanismo con il quale l’alcool modifica il comportamento dell’individuo, bisogna ricordare che la nostra psiche (io cosciente) è il risultato di un costante conflitto tra gli stimoli provenienti dall’istinto (subconscio) ed il controllo inibitorio dettato dalla timidezza, dalla educazione e dalle convenzioni sociali (super-io). Come si comprende, il controllo inibitorio è fondamentale per consentire il comportamento corretto nei rapporti nella sfera sociale, anche se a volte può essere eccessivo ed essere causa di insicurezza, ansia e depressione.

L’alcool blocca selettivamente questo controllo inibitorio consentendo una maggiore fiducia in se stessi con un comportamento più sicuro e più deciso. Si comprende però nello stesso tempo come, a forti dosi, l’effetto positivo possa trasformarsi fino a divenire negativo, talché l’individuo non è più in grado di controllarsi ed è portato a compiere gesti insulsi e pericolosi, mentre le facoltà mentali si offuscano. Mantenendosi invece nelle dosi consentite, accanto ad una maggiore confidenza in se stessi, si verificherà un comportamento sociale valido e corretto, mentre a livello cerebrale viene favorito il flusso del pensiero e della parola.
        

CONCLUSIONI

  In conclusione, le leggi della Natura sono legate alla moderazione, anche se moderazione non vuol dire astinenza.

  Un uso appropriato di una giusta quantità di vino da parte di un soggetto adulto e sano, assunta a piccoli sorsi in occasione dei pasti, associato ad un equilibrato regime alimentare, potrà costituire una fonte piacevole di benessere e di mantenimento della salute. Al contrario, se ingerito in quantità superiori al consentito può essere responsabile di gravi malattie (etilismo cronico) e/o di gravissimi incidenti, spesso mortali (etilismo acuto)

Vinum opus Dei, ebrietas opus diabuli

(S. Grisostomo)