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Metformina: solo un ipoglicemizzante?
Enrico Bologna

Specialista in Medicina Interna, Gastroenterologia e Patologia generale.
Già Primario Ospedale Fatebenefratelli, Isola Tiberina, Roma.
Libero docente in Patologia Medica, Università di Roma “Sapienza”.


Metformin: just a blood glucose lowering?
Metformin, in conjunction with lifestyle modification, is the first-line drug for type 2 diabetes mellitus. Several recent clinical studies demonstrate a significantly reduced incidence of cancer of  liver, pancreas, endometrium, colon , breast and bladder in diabetic patients treated with this drug. In vitro studies have shown significant antiproliferative and proapoptotic  effects of Metformin on many types of cancer, and a pilot clinical study in humans shows promising effects on colon cancer. The mechanisms of this effect of Metformin are discussed.


Nel medioevo gli erboristi europei avevano notato che estratti di una pianta leguminosa, Galega officinalis (chiamata in Italia Capraggine), erano capaci di ridurre la diuresi in alcuni soggetti poliurici. Solo nel secolo corso si comprese che l’effetto benefico riguardava esclusivamente pazienti diabetici la cui poliuria osmotica veniva ridotta grazie all’azione ipoglicemizzante di un alcaloide, derivato della guanidina, contenuto nei semi e nei fiori della pianta. Il derivato biguanidinico Metformina (N,N-Dimethylimidodicarbonimidic diamide), insieme ad altri tra cui Fenformina e Buformina, fu descritto nel 1922 tra le molecole ottenute nei tentativi di sintesi della N,N-Dimetilguanidina. Nel 1929 l’effetto ipoglicemizzante di Metformina fu descritto nel coniglio, ma la molecola fu dimenticata perché in quegli anni l’attenzione dei diabetologi era concentrata sull’insulina, da poco resa disponibile per l’uso clinico. Nel 1923, infatti, il comitato per il Nobel di Stoccolma aveva assegnato il Premio per la Fisiologia e la Medicina a Banting e Macleod per le loro ricerche sull’ormone.
Nel 1950 il medico filippino Eusebio Garcia, utilizzando Metformina nell’uomo come antibatterico e antipiretico, ne descrive l’efficacia ipoglicemizzante. Si deve però arrivare al 1957 perché, ad opera del diabetologo francese Jean Sterne, Metformina (con il nome Glucophage) venga utilizzata nei pazienti diabetici. Nell’anno successivo Metformina è inclusa nel British National Formulary, nel 1970 è approvata in Canada e solo nel 1994 accettata dalla FDA statunitense. Gli altri due derivati biguanidi, Buformina e Fenformina, sono stati ritirati dal commercio in quasi tutti i paesi del mondo per la frequenza con cui provocano acidosi lattica.
Le proprietà farmacologiche di Metformina sono riportate nella Tab. 1; tra quelle farmacocinetiche spiccano l’elevato volume di distribuzione e l’assenza di biotrasformazione, sì che il farmaco viene eliminato come tale dal rene; quelle farmacodinamiche sono rappresentate da inibizione della gluconeogenesi e dell’assorbimento intestinale del glucosio, da aumento della sensibilità all’insulina con conseguente aumento della captazione e dell’utilizzazione periferica del glucosio. Queste azioni determinano riduzione della glicemia a digiuno e dopo pasto (- 20-40%) e di HbA1c, riduzione di LDL-C e aumento di HDL-C.
Le variabili farmacocinetiche di Metformina sono condizionate dall’intervento di vari trasportatori presenti nell’epitelio intestinale e negli epatociti (Organic Cation Trasporter 1 e 2, OCT1, OCT2) e nei tubuli renali  (Multidrug And Toxic Extrusion 1, MATE1) ad opera dei quali il farmaco viene trasportato nella bile e infine escreto con le urine.
Il meccanismo molecolare dell’azione farmacologica di Metformina, ancora non completamente chiarito, consiste nella inibizione della sintesi mitocondriale di ATP, cui consegue attivazione di un sistema di kinasi (Liver Kinase B1/AMP-activated protein Kinase, LKB1/AMPK). Si tratta di un sistema primordiale, presente in tutte le forme viventi (dai lieviti all’uomo), che favorisce la sopravvivenza in condizioni di deficit energetico frenando i processi cellulari energia-dipendenti: l’attivazione di questo sistema rallenta la sintesi di proteine e di acidi grassi, favorendo la restaurazione dei livelli di ATP. Ma negli organismo multicellulari il sistema LKB1/AMPK ha acquisito altri ruoli specializzati nella regolazione sistemica oltre che intracellulare del metabolismo energetico: esso è infatti coinvolto nel controllo dell’appetito 20 e, negli epatociti, nella inibizione della neoglucogenesi, quindi dell’esportazione di energia verso l’intero organismo sotto forma di glucosio 33. Gli effetti dell’attivazione di questo meccanismo si traducono in numerose e favorevoli modificazioni metaboliche che vanno ben oltre l’effetto ipoglicemizzante: esse comprendono infatti, oltre al minor assorbimento e alla maggiore utilizzazione del glucosio, la riduzione dell’insulinemia, l’accelerazione della sintesi del trasportatore GLUT4,  l’aumento della β-ossidazione degli acidi grassi e la riduzione dello stress ossidativo.
Queste potenzialità aggiuntive di Metformina hanno trovato un ampio ed autorevole riscontro nei risultati dello Studio UKPDS, condotto in 15 Centri su oltre 4.000 diabetici obesi seguiti per più di 10 anni:  nei soggetti trattati con Metformina le complicazioni e la letalità per eventi coronarici e cerebrali sono risultate inferiori del 30% rispetto a quelli trattati con Insulina e sulfaniluree e di circa il 40% rispetto a quelli trattati con sola dieta. Il controllo glicemico ottenuto con Metformina è stato simile a quello osservato con insulina e sulfaniluree;  nel periodo di studio il peso è aumentato di circa 1 Kg nei soggetti trattati con Metformina o con sola dieta, mentre è aumentato di 3 Kg nei trattati con sulfaniluree e di 6 Kg in quelli trattati con insulina 35. Recentemente, benefici effetti su massa corporea e omeostasi glicidica sono stati osservati anche in 100 bambini obesi (BMI 34,6±6,6) di età compresa fra 6 e 12 anni 36.
Nello Studio Reduction of Atherothrombosis for Continued Health (REACH), condotto su 19.691 diabetici con pregressi eventi cardiovascolari seguiti per 13 mesi, è stata registrata una diminuzione della letalità per tutte le cause di circa il 4%. E’ interessante rilevare che questo benefico effetto è stato osservato in tutti i sottogruppi separatamente valutati per età, genere, presenza o assenza di insufficienza cardiaca o renale, concomitante trattamento con altri ipoglicemizzanti orali o Insulina 28.
Nell’anno in corso sono state pubblicate, a cura dell’American College of Physicians, delle linee guida sul trattamento farmacologico orale del diabete mellito tipo 2. Si tratta di indicazioni che meritano grande attenzione, in quanto ricavate dai dati relativi a letalità per tutte le cause, eventi cardio- e cerebrovascolari,  neuropatia, nefropatia e retinopatia  riportati nelle pubblicazioni riguardanti l’efficacia e la sicurezza dei farmaci ipoglicemizzanti comparse tra il 1966 e il 2010. In queste linee guida l’uso di Metformina è raccomandato come monofarmacoterapia iniziale quando dieta, attività fisica e perdita di peso non siano stati in grado di correggere la glicemia; qualora l’effetto di Metformina risultasse insufficiente, queste linee-guida consigliano di non sospendere il farmaco, ma di aggiungere un secondo ipoglicemizzante  25.
Gli effetti avversi di Metformina sono riportati nella Tab. 2. Fra tutti, quelli più rilevanti per probabilità di comparsa e/o per pericolosità sono le crisi ipoglicemiche e l’acidosi lattica. Per quanto riguarda gli episodi di ipoglicemia, questi sono  molto più rari rispetto a sulfaniluree, glinidi e insuline;  si osservano infatti solo in caso di intenso sforzo fisico, di deficit dell’apporto calorico o di associazione con altri ipoglicemizzanti 6,7,16,17. L’acidosi lattica, cioè la condizione clinica con elevata letalità caratterizzata da concentrazione plasmatica di acido lattico > 4 mEq/L, può rappresentare un effetto avverso delle biguanidi che riducono  l’utilizzazione di acido lattico nei processi di gluconeogenesi epatica. In realtà l’acidosi lattica, ripetutamente osservata con l’uso della Fenformina che per questo motivo è stata tolta dal commercio, è molto più rara nei pazienti trattati con Metformina. Con quest’ultima il rischio di acidosi lattica potrebbe derivare solo dalla concomitanza di condizioni predisponenti, rappresentate soprattutto da insufficienza renale o epatica ovvero da grave ipossia tessutale per insufficienza cardiaca o respiratoria. Altra condizione di rischio può essere rappresentata dall’alcoolismo, in cui vi è iperlattacidemia per deficit di NAD+.
Di fatto, i timori di acidosi lattica in corso di trattamento con Metformina appaiono dettati più dal ricordo degli incidenti provocati da Fenformina che dalla reale pericolosità di Metformina. In una recente revisione di 347 studi clinici relativi a 70.490 diabetici/anni di trattamento  con questo farmaco e 55.471 diabetici/anni di trattamento  di controllo non è stato registrato alcun caso di acidosi lattica. Questo dato appare tanto più rilevante in quanto quasi la metà degli studi comprendevano  pazienti con creatinina sierica superiore a 1,5 mg/dL  e in quasi tutti figuravano soggetti con almeno una controindicazione a Metformina 29. Per quanto riguarda in particolare i rischi del trattamento in pazienti con insufficienza renale, quali sono molti diabetici soprattutto se in etò avanzata, il timore di acidosi lattica si basa su segnalazioni di singoli casi in cui il farmaco è stato somministrato a soggetti in cui coesistevano altre condizioni favorenti quali ipovolemia  o sepsi. Osservazioni attendibili indicano che anche nell’insufficienza renale Metformina, a dosi appropriate – cioè rapportate al filtrato glomerulare di ciascun diabetico –  può essere impiegata con rischi inferiori rispetto ad altri ipoglicemizzanti per quanto riguarda l’ipoglicemia (che è molto più frequente con sulfaniluree e insulina) o la ritenzione  idrica (che è inevitabile con i tiazolidinedioni) 21.
E’ interessante rilevare che più di quaranta anni fa, sulla base di dati ottenuti in varie specie animali, l’uso delle biguanidi Metformina e Buformina venne proposto per la prevenzione dell’invecchiamento. A questi dati sperimentali, peraltro non univoci e di entità variabile secondo le specie studiate, si è successivamente aggiunta l’osservazione che i pazienti diabetici trattati con Metformina presentano una minore letalità per tutte le cause, in particolare per quelle cardiovascolari.
I benefici effetti di Metformina sulla sopravvivenza mostrano una stretta somiglianza con quelli indotti dalla restrizione calorica, che in tutti i mammiferi prolunga la durata della vita e riduce l’incidenza o ritarda la comparsa di malattie legate all’invecchiamento, compresi il diabete e le neoplasie. Questo fenomeno ha trovato successivamente spiegazione nel rilievo che l’evento biologico fondamentale indotto dalla restrizione calorica è costituito dalla riduzione dei livelli di insulina e di Insulin Growth Factor-1 (IGF-1) e dall’aumento della sensibilità all’insulina, azioni queste condivise dalle biguanidi 2.
Queste vecchie osservazioni hanno recentemente trovato interessanti conferme. Da tempo era stato ipotizzato, ma non dimostrato, che nei diabetici il rischio di neoplasia fosse più elevato rispetto alla popolazione generale. Vari studi retrospettivi hanno poi confermato che in questi pazienti la prevalenza e la letalità per neoplasie  di fegato, pancreas, endometrio, colon/retto, mammella e vescica sono più elevate rispetto ai soggetti non diabetici, mentre il fenomeno opposto si osserva per il solo carcinoma della prostata 5. Molto si è discusso sulla esistenza e sulla natura di un rapporto di causa-effetto tra diabete mellito e neoplasie; allo stato attuale delle conoscenze appare verosimile che questo rapporto non consista solo nella comunanza di fattori di rischio quali età, obesità, alimentazione e attività fisica; numerose ricerche sperimentali ed epidemiologiche indicano infatti che iperglicemia, infiammazione e soprattutto iperinsulinemia hanno la capacità di favorire la proliferazione cellulare neoplastica 13.
 Questi rilievi sembrano indicare che tutti gli ipoglicemizzanti, ad esclusione forse dell’insulina, dovrebbero esercitare una protezione contro le neoplasie; ma numerose ricerche hanno dimostrato che solo Metformina, Fenformina e Buformina esercitano effetto inibente sulla carcinogenesi sperimentale dei roditori; gli animali trattati con Metformina hanno inoltre dimostrato un significativo aumento della durata di vita, confermando le già ricordate vecchie osservazioni 2. Si può quindi ritenere che le biguanidi, e in particolare Metformina, esercitino una  protezione dalle neoplasie con un meccanismo indipendente dall’azione ipoglicemizzante. Metformina, che agisce come “sensibilizzatore” all’insulina negli epatociti, nelle cellule neoplastiche svolge infatti una azione opposta, inibendo l’utilizzazione dell’energia e la proliferazione con meccanismo AMPK-dipendente. Questa proprietà, confermata da numerose indagini sperimentali, indica che Metformina può svolgere attività antineoplastica sia indiretta attraverso la riduzione dell’insulinemia, sia diretta 18.
E, in effetti, numerosi studi retrospettivi confermano che nei diabetici trattati con Metformina la letalità per neoplasie è significativamente minore (di circa il 40%) rispetto a quelli trattati con qualsiasi altro ipoglicemizzante 12,14. Anche se questi rilievi sono frutto di studi retrospettivi e quindi non controllati, la corrispondenza fra i risultati di  un elevato numero di ricerche indipendenti e condotte con modalità differenti non può non attirare l’attenzione sulla possibilità che in cellule neoplastiche umane l’attivazione del sistema LKB1/AMPK  indotta da Metformina ostacoli la proliferazione inibendo la sintesi proteica. Si deve inoltre considerare che il gene LKB1 è stato identificato come tumor suppressor gene, il cui deficit è stato rilevato in numerose neoplasie umane 1,9,19,11,12,15,31,38.
Una conferma delle potenzialità antineoplastiche di Metformina viene da studi sperimentali. Mentre negli epatociti l’attivazione della via LKB1/AMPK ad opera di questa biguanide inibisce la neoglucogenesi, in fibroblasti embrionali murini e in linee cellulari umane  provenienti da neoplasie di colon, mammella e prostata le conseguenze di tale attivazione sono rappresentate dall’inibizione della sintesi proteica e della proliferazione, così come dell’enzima mTOR (acronimo di mammalian Target Of Rapamicin). E’ questa una trasferasi che regola la crescita, la proliferazione, la motilità e la sopravvivenza delle cellule, la sintesi proteica e i processi di trascrizione. Essa ha un ruolo rilevante nella regolazione del bilancio energetico e del peso corporeo; è attivata da aminoacidi, glucosio, insulina  e da altri ormoni coinvolti nei processi metabolici. mTOR agisce come sensore ipotalamico per vari aminoacidi, controllando la sensazione di appetito e integrando gli stimoli rappresentati da insulina, fattori di crescita (come IGF-1 e IGF-2) e mitogeni; è inoltre sensibile ai nutrienti cellulari, ai livelli di energia e allo stato redox. La funzione di mTOR appare alterata in diverse malattie umane, specialmente in alcune neoplasie. Per questi motivi mTOR è oggetto di attenti  studi sperimentali poiché la sua inibizione farmacologica è risultata essere un potente mezzo per sopprimere la crescita di molti tipi di tumori, fra cui il carcinoma mammario, epatico e pancreatico, il glioblastoma e alcune leucemie. Oltre alla Rapamicina, infatti, sono già stati elaborati alcuni farmaci sperimentali specifici per mTOR che si stanno studiando sulle cellule tumorali in coltura 9,12,31,32,38.
Numerose ricerche indicano che lo sviluppo delle cellule normali, come di quelle provenienti da varie neoplasie, è stimolato dall’insulina e che quindi lo sviluppo di queste neoplasie potrebbe essere ostacolato dalla riduzione dell’insulinemia prodotta da Metformina 15,22. Poiché l’azione di Metformina sull’insulina ha luogo negli epatociti, l’azione stessa può aver luogo in assenza del farmaco nel tessuto neoplastico o a rischio di neoplasia. Si tratta di una azione analoga a quella svolta dalla restrizione calorica sullo sviluppo di alcune neoplasie, che può realizzarsi in presenza di iperinsulinemia, se nelle cellule neoplastiche i recettori dell’insulina sono funzionanti. E’ stato dimostrato che  l’effetto svolto in vitro da Metformina sulla via LKB1/AMPK è operante anche in vivo; ma è stato rilevato che il farmaco è in grado di inibire lo sviluppo e di promuovere la necrosi di cellule neoplastiche anche se carenti di LKB1 23.
L’efficacia di Metformina nella prevenzione del cancro del polmone in modelli sperimentali è apparsa condizionata dalla dose e dalla via di somministrazione del farmaco 17; per valutare praticamente la possibile efficacia antineoplastica saranno necessari studi farmaccinetici ad hoc poiché i regimi di somministrazione che sono ottimali per l’azione ipoglicemizzante non lo sono necessariamente anche per l’azione antineoplastica. E’ tuttavia interessante rilevare che l’effetto antiproliferativo e proapoptotico di Metformina rilevato negli studi in vitro si realizza a concentrazioni analoghe a quelle ottenute nei pazienti trattati con 1,5 g/die 19.
Le ricerche sulla prevenzione delle neoplasie umane hanno tutte come end point la comparsa stessa della neoplasia ovvero quella di lesioni precancerose, come ad esempio i polipi del colon. Si tratta però di ricerche che richiedono un lungo periodo di osservazione e sono gravate da un’elevata percentuale di drop-out. Per questo motivo vengono utilizzati dei marker surrogati; nel caso delle neoplasie del colon un valido marker surrogato è rappresentato dai foci di cripte aberranti (Aberrant Crypt Foci, ACF). Si tratta di minute lesioni che si formano nelle fasi precoci della carcinogenesi colorettale, costituite da cripte identificabili con colorazioni al blu di metilene 4,24,25,28,34.

Utilizzando questo marker surrogato è stato condotto recentemente uno studio clinico pilota sugli effetti di Metformina in 23 soggetti non diabetici, di cui 9 trattati con Metformina, 250 mg/die, e 14 controlli.
A distanza di 1 mese nei soggetti trattati è stata rilevata una significativa (P = 0,007) riduzione del numero di tutte le forme di ACF 11. Nonostante il limitato numero di soggetti arruolati, i risultati di questo studio sono così incoraggianti da indurre certamente l’organizzazione di più ampie sperimentazioni per cercare conferma della capacità di Metformina di prevenire una neoplasia così frequente. Nei primi mesi dell’anno in corso sono comparse numerose pubblicazioni che attestano il diffuso interesse per l’uso di Metformina in campo oncologico e che forniscono le prime conferme sperimentali dell’efficacia di questo farmaco anche in altre neoplasie come quelle del polmone, dell’endometrio e del fegato 3.8,26,40.
Anche se le conoscenze finora acquisite su queste nuove potenzialità di Metformina appaiono molto promettenti, soprattutto in considerazione della maneggevolezza del farmaco anche in soggetti non diabetici,occorrerà certamente un lungo iter di ricerca per accertarne il reale valore.

 

 

 

 

 

 

 

Tab. 1: Proprietà farmacologiche di Metformina

Farmacocinetica

  1. Idrofilia: elevata
  2. Biodisponibilità orale: 50-60% (a digiuno)
  3. Volume di distribuzione: 650 ± 350 L
  4. Legame plasmaproteico: trascurabile
  5. Tempo di picco: 1-3 h (forme a cessione protratta: 4-8 h)
  6. Emivita plasmatica di eliminazione: 4-9 h (accumulo in emazie, t/2 18-32h)
  7. Biotrasformazione: nessuna
  8. Eliminazione:  renale

Farmacodinamica

  1. Azioni: riduce la gluconeogenesi e l’assorbimento intestinale di glucosio, aumenta la sensibilità all’insulina favorendo la captazione e l’utilizzazione periferica del glucosio: (↓20-40% glicemia a digiuno e dopo pasto; ↓HbA1c, ↓LDL, ↑HDL, ↓peso corporeo)
  2. Inizio dell’effetto: giorni
  3. Effetto massimale: 2 settimane.

 

Tab. 2: Effetti avversi di Metformina

>10%

  1. Gastroenterici: diarrea (10% -53%), nausea/vomito(7% -26%), meteorismo (12%)
  2. Neuromuscolari : debolezza (9%)

1% -10%

  1. Metabolici: ipoglicemia
  2. Cardiovascolari: palpitazioni, arrossamento cutaneo
  3. Sistema nervoso centrale: cefalea (6%), brividi, vertigini
  4. Dermatologici: eruzioni
  5. Gastrointestinali:  maldigestione (7%), anomalie dell’alvo
  6. Vari: riduzione livelli Vit. B12 (7%), ipersudorazione, sindrome  similinfluenzale.

<1%

  1.  acidosi lattica, [vasculite leucocitoclasica, anemia megaloblastica,  polmononite]

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