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NOTIZIARIO Giugno 2010 N°6

A cura di Giuseppe Di Lascio

 

Con la collaborazione di:

Bagalino Alessia, Bauzulli Doriana, Di Lascio Alessandro, Di Lascio Susanna, Levi Della Vida Andrea, Melilli Simonetta, Pallotta Pasqualino, Sesana Giovanna, Stazzi Claudio, Zimmatore Elena


SONNO E SALUTE

II° parte: il sonno normale

Susanna Di Lascio
Psicologa
swanyba@gmail.com

L'OROLOGIO BIOLOGICO E L'OMEOSTASI SONNO-VEGLIA

T

utti gli esseri viventi e il mondo naturale nel suo complesso rispondono a particolari ritmi di attività-riposo. I ritmi del nostro organismo sono processi biologici che mostrano variazioni cicliche nel tempo, da ore ad anni, e riflettono, insieme alle piante e tutti gli animali, l'influenza della rotazione della terra. I ritmi circadiani (dal latino circa e diem) si svolgono con ritmo di 24 ore e dimostrano negli esseri umani una serie di modifiche, tra cui la veglia/sonno, il respiro, il metabolismo, l‟attività del cuore, la temperatura. Gli ultradiani sono presenti più volte in un giorno, come ad esempio le fasi del sonno. Gli infradiani richiedono più di un giorno, come, per esempio, il ciclo mestruale, i ritmi stagionali. I circannuali si verificano annualmente, come il letargo di alcuni animali o la migrazione degli uccelli. I ritmi circadiani dell‟uomo possono essere a periodi leggermente più corti e più lunghi rispetto al ciclo delle ventiquattro ore della terra. Il geologo francese Michael Siffre, sopravvissuto da solo per 205 giorni in una caverna del Texas, sino ad ora il periodo più lungo d‟isolamento ininterrotto, dopo quasi sei mesi di tale confinamento senza sole o luna, orologi e calendari, trovò che, mentre la lunghezza dei suoi periodi di veglia variava ampiamente, da sei a 40 ore, il modello delle sue giornate tendeva a essere poco superiore alle 24 ore. In via collaterale, nel numero di marzo 1975 della rivista National Geographic, Siffre riportò che il buio e l'isolamento della grotta, alla fine, tendevano a spingerlo verso la disperazione e il suicidio. Da questa esperienza si è concluso che il nostro orologio interno deve mantenere un ciclo di 25 ore e che il nostro zeitgeber è necessario per reimpostare l'orologio per la nostra solita giornata di 24 ore.

Peraltro, ricercatori di Harvard hanno recentemente dimostrato che nell‟uomo si possono avere cicli di almeno 23,5 ore il giorno ma anche di 24,65 ore, che è il naturale ciclo giorno-notte solare sul pianeta Marte. Il nucleo soprachiasmatico (NSC), difatti, imposta nell‟uomo l'orologio biologico a circa 24,2 ore e il tratto retino-ipotalamico permette alla luce di influenzarlo direttamente. La luce è chiamata, come già riportato, con una parola tedesca, “zeitgeber”, che significa che dà il tempo, poiché assesta l'orologio soprachiasmatico. Il nadir del ritmo è al primo mattino e il rallentamento nel ritmo circadiano prima del nadir servirebbe di aiuto al cervello per rimanere addormentati durante la notte, sino al restauro completo, evitando il risveglio prematuro. La ripresa il mattino facilita il risveglio e agisce, poi, lungo tutta la giornata, come contrappeso allo scarico progressivo di riattivazione dell'attività neuronale. In prima serata, dopo l‟apice circadiano, la fase di discesa aiuta l‟iniziazione del sonno. Questo modello spiega come la funzione cognitiva rimane relativamente costante per tutto lo stato di veglia. In definitiva, quindi, il tempismo del sonno è controllato dall'orologio circadiano, dall'omeostasi del sonno-veglia e nell'uomo, entro certi limiti, dal comportamento deliberato. Quando si è svegli, si è consapevoli e s‟interagisce con l‟ambiente, quando si dorme, invece, in gran parte, non si è pronti alla risposta. Ci sono molte differenze tra il cervello di veglia e quello del sonno ma la più importante risiede nella corteccia cerebrale. Difatti, essa, durante la veglia, si attiva e il modello di attività riflette la panoplia di continue interazioni ambientali. L‟esser desto può essere visto come un contesto di attività corticali su cui s‟integrano vari comportamenti adattativi, quali percezione, pianificazione, problem solving, memoria e coordinazione dei movimenti. Il sonno comprende due stati corticali differenti l'uno dall'altro, quello del sonno REM e quello del NREM (a onde lente).


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Da svegli, la corteccia si attiva sia con input sensoriali sia con output motori, che si disattivano, riducendosi notevolmente, nel sonno non-REM tramite la generazione di attività oscillatorie talamocorticali. Il sonno NREM è uno stato di riposo durante il quale l‟attività elettroencefalografica (EEG) mostra onde più alte e lente, rispetto alla veglia, riducendosi corrispondentemente sia il flusso sanguigno corticale sia l'uso di energia. Durante il sonno REM, invece, la corteccia si attiva, l'attività elettroencefalografica diventa quasi identica a quella della veglia ma gli input sensoriali e gli output motori dalla corteccia vengono inibiti. Il flusso sanguigno corticale e il dispendio energetico sono, però, simili a quelli da sveglio. Inoltre, il "comportamento" del sonno REM è quello della fabbrica dei sogni, anche quelli più complessi.


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Da sveglio la corteccia è mantenuta in uno stato attivo da influenze ascendenti eccitatorie, prevalentemente dell'ipotalamo posteriore, proencefalo basale, talamo aspecifico e nuclei monoaminergici del tronco cerebrale, tutte che ricevono gli input del risveglio dall‟attivazione del sistema reticolare ascendente della formazione reticolare pontina e mesencefalica. Le lesioni del ponte rostrale o del core mesencefalico reticolare risultano, con sequenzialmente, in una perdita prolungata di veglia e di comportamento cosciente, anche quando la corteccia sensoriale e lo input dai sistemi visivi e olfattivi sono intatti. Lo stesso vale se le lesioni interessano l'ipotalamo posteriore, le quali, sia negli animali sia nell‟uomo, producono uno stato prolungato di aresponsività. La formazione reticolare, com‟è noto, è filogeneticamente antica e comprende nuclei che ricevono input dai sistemi sensoriali, sia esterni sia interni. Questi nuclei comunicano rostralmente, in un modello di sovrapposizione, con l'ipotalamo, il talamo, il proencefalo basale e la corteccia cerebrale.

Le vie, coinvolte nel mantenimento dello stato di veglia, sono prevalentemente eccitatorie. Le vie ascendenti dell‟eccitazione cerebrale comprendono i neuroni del glutammato della formazione reticolare, i noradrenalinici del locus coeruleus, i serotoninergici del rafe mesencefalico, i colinergici acetilcolinici dei nuclei pontini e i dopaminergici della complessa area della sostanza tegmentale nigra-ventrale. Tutti questi gruppi neuronali proiettano l‟eccitazione alle aree del prosencefalo basale e del diencefalo, mentre quelli monoaminici del tronco cerebrale, del locus coeruleus, del rafe mesencefalico e dell‟area tegmentale della sostanza nigra ventrale, la proiettano direttamente al proencefalo limbico e alla corteccia cerebrale. La principale via del prosencefalo basale è costituita dai neuroni colinergici del nucleo basale, che proiettano l‟eccitazione sull‟intera corteccia. Anche i neuroni di glutammato dei nuclei intralaminari della linea mediana-talamica partecipano al risveglio e al mantenimento del comportamento di veglia. Un gruppo importante di queste proiezioni, dirette dall‟ipotalamo alla corteccia cerebrale, individuati da Saper C.B. nel nucleo tuberomammillare, produce l'istamina (Prog Brain Res. 2000;126:39-48). In via collaterale, il gruppo di Abrahamson E.E. ha scoperto un insieme interessante di neuroni dell'ipotalamo posteriore che partecipano, anch‟essi, ai meccanismi di eccitazione (Neuroreport. 2001;12:435-440) nella zona adiacente perifornicale e posteriore dell'ipotalamo. Essi producono glutammato e ipocretina, proiettando l‟eccitazione sia alle aree corticali sia a quelle sottocorticali con un ruolo importante nella regolazione comportamentale. A riprova dell‟importanza di questi gruppi diencefalici nell‟eccitazione e nel mantenimento dello stato di veglia, si deve riportare che la degenerazione patologica dei neuroni dell'ipotalamo posteriore ipocretinici e delle loro proiezioni determina la narcolessia. Il comportamento tipico dell‟uomo è di svegliarsi la mattina, dopo circa otto ore di sonno, e di rimanere attivo per circa 16 ore, secondo una ripetizione periodica di un ritmo biologico di 24 ore, per l‟appunto circadiano, generato da un orologio intrinseco con un meccanismo molecolare unico, regolato geneticamente. Come già precisato, anche se è provato che il sonno è un comportamento necessario, la sua funzione non è ancora chiaramente delucidata, pur essendo convinti che, almeno in parte, costituisca un processo di riparazione. Nello stato di veglia per tutta la giornata, si avverte una propensione crescente a dormire, che si esprime come stanchezza o sonnolenza, condizioni che rappresentano la conseguenza della pulsione del sonno omeostatico. Quest‟ultimo si contrappone all‟impulso circadiano di veglia e inizia a comporsi la mattina, con il tempo del risveglio, per continuare a crescere per tutta la giornata, venendo contrastato dall‟output in aumento del pacemaker circadiano, il nucleo soprachiasmatico (SCN) dell'ipotalamo, che promuove l'eccitazione. Mentre l‟unità omeostatica cresce nella tarda giornata, la produzione dello SCN aumenta e mantiene, così, lo stato di veglia, ma, avvicinandosi il tempo del sonno, si riduce l‟output circadiano, permettendo all‟impulso omeostatico di indurre l'insorgenza del sonno.


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Dati recenti indicano che l'accumulo di adenosina regionale rappresenta un elemento importante di questo processo non rimanendo chiara la funzione del sistema circadiano nell‟interazione con la scia di promozione dei percorsi di eccitazione.

Per decenni si sono misurati e registrarti i potenziali elettrici del cervello, come elettroencefalogrammi o EEG, e si sono identificate le onde alfa, beta, delta e theta. Sono state, così, definite variazioni diverse in tempi differenti in base all'apertura o alla chiusura degli occhi, alla veglia del soggetto, al suo stato di meditazione o di sopore. Però, ancora è scarsa l'informazione ricavata da tutto questo, potendosi, allo stato attuale delle conoscenze, affermare soltanto che il sonno è uno stato d‟incoscienza in cui il cervello è relativamente più sensibile agli stimoli interni, piuttosto che alle sollecitazioni esterne. E proprio il ciclo prevedibile del sonno e l'inversione della relativa insensibilità esterna sono le caratteristiche che aiutano a distinguere il sonno dagli altri stati d‟incoscienza. Il cervello diventa sempre meno sensibile agli stimoli ambientali visivi, uditivi e di altro tipo, percorrendo la transizione dalla veglia al sonno, considerata da alcuni la fase I^ del sonno stesso. Correntemente, però, ci si è distaccati dalla concezione storica che interpretava il sonno come uno stato passivo, avviato dal distacco dagli input sensoriali. Oggi, invece, esso è considerato come l‟attenuazione della consapevolezza sensoriale, ritenuta un fattore del dormire, poiché apre un meccanismo attivo di facilitazione del riconoscimento di tale distacco. Entrambi i fattori, l‟omeostatico, (fattore S) e quello circadiano, orologio biologico o pacemaker circadiano (fattore C), interagiscono nel determinismo della tempistica e della qualità e struttura del sonno e della veglia. Questo modello dei due processi è applicabile non solo per il ciclo sonno-veglia ma anche per la comprensione del pattern temporale di quasi ogni funzione neuroendocrina, fisiologica e psicologica. Il modello, inoltre, si è rivelato molto utile per comprendere una varietà di disturbi del sonno e può essere usato per interpretare apparenti anomalie ritmiche nella depressione, oltre a fornire un quadro per il suo trattamento terapeutico specifico.

L'orologio biologico interno ci aiuta a scandire il tempo sul nostro rotante pianeta con il vantaggio di regolare il sonno e la veglia nelle fasi appropriate per le funzioni e il comportamento che possono anticipare le transizioni tra giorno e notte e non semplicemente reagire a essi. Un orologio circadiano non solo genera un ciclo corrispondente al giorno solare ma si deve anche mantenere in un rapporto adeguato di fase con esso. Questo processo di sincronizzazione ottimale con l‟ambiente è chiamato trascinamento, ed è mediato da stimoli periodici, gli "zeitgebers" (luce, esercizio fisico, sonno, suono, pillole di melatonina), che agiscono sull‟orologio stesso. Il periodo endogeno del pacemaker circadiano in condizioni di tempo libero, come in una grotta o in un bunker, è noto come “τ” e la relazione fasica tra ritmo e zeitgeber stabile nel corso di trascinamento è definita come “ψ” (ad esempio la differenza tra la fase di un dato ritmo circadiano, come l‟insorgenza del sonno, e la fase di uno zeitgeber, come crepuscolo o alba). Le differenze individuali nel “τ” possono portare a diverse “ψ”. L'esempio più noto è quello delle persone con breve “τ” che rappresentano il cronotipo della “allodola”, mentre quelle con lunghi “τ” lo sono della "civetta".
Till Roenneberg e collaboratori dell‟University of Munich-Germany hanno svolto un‟indagine europea sulle abitudini del dormire di 25.000 abitanti dagli otto ai novant‟anni d‟età, (CurrBiol 2004;14:1038).
I ricercatori hanno calcolato la media dei mid-point di sonno dei giorni senza obbligo di lavoro di ogni persona, in altre parole, il tempo a metà strada tra il momento in cui andavano a dormire e quando si svegliavano.


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Tracciati i mid-point contro l'età di ognuno, hanno rilevato che i bambini tendono a dormire sempre più tardi con l‟avanzare dell‟età fino ai 20 anni circa quando si verificava un brusco spostamento delle abitudini di sonno, tanto da suggerire tale dato come marker di passaggio all‟adolescenza. Il viraggio delle abitudini del sonno rifletteva anche la tendenza generale delle femmine che sviluppano prima rispetto ai maschi. Difatti, le ragazze dello studio segnavano questo dato all‟età di 19,5 anni, mentre i ragazzi lo raggiungevano più tardi fino ai 20,9 anni. Si concorda, difatti, che la pubertà finisce quando si ferma la crescita delle ossa a circa 16 anni nelle femmine e a 17,5 nei maschi, mentre la fine dell'adolescenza riveste un concetto molto meno definito, facendo parte della fisiologia e psicologia sociale. Il sonno, di poi, anticipava sempre più sino a stabilizzarsi e non mostrare differenze di genere intorno ai cinquanta anni. Gli AA. definivano, così, il cronotipo secondo le famose due immagini della civetta che va a dormire tardi e si alza tardi e dell‟allodola che va a dormire presto e si alza presto. Il tipo intermedio, per così dire borghese, chiamato da alcuni anche colibrì, rappresenta la maggioranza delle persone ed ha le tendenze sia dell‟allodola sia della civetta. Tuttavia, qualunque siano le abitudini nel dormire, poiché esseri umani, siamo programmati per funzionare al meglio durante il giorno. Il nostro corpo non è progettato per essere attivo durante la notte. Non abbiamo, ad esempio, la visione notturna e decisamente le ore notturne per noi sono sempre tempi morti. Tamm S. e collaboratori dell‟University of Alberta in un loro studio su diciotto persone, a metà mattinieri e nottambuli, hanno dimostrato che i primi si sentivano particolarmente vitali durante la mattinata, raggiungendo l‟acme di attività neurale intorno alle 9.00 della mattina. Registravano, di poi, una diminuzione brusca con un sistema nervoso meno reattivo agli stimoli e con i muscoli privi di gran parte del loro vigore. Nei secondi, invece, il cervello sembrava divenire sempre più vivace nel corso della giornata, raggiungendo l‟acme di attività alle 21.00 circa, in cui i muscoli risultavano più forti e più pronti a reagire agli stimoli (Journal of Biological Rhythms 2009; 24(3):211-24).

Tuttavia, non è il “τ” l‟unico fattore che influenza la fase, ma sono determinanti anche la sensibilità alla luce, o intensità dello zeitgeber, quando e per quanto tempo una persona è esposta a una determinata lunghezza d‟onda e intensità di luce, e l'ampiezza del pacemaker circadiano. Lo zeitgeber più importante, difatti, è la luce che fornisce il segnale fotico per giorno e notte ed anche per le stagioni. L'orologio circadiano master, come detto, è sito nello SCN (suprachiasmatic nuclei) ed è costituito da due sistemi oscillatori accoppiati che rispondono all'alba e al crepuscolo. Il cambiamento del fotoperiodo con le stagioni è mimato in molte specie dalle variazioni della durata dell'attività e di riposo (α:ρ).

In particolare, tre sono le fasi principali importanti per la funzione dell‟orologio biologico:

  1. l'ingresso (zeitgebers, retina),
  2. lo SCN (pacemaker circadiano) con i geni dell‟orologio e i neurotrasmettitori/peptidi,
  3. i risultati di uscita con la sintesi pineale della melatonina, la termoregolazione, ecc.

Questi fattori, quindi, interagiscono con l‟omeostato sonno-veglia per regolamentare, sempre in tempo, la propensione e l'architettura del sonno stesso, ma anche fenomeni diversi come l'umore e la sintesi e la produzione di ormoni.


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Come detto, il sonno e la veglia costituiscono un tipico esempio di attività biologica con periodiche variazioni circadiane, come la temperatura corporea, la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, le increzioni ormonali ed altre variabili, che vanno incontro a ritmiche modificazioni nel corso delle 24 ore. Queste fluttuazioni periodiche, che dipendono da strutture nervose differenti, cioè dai cosiddetti oscillatori interni, vengono abitualmente sincronizzati su ritmi di ventiquattro ore. Tra i fattori ambientali che li influenzano, assumono, di poi, un ruolo determinante il contatto sociale e il ciclo giorno-notte. Il completo isolamento, che è in grado di eliminare l'azione dei sincronizzatori ambientali, porta gli oscillatori interni ad assumere ritmi diversi da quello delle ventiquattro ore e l'uomo, così detto free-running, tende a sincronizzarsi in modo preferenziale sul ritmo di venticinque ore, potendo anche desincronizzarsi. In tal modo, alcune sindromi cliniche, determinate da fattori esterni, possono essere comprese nei disturbi del ritmo sonno-veglia. Esse sono, ad esempio, il rapido cambiamento del fuso orario a seguito di voli trans meridiani e i turni di lavoro notturno a rotazione ed altre condizioni che sembrano, invece, avere una componente endogena, come quella del periodo di sonno ritardato e quella da ritmo sonno-veglia non di 24 ore. In tutti questi casi, indipendentemente dalle loro cause, si realizza uno sfasamento del ritmo sonno-veglia rispetto agli abituali sincronizzatori ambientali. L‟interessato non prende sonno quando lo desidera, quando ha necessità o si aspetterebbe di farlo, con peggioramento progressivo in ragione della cronicità del dato.


ARCHITETTURA DEL SONNO NORMALE

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Il sonno normale comprende la fase NREM (movimento oculare non-rapido) e quella REM (movimenti oculari rapidi). L‟American Academy of Sleep Medicine suddivide ulteriormente la prima NREM in stadi progressivamente più profondi: N1, N2 e N3 (SWS deep or delta-wave sleep).


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Man mano che progrediscono le fasi NREM, diventano necessari stimoli sempre più forti per determinare il risveglio. Lo stadio R del sonno (sonno REM), ha una componente tonica e una fasica, sotto l‟influsso del simpatico, ed è caratterizzata da movimenti rapidi degli occhi, spasmi muscolari e variabilità respiratoria.

La fase tonica REM è, invece, sotto l‟influenza del parasimpatico e si realizza senza movimenti oculari. La durata del periodo REM e la densità dei movimenti oculari aumentano durante il ciclo del sonno. Il sonno NREM inizia, di solito, nelle fasi più leggere N1 e N2 per approfondirsi progressivamente con il rallentamento delle onde delta, che aumentano di voltaggio. La fase N3, a onde lente, si presenta quando le onde delta superano il 20% all‟EEG. Il sonno REM segue al NREM e si verifica 4-5 volte nel corso di un normale periodo di sonno di otto ore. Il primo periodo REM può risultare inferiore ai dieci minuti, mentre l'ultimo può superare i sessanta. I cicli NREM-REM variano inizialmente dai 70-100 minuti, per poi arrivare, più tardi nella notte, ai 90-120. In genere, il sonno N3 è maggiormente presente nel primo terzo della notte, mentre quello REM predomina nell'ultimo terzo. Tale dato può tornare utile in clinica, dacché le parasonnie NREM, quali il sonnambulismo, si verificano, in genere, nel primo terzo della notte in concomitanza del sonno N3. Ciò contrasta con i RBD (disturbi del comportamento del sonno REM), che, in genere, si verificano nella seconda metà della notte.


Il VLPO (nucleo ventrolaterale preottico) dell'ipotalamo anteriore è riconosciuto quale "interruttore" biologico del sonno. Quest‟area si attiva durante il sonno e utilizza per il suo avvio i neurotrasmettitori inibitori GABA e la galanina, inibendo le regioni dell'eccitazione del cervello.


Il VLPO innerva e può inibire le regioni di promozione del risveglio del cervello, tra cui il nucleo tubero-mammillare, l'ipotalamo laterale, il locus coeruleus, il rafe dorsale, il nucleo laterodorsale tegmentale e il nucleo tegmentale pedunculo-pontino. Nell'ipotalamo laterale i neuroni d‟ipocretina (oressina) aiutano a stabilizzare questa condizione e, quando si perdono, ne può risultare la narcolessia. L'inibizione della regione tubero-infundibulare rappresenta un passo fondamentale per lo addormentarsi perché comporta la disconnessione funzionale tra il tronco cerebrale e il talamo e la corteccia più rostrale. Lo stato NREM è una funzione attiva che viene mantenuta anche attraverso le oscillazioni tra il talamo e la corteccia, intrecciandosi, così, un intricato complesso d‟interazioni e funzioni neuronali con interessamento, a vario titolo, di neuroni mediatori mono-adrenergici, serotoninergici e colinergici, che danno origine a tre sistemi di oscillazioni principali, fondentisi nel sonno e che hanno aperto il campo a diverse teorie interpretative di funzione dei vari centri cerebrali. I così detti “neuroni REM-on” inducono il sonno REM e sono quelli colinergici del mesencefao e ponte. Quelli dei nuclei PPT (pedunculo-pontino tegmentale) e LDT (tegmentale laterale dorsale) utilizzano l‟acetilcolina per attivare, tramite il talamo, la disincronia corticale, la quale, descritta anche come tensione a bassa frequenza mista, risulta il segno distintivo elettroencefalografico del sonno REM. Una caratteristica supplementare EEG del sonno REM sono le onde a dente di sega. I così detti "neuroni REM-off", inattivi durante il sonno REM, sono quelli mono-adrenergici del locus coeruleus e nel rafe mediano e utilizzano la noradrenalina, la serotonina, l‟istamina per inibire le cellule colinergiche REM-on e interrompere il sonno REM. Da notare, a tale proposito, che alcuni farmaci, come gli antidepressivi, aumentando la quantità di noradrenalina o serotonina, possono causare una soppressione farmacologica del sonno REM. Il sonno REM (fase R), come detto, è caratterizzato da atonia muscolare, attivazione corticale, desincronizzazione a basso voltaggio del segnale EEG e da rapidi movimenti oculari. Esso ha una componente tonica parasimpatica e una fasica simpatica, che caratterizza le contrazioni dei muscoli scheletrici, l‟aumento della variabilità della frequenza cardiaca, la dilatazione delle pupille e l‟aumento della frequenza respiratoria. Pur tuttavia, l‟atonia muscolare è presente in tutto il sonno REM, ad eccezione degli spasmi muscolari della componente fasica. La PET (tomografia a emissione di positroni di ossigeno) ha confermato che durante il sonno non-REM il flusso di sangue in tutto l‟encefalo diminuisce progressivamente e, di conseguenza, anche la sua richiesta metabolica. Pur tuttavia, nel sonno REM il flusso di sangue aumenta nel talamo, nei centri visivi primari e nella corteccia motrice e sensoriale, pur rimanendo relativamente ridotto nelle regioni associative prefrontali e parietali. L'aumento del flusso di sangue alle regioni visive primarie della corteccia può spiegare la natura viva del sogno REM, mentre la continua diminuzione del flusso di sangue alla corteccia prefrontale inferiore può spiegare l'accettazione acritica del sogno, anche a più bizzarro contenuto. I movimenti oculari REM sono, peraltro, simili a quelli di una persona che esegue la scansione di un'immagine visiva. Gli incubi, invece, possono verificarsi durante la fase quattro della SWS.


I PROCESSI CIRCADIANI NEL CONTROLLO SONNO - VEGLIA

Il livello di vigilanza si basa, come detto, su due componenti fisiologiche: una spinta innata omeostatica al sonno, in cui si costruisce la sonnolenza durante il giorno con picchi a destra prima di coricarsi, e l'orologio biologico che produce un ritmo circadiano in cui il sonno e la veglia si conformano al normale ciclo giornaliero di luce e oscurità, questo anche con picchi a destra prima di coricarsi (vedi figura in alto). Così, per tutto il giorno, queste due forze opposte aumentano corrispondentemente con qualche variazione, risultandone un livello normale di veglia di circa diciotto ore. Ci sono due variazioni durante il periodo di veglia: il segnale di avviso più forte alle ore 06:00 e 10:00, il momento in cui la maggior parte degli individui presenta il proprio più importante periodo di vigilanza. L‟unità omeostatica è più forte nel primo pomeriggio, consentendo di schiacciare, se necessario, un pisolino. Le due forze sono più lontane quando l'uscita di allarme del ritmo circadiano diminuisce nettamente al momento di coricarsi, con conseguente sonnolenza, che permette di addormentarsi. Come il sonno avanza, la spinta omeostatica del sonno diminuisce, così come il segnale di allarme con l'aiuto della melatonina della ghiandola pineale. Alla fine, il ritmo circadiano aumenta bruscamente l'uscita di allarme, provocando il risveglio del mattino. L'orologio circadiano con cronometraggio delle funzioni interne, delle oscillazioni della temperatura e del dispositivo di controllo enzimatico, lavorando in tandem con l‟adenosina, neurotrasmettitore inibente molti dei processi dell‟organismo associati alla veglia, si forma durante la giornata e ad alti livelli conduce alla sonnolenza. Negli animali diurni la sonnolenza si verifica quando il ritmo circadiano provoca il rilascio di melatonina, attestandosi, così, una graduale diminuzione della temperatura corporea con tempistica influenzata dal proprio cronotipo. Il ritmo circadiano determina, in effetti, il momento ideale di un periodo di sonno correttamente strutturato e di riparazione. La propensione omeostatica del sonno, definita dal bisogno di dormire, in funzione della quantità di tempo trascorso dall'ultimo episodio di sonno adeguato, deve essere bilanciata con gli elementi circadiani di sonno soddisfacente. Ciò avviene con l‟informazione all‟organismo, da parte del ritmo circadiano stesso, sulle necessità di sonno. L‟insonnia e i risvegli sono determinati principalmente dal ritmo circadiano, così che chi si sveglia regolarmente a una certa ora, di buon mattino, generalmente, non riesce a dormire molto oltre quel periodo di veglia normale, anche se ha accumulato un debito moderato di sonno.


LA FASPS E LE MUTAZIONI GENETICHE

Nel 2001 il genetista Ying-Hui Fu con i suoi collaboratori della Stanford University a Palo Alto, California ha identificato una mutazione in un gene chiamato Per2 negli individui con FASPS (familial advanced sleep-phase syndrome), che dormono normali otto ore, andando a letto prima, intorno alle sei o sette di sera, e svegliandosi alle tre o 4 del mattino. L‟Autore, di poi, avendo raccolto numerosi campioni di DNA da più di sessanta famiglie, nel 2005 ha scoperto un‟altra mutazione associata alla FASPS che sembra ledere la durata del sonno, piuttosto che il suo tempismo. La mutazione si trova nel gene DEC2, che codifica la formazione di una proteina che aiuta a spegnere l‟espressione di altri geni, inclusi alcuni che controllano il ritmo circadiano, l'orologio interno che regola il ciclo sonno-veglia. La mutazione si è documentata in appena due persone, una madre e sua figlia, che dormivano in media solo 6,25 ore, mentre il resto dei familiari dormiva per le più tipiche otto ore. Per confermare che questa mutazione accorcia davvero il periodo del sonno, i ricercatori hanno utilizzato topi ingegnerizzati, dotati della forma mutante del DEC2, dimostrando e riportando con tale scoperta su Science che gli animali dormivano circa un'ora di meno dei normali. Tali risultati, a loro detta, potrebbero portare a migliori cure per i disturbi del sonno. Di certo, la mancanza di sonno danneggia la salute e compromette le prestazioni. Il tempo totale di sonno abituale e la risposta omeostatica alla privazione sono caratteri quantitativi nell'uomo per i quali sono stati identificati loci genetici in organismi animali ma senza alcun potenziale genotipo e fenotipo umano corrispondente. Si è identificata, sino ad ora, una mutazione in un repressore trascrizionale (hDEC2-P385R), associata a un fenotipo umano di brevità del sonno. Peraltro, i profili di attività e le registrazioni del sonno dei topi transgenici, che trasportano questa mutazione, hanno mostrato un tempo di vigilanza maggiore e di sonno minore rispetto ai controlli in uno zeitgeber tempo e modo privazione del sonno-dipendente. Questi topi, in verità, rappresentano un modello di omeostasi del sonno umano che fornisce l'occasione per sondare l'effetto del sonno sulla salute fisica e mentale dell'uomo. Per quanto riguarda la temperatura corporea, sempre sotto il controllo ipotalamico, si registrano un suo aumento durante il giorno e una diminuzione durante la notte, essendo gli alti e i bassi speculari al ritmo del sonno stesso. Difatti, chi è più vigile in tarda serata presenta picchi di temperatura corporea in tarda sera, mentre chi lo è più al primo mattino li ha in prima serata.


LA MELATONINA E L'ACTIMETRIA

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a ghiandola pineale è un organo chiave per il mantenimento della regolazione endocrina del corpo (equilibrio ormonale), l'integrità del sistema immunitario e il ritmo circadiano. Sintetizza la melatonina (N-acetil-5 Metosstriptamine) dalla 5-HT assieme a molti altri neuropeptidi e funge da cronometrista del cervello, aiutando a governare il ciclo sonno-veglia. Nei pesci, uccelli, rettili, anfibi ha anche la proprietà, attraverso il rilascio dell‟ormone, di scandire i tempi biologici, i ritmi circadiani, i cambiamenti stagionali del comportamento riproduttivo, i ritmi stagionali della migrazione e l‟ibernazione. Nei mammiferi, compresi gli esseri umani, le sue proprietà sono ancora discusse e i suoi livelli circolanti rivelano i ritmi circadiani sotto il controllo dello SCN, corrispondendo i suoi livelli più elevati durante il buio, generalmente durante il sonno, tanto da esserle attribuita la funzione di indurlo. Pur tuttavia, l‟escissione della pineale, con consequenziale mancanza della melatonina, produce scarsi effetti negli uomini. Comunque, essa, con sua acme di secrezione durante la notte, è associata al controllo del ritmo circadiano e alla sincronizzazione del ciclo luce-oscurità. Con l‟inizio solito di secrezione 2-3 ore prima di coricarsi, essa resetta per feed back l'orologio biologico attraverso i suoi effetti sui recettori dello SCN e, quando assunta nel pomeriggio, può anticipare la fase dell'orologio interno rispondendo all‟obiettivo di indurre il sonno. Da ricordare che anche la prolattina, il testosterone, l‟ormone della crescita e l‟ormone corticotropo sono soggetti a questo ritmo circadiano con secrezione massima durante la notte.

La secrezione di melatonina segue, quindi, un ritmo giornaliero disciplinato dal master clock dell‟organismo e i suoi livelli, bassi durante il giorno, al tramonto, con il cessare della luce e l‟innesco dei segnali neurali che stimolano la pineale, inizia a invadere il torrente circolatorio. Essa, sintetizzata a partire dall‟amminoacido essenziale triptofano, derivato dalle proteine durante la digestione per opera degli enzimi proteolitici e convertito in serotonina, è coinvolta anche con l'umore. È degno di rilievo che la melatonina, oltre che estratta dalla pineale di bovini, si trova in natura in alcuni alimenti, anche se in piccole quantità. Avena, mais e riso ne sono i  vegetali più ricchi con 1.000 e 1.800 picogrammi per grammo. Il Ginger, i pomodori, le banane e l‟orzo ne contengono, invece, 500 picogrammi per grammo. Nella specie umana i livelli più elevati di melatonina si riscontrano nei bambini e si riducono progressivamente con l'età realizzando un possibile collegamento con l‟incremento della difficoltà a dormire. I giovani adulti sani e di mezza età, di solito, ne secernono circa 5-25 microgrammi ogni notte.

La melatonina può anche sopprimere la libido con l'inibizione della secrezione ipofisaria dell‟ormone LH (luteinizzante) e FSH (follicolo stimolante). In rapporto a tutte le sue funzioni di controllo del ritmo circadiano e delle funzioni neuroendocrine, quando s‟interrompono i tempi o l'intensità dei suoi picchi, come nell'invecchiamento, nello stress, nel jet-lag, vengono influenzate negativamente molte funzioni fisiologiche e mentali. La capacità di pensare con chiarezza, di ricordare fatti chiave e di prendere decisioni importanti può essere profondamente ostacolata e compromessa da queste alterazioni dell‟orologio biologico. La melatonina, peraltro, essendo anche uno degli ormoni che controllano il cronometro e il rilascio degli ormoni riproduttivi femminili, interviene anche nello stabilire l‟inizio della mestruazione, la frequenza e la durata del ciclo mestruale, la menopausa. Inoltre, si riconoscono alla melatonina forti proprietà antiossidanti e studi preliminari hanno suggerito che possa contribuire a rafforzare il sistema immunitario. I radicali liberi sono componenti chimici che hanno un elettrone spaiato e sono ritenuti normalmente responsabili di oltre la metà di tutti i danni dell‟organismo, provocando la perossidazione lipidica, il danno al DNA e l'ossidazione delle proteine. Sulla base della sua proprietà antiossidativa, eliminando i radicali liberi che danneggiano la cellula, secondo alcuni, l‟ormone può contribuire a prevenire o ritardare lo sviluppo di malattie cardiache, cancro e altre condizioni patologiche e, se associata ad alcuni farmaci contro il cancro, può distruggere le cellule maligne. Di fatto, la melatonina dimostrerebbe un‟efficacia nel proteggere le membrane cellulari dalla perossidazione lipidica due volte di più della vitamina “E” e nel neutralizzare i radicali idrossili cinque volte di più del glutatione. Ancora, la melatonina e l‟adenosina possono essere particolarmente importanti nel proteggere le cellule del cervello con bassa concentrazione di glutatione. Oltre al radicale ossidrile, la melatonina neutralizza il superossido, il perossido d‟idrogeno, acido ipocloroso. Inibisce la formazione di perossinitrito, bloccando l'enzima ossido nitrico sintetasi in alcuni tessuti cerebrali, aumenta l'espressione genica e l'attività degli enzimi antiossidanti glutatione perossidasi, superossido dismutasi e della catalasi.

Ma, in forma più inerente al ritmo sonno/veglia, la melatonina permette di poter stimare attendibilmente il buon risultato dell‟orologio circadiano. Difatti, tutte le specie che la producono lo fanno di notte. Il ritmo della melatonina nei campioni di saliva o sangue o urine, raccolti con luce fioca e con controllate condizioni di postura, fornisce, quindi, un indicatore ottimale delle fasi circadiane dell‟uomo. Il DLMO (Dim light melatonin onset)rappresenta il più facile marcatore dell'orologio del tempo del nostro organismo a nostra disposizione poiché può essere misurato nella saliva prima di coricarsi. Pur tuttavia, i metodi di dosaggio non sono ancora di facile e pronto impiego, anche se si propongono come interessanti applicazioni in clinica per la diagnosi e terapia dei disturbi del sonno.
In via collaterale l‟actimetria è un metodo di monitoraggio dei cicli di riposo-attività dell'uomo, relativamente non invasivo, non necessariamente correlato al sonno-veglia. Può considerarsi l'equivalente della ruota per far correre i criceti e topi nella biologia circadiana dell‟uomo, con vantaggi di misura per periodi più lunghi di tempo rispetto a quelli nella ricerca sul sonno. Inoltre, il monitoraggio di ventiquattro ore può rivelare modelli inusuali di riposo e di attività che forniscono informazioni molto diverse dall‟EEG del sonno (per esempio, tempi e durata dei sonnellini diurni). Tuttavia, l‟actimetria non rispecchia necessariamente le caratteristiche dell‟orologio circadiano in causa. Un buon principio della cronobiologia umana è che un sonno adeguato corrisponde a una maggiore attenzione e che lo stato cognitivo e l'umore migliorano in stato di piena veglia. Così, l‟actimetria può essere utilizzata per documentare cambiamenti nello stato di trascinamento correlati all‟efficacia di un dato trattamento farmaceutico o di altro tipo in particolari patologie come la depressione. In definitiva, l‟actimetria, essendo un metodo semplice, non invasivo e relativamente poco costoso, meriterebbe un uso maggiore in clinica. Esso prevede, difatti, la verifica obiettiva del cronotipo nel tempo di andare a letto e di svegliarsi e documenta le modifiche del ritmo del sonno-veglia durante una data malattia e dopo il trattamento. Un minimo di registrazione di una settimana è consigliabile per mettere a confronto il ritmo di lavoro e dei giorni liberi e per ridurre le variabili.


IL SONNO ALLE VARIE ETÀ

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Nel primo anno di vita si verificano rapidi e drammatici cambiamenti nell‟organizzazione del sonno, mentre dopo, durante l‟infanzia e l'adolescenza, si osservano variazioni nella sua architettura e durata.

I neonati dormono per periodi di 14-16 ore, complessivamente maggiori rispetto a qualsiasi altro gruppo di età. Le loro ore di sonno possono dividersi in periodi multipli. Nel corso dei primi mesi di vita diminuisce il periodo di sonno, attestandosi durante la notte a 5-6 mesi, con almeno un pisolino durante il giorno. Il sonno REM dei bambini rappresenta una percentuale maggiore del sonno totale, a scapito della fase N3. Fino a 3-4 mesi di età, i neonati passano dal risveglio al sonno REM ma, in seguito, cominciano a svegliarsi direttamente in transizione NREM. Nel complesso, i voltaggi elettrocorticali, registrati durante il sonno, rimangono alti, come avviene durante la veglia. I fusi del sonno iniziano ad apparire nel secondo mese di vita, con una densità superiore a quella osservata negli adulti. Dopo il primo anno iniziano a diminuire di densità e a progredire verso il modello dell‟adulto, mentre i complessi K si sviluppano entro il sesto mese di vita.

Negli adulti lo stadio N1 è considerato il passaggio dalla veglia al sonno. Periodi di eccitazione brevi all'interno del sonno si verificano al momento e durante l‟addormentamento, rappresentando, di solito, il 2-5% del tempo di sonno totale. Lo stadio N2 durante tutto il sonno rappresenta il 45-55% di tempo totale, mentre lo stadio N3 (delta o sonno a onde lente) occorre prevalentemente nel primo terzo della notte e rappresenta il 5-15% del tempo totale. Il REM rappresenta il 20-25% del sonno totale e accade in 4-5 episodi in tutta la notte. La quantità ottimale di sonno non è un concetto significativo, salvo che il periodo di quel sonno sia visto a proposito dei ritmi circadiani dell‟individuo. In effetti, il sonno di una persona è relativamente insufficiente e inadeguato quando si realizza al momento sbagliato della giornata. Peraltro, si dovrebbe dormire almeno sei ore prima che la temperatura del corpo raggiunga il minimo. In effetti, il tempo corretto è quando avvengono i seguenti due marcatori circadiani dopo la metà del sonno e prima del risveglio: la massima concentrazione di melatonina e il momento di minima temperatura corporea. Comunque, il bisogno di dormire per l‟uomo può variare secondo l‟età e individualmente per cui si considera adeguata la quantità di sonno quando non si avverte sonnolenza durante il giorno o non vi sono disfunzioni.


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Negli anziani, diminuisce la fase N3, mentre aumenta la N2, in via compensatoria. La forma delta del sonno (fasi 3 e 4), più profonda e più corroborante, diminuisce con l'età.

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La latenza di addormentarsi e il numero e la durata dei periodi di eccitazione durante la notte aumentano. Questo fa sì che spesso il tempo totale a letto aumenta, portando l‟anziano a lamentarsi d‟insonnia. La frammentazione del sonno con l'aumento dei risvegli può essere aggravata dal crescente numero di comorbidità, come l‟OSA, i disturbi muscolo-scheletrici, le malattie cardiopolmonari, prostatiche e urogenitali.


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Interessante è il dato della psichiatria Rhonda Rowland e suoi collaboratori dell‟University of California, San Diego, che, studiando oltre un milione di adulti, hanno rilevato che le persone che riportavano un sonno di sei - sette ore ogni notte vivevano più a lungo.


IL SALUTARE CUMULO DI SONNO/DIE

Patel SR e coll. della Division of Sleep Medicine, Brigham and Women's Hospital, Boston, Mass, sulla base della comune convinzione di buona salute con le ottimali 8 ore di sonno per notte e dei dati di alcuni studi per cui con meno di 7 ore il rischio di morte si abbassava, hanno esaminato prospetticamente l'associazione tra la durata del sonno e la mortalità in 82.969 donne del Nurses Health Study per una migliore comprensione nei meriti (Sleep. 2004 May 1;27(3):440-4). Durante i quattordici anni di questo studio (1986-2000), si sono registrate 5.409 morti. Il rischio di mortalità si è dimostrato più basso tra le infermiere con segnalazione di sette ore di sonno per notte, anche dopo aggiustamento per età, fumo, alcol, esercizio fisico, depressione, russamento, obesità, storia di cancro e malattie cardiovascolari. Chi dormiva meno di sei ore o più di sette mostrava, invece, associazione con un aumentato rischio di morte. Il rischio relativo di mortalità per un sonno di cinque ore o meno era 1,15 (IC 95% 1,02-1,29), per quello di sei ore 1.01 (IC95% 0,94-1,08), 1.00 per il gruppo di riferimento di sette ore, 1.12 (IC 95%, 1,05-1,20) per otto ore, 1,42 (95% CI, 1,27-1,58) per nove o più ore. I risultati, in effetti, confermavano che il rischio di mortalità nelle donne studiate era più basso per il gruppo con sonno tra le sei e le sette ore senza aggiungere altro nei riguardi dell‟associazione di altri fattori, come la depressione e lo stato socio-economico.


IL SOGNO

Il sogno corrisponde a un particolare stato di coscienza che ha affascinato da secoli l‟interesse degli uomini, rimanendo ancora oscura la ragione per cui si verifica. Tale dato di fatto continua a dare sempre spazio alla speculazione con interpretazioni governate da interessi, spesso non leciti, ma che attraggono ancora in modo ingannevole la popolazione. Internet, ad esempio, presenta molti siti dedicati all'interpretazione dei sogni. Il sogno, di fatto, è la percezione sensoriale d‟immagini e suoni durante il sonno, e costituisce, di norma, una sequenza che si percepisce più come una partecipazione apparente che come un‟osservazione distaccata.


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Questa funzione è stimolata dal ponte e si verifica come ricordi per l‟80% dei risvegli dal sonno REM e come esperienze isolate, per esempio cadute, solo per il 7% dal non-REM. Poiché si entra nel sonno REM per circa cinque volte in un periodo medio di otto ore di sonno, se si assume che sogniamo in ciascuno di essi, in un anno dovremmo avere 1.825 sogni. Pertanto, un 75enne avrebbe circa 136.875 sogni, di cui la maggior parte senza ricordo.
Il 25% del sonno notturno, o 2 ore di esso, è, comunque, speso per sognare.

Caratteristica dei sogni è che:

La PET ha rivelato che l'attività cerebrale è molto diversa nel sonno REM rispetto a quando si è svegli. I lobi frontali e la corteccia visiva primaria sono essenzialmente spenti durante il periodo REM, significando che si è tagliati fuori dal mondo esterno e dal pensiero razionale in modo da accettare i propri sogni, non importa quanto bizzarri essi siano. Al contrario l‟amigdala e l‟ippocampo del sistema limbico, preposti all‟emozione e alla memoria, sono molto attivi, come le aree visive del cervello.
I contenuti della maggior parte dei sogni riguardano la vita di tutti i giorni e in rapporto alla cultura individuale. L'aggressione è più comune rispetto all‟amicizia e spesso gli stimoli ambientali, durante il sogno, possono essere incorporati in esso. Non ricordiamo al risveglio i nostri sogni perché le aree del cervello del lobo frontale, preposte alla memoria, sono rimaste chiuse durante il sonno REM e i neurotrasmettitori sono anch‟essi notevolmente ridotti. È più probabile ricordarlo se ci si sveglia durante il suo corso e così, pure quelli vividi hanno maggiori probabilità di essere ricordati. Le occasioni di distrazione, legate agli impegni giornalieri al risveglio, tendono, peraltro, a far dimenticare i sogni e d‟altro canto il cervello sembra programmato per obliare la maggior parte di ciò che avviene durante il sonno.
Si possono distinguere vari tipi di sogno: 1) quello vivido, dettagliato, composto di sensazioni e percezioni di attività motorie sperimentate durante il periodo REM, 2) l‟immaginazione di sognare priva di percezioni sensoriali e di senso di attività motoria, più simile al pensiero diurno, verificantesi durante il sonno a onde lente, 3) il sonno lucido, in cui il soggetto controlla che cosa succede nel sogno stesso. Di fatto, la ricerca su una comprensione dei sogni è di migliaia di anni, eppure fino a oggi non vi è ancora accordo tra i ricercatori sul perché si sogna. Si sono proposte molte ipotesi sulle funzioni del sogno, soprattutto, durante la fase REM. Negli ultimi 100 anni hanno dominato tre teorie di ricerca: quella di fine del 19esimo secolo di Freud; quella degli anni 1950 della correlazione del sognare con la scoperta del rapido movimento degli occhi (REM) e l‟ultima degli anni 1970 relativa all‟innesco del sogno da parte dell‟attività neurale nel tronco encefalico.

Sigmund Freud, alla fine del 19esimo secolo, considerava il sogno la “royal road to the unconsciousness” e postulava che i sogni fossero l'espressione simbolica di desideri frustrati, spesso a contenuto sessuale, affondati nell‟inconscio della mente. La psicoanalisi, pertanto, raggiungendo la loro interpretazione, poteva permettere la slatentizzazione di questi desideri. Freud, così, poneva la chiave per la comprensione e la lotta dei problemi psicologici facendo raggiungere ed esporre il significato dei sogni latenti ai propri pazienti (Freud, S. "Introductory lectures on psycho-analysis." In Standard Edition Of The Complete Psychological Works Of Sigmund Freud, vol. 15, London: Hogarth Press, 1916-17, p. 153).

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Secondo tale classica teoria psicoanalitica, il sogno sarebbe, in definitiva, durante il sonno la realizzazione allucinatoria di un desiderio inappagato durante la vita diurna. Nel 1976 J. Allan Hobson e Robert McCarley, sfidando la teoria freudiana, basata sul subconscio, proposero la nuova teoria che ha cambiato la ricerca sui sogni (American Journal of Psychiatry, 134:1335-1348, 1977). La loro dottrina della sintesi di attivazione afferma, difatti, che le esperienze sensoriali sono fabbricate dalla corteccia cerebrale, come un mezzo per interpretare i segnali caotici che provengono dal ponte. Nel sonno REM le fibre colinergiche ascendenti PGO (ponto-geniculo-occipitali) determinano un maggiore stimolo al mesencefalo e alle strutture corticali proencefaliche, producendo i rapidi movimenti oculari. Quindi, il cervello, così attivato, sintetizzerebbe il sogno da queste informazioni, generate internamente. Si assumerebbe, ancora, che le strutture stesse, che inducono il sonno REM, genererebbero anche informazioni sensoriali. Tali dati, di possibile identificazione con criteri obiettivi, hanno portato alla rinascita d‟interesse per questo fenomeno. Quando gli episodi di sonno REM sono stati cronometrati per la loro durata e i soggetti svegliati a fare i loro rapporti prima di modificare o dimenticare la maggior parte di quanto realizzato, si è riscontrata un‟abbinazione tra il periodo ritenuto della narrazione del sogno con l‟estensione del REM antecedente il risveglio. Questa stretta correlazione tra sonno REM e l'esperienza sogno era alla base della prima serie di relazioni che descrivono la natura del sogno e cioè che è un fenomeno regolare ogni notte, piuttosto che occasionale, ed è un‟attività ad alta frequenza all'interno di ciascun periodo di sonno, verificandosi a intervalli di prevedibilità circa ogni 60-90 minuti in tutti gli esseri umani per tutta la durata della vita. Gli episodi di sonno REM e i sogni che li accompagnano si allungano progressivamente in tutta la notte, essendo il primo più breve di circa 10-12 minuti e gli altri progressivamente più prolungati sino a 15-20 minuti. I sogni al termine della notte durano fino ai 15 minuti, anche se possono essere vissuti come parecchie storie distinte a causa di risvegli con momentanea interruzione del sonno fino a che la notte non finisce. I soggetti normali riportano i sogni nel 50% dei casi di un risveglio antecedente la fine del primo periodo REM, mentre, nei casi di risvegli nell'ultimo periodo REM della notte, il tasso aumenta a circa il 99%. Quest‟aumento nella capacità di richiamo appare correlato con l‟intensificazione durante la notte con la vividezza delle immagini, colori ed emozioni. Secondo Hobson la funzione principale dei movimenti oculari rapidi (REM), associati con i sogni, è fisiologica e non psicologica. Difatti, durante tale periodo il cervello si attiva e "riscalda i suoi circuiti", anticipando le immagini, i suoni e le emozioni dello stato di veglia. Tale ipotesi offre molte spiegazioni e, come nel fare jogging, il nostro corpo non ricorda i passi di una corsa, ma si allena a farli, allo stesso modo non ci ricordiamo molti dei nostri sogni ma la nostra mente si prepara e ottimizza la loro consapevolezza cosciente. I sogni rappresenterebbero uno stato parallelo in cui la coscienza è sempre in funzione ma che è normalmente soppresso mentre la persona è sveglia. Peraltro, in termini evolutivi, il sonno REM, individuato negli esseri umani, in altri animali a sangue caldo e negli uccelli, sembra essere relativamente recente. Studi più moderni hanno suggerito che esso appare precocemente durante la vita e per l‟uomo nel suo terzo trimestre. La ricerca ha fornito anche la prova nel cervello del feto che potrebbe consistere, in un certo senso, il vedere le immagini molto prima che i suoi occhi si siano aperti. Tale dato di fatto porterebbe a concludere che lo stato REM possa aiutare il cervello a costruire le connessioni neurali, soprattutto nelle aree visive. Ciò non significa che i sogni non hanno un significato psicologico, dal momento che, a volte, riflettono i problemi attuali, le ansie e le speranze. Un recente studio di più di un migliaio di persone presso la Carnegie Mellon University di Harvard ha dimostrato forti distorsioni nel modo in cui le persone interpretavano i sogni. Così, per esempio, i soggetti collegavano maggiormente il significato negativo del sogno sulle persone che non amavano e quello positivo sulle predilette. La ricerca sui sogni lucidi ha suggerito, poi, che solo il 20 per cento dei sogni si riferisce a persone o luoghi che conosciamo e la maggior parte delle immagini è specifica di un unico sogno. Invero, il sogno lucido è la possibilità di guardare un sogno in qualità di osservatore senza svegliarsi e Hobson ha trovato sostegno nel sogno lucido per la sua tesi per i sogni, come una specie di esercizio cerebrale fisiologico. Peraltro, in uno studio pubblicato su Sleep, l‟Autore ha riferito che gli elementi REM e veglia erano entrambi evidenti nei sogni lucidi, soprattutto nelle aree frontali, che sono tranquille durante i sogni normali. Secondo Hobson questo dato suggerisce, in effetti, la presenza di due sistemi, che possono essere in esecuzione contemporaneamente. È importante considerare ai fini pratici, a tale proposito, che le applicazioni potenziali di tali studi possono portare a una più profonda comprensione delle malattie come la schizofrenia, categorizzata con fantasie che possono essere relative all‟attivazione anomala di uno stato sognante.
L‟ipotesi di Hobson considerava la funzione dei sogni probabilmente collegata a un segnale geneticamente determinato secondo un modello funzionale del cervello dinamico, progettato per costruire e testare i circuiti cerebrali che stanno alla base il nostro comportamento, tra cui cognizione e senso di attribuzione. In altre parole, il sogno sarebbe un meccanismo inteso a stimolare i circuiti neurali e questa stimolazione dovrebbe, in qualche modo, essere fondamentale per il normale funzionamento del cervello durante lo stato di veglia. Pur tuttavia, diverse evidenze suggeriscono che sognare è sicuramente qualcosa di più che un dato "geneticamente determinato". Mark Solms successivamente, mentre lavorava nel dipartimento di neurochirurgia in Johannesburg e Londra, avendo accesso a pazienti con lesioni cerebrali diverse, ipotizzò che i sogni fossero generati nel proencefalo e che il sonno REM e il sogno non fossero tra loro direttamente collegati (Behavioral and Brain Sciences. 2000, 23(6) pp. 793–1121). Iniziò, così, a interrogare i pazienti sui loro sogni, confermando che le lesioni del lobo parietale portavano ad abolire di sognare. Ciò in linea con la teoria di Hobson del 1977, senza, però, incontrare i casi di perdita di sognare nei danni del tronco cerebrale. Quest‟osservazione l‟ha portato a mettere in discussione la teoria prevalente di Hobson, per la quale il tronco cerebrale rappresentava la fonte dei segnali interpretati come sogni, e a suggerire che il sogno fosse una funzione di molte strutture cerebrali complesse, come convalida della teoria freudiana, attirandosi dure critiche dallo stesso Hobson. Di seguito Jie Zhang, combinando l‟ipotesi della sintesi di attivazione di Hobson con i risultati di Solms, propose la teoria dell‟attivazione continua del sognare, come risultato, al tempo stesso, di attivazione del cervello e della sintesi, considerando la presenza di meccanismi cerebrali diversi per il controllo del sogno e del sonno REM (Dynamical Psycology 2006-03-13). Ipotizzò, anche, che la funzione del sonno fosse di elaborare, codificare e trasferire i dati dalla memoria temporanea a quella a lungo termine, pure senza molte prove di appoggio a questo cosiddetto "consolidamento". Il sonno NREM svilupperebbe la memoria correlata alla coscienza (memoria dichiarativa), mentre quello REM la memoria inconscia (memoria procedurale). Durante il sonno REM, inoltre, la parte inconscia del cervello elaborerebbe la memoria procedurale e, intanto, il livello di attivazione nella parte cosciente del cervello scenderebbe a un livello molto basso, siccome gli input sensoriali sarebbero fondamentalmente disconnessi. In tal modo, s‟innescherebbe il meccanismo dell‟attivazione continua con generazione di un flusso di dati dai depositi di memoria verso la parte cosciente del cervello. Zhang propose che tale attivazione cerebrale fosse l'induttore di ogni sogno e che con il coinvolgimento del sistema associativo cerebrale il sognare potesse essere in seguito auto-gestito con il pensiero sognante fino al successivo impulso d‟inserimento della memoria. Questo spiegherebbe perché i sogni hanno caratteristiche sia della continuità (all'interno di un sogno) sia dei cambiamenti improvvisi (tra due sogni). Eugen Tarnow suggerì, per sua parte, che i sogni fossero eccitazioni sempre presenti nella memoria a lungo termine, anche durante la veglia, rielaborando la teoria freudiana, sostituendo l‟inconscio con il sistema di memoria a lungo termine e il “Dream Work” di Freud, con la struttura della memoria a lungo termine (Neuro-Psychoanalysis 2003). (5(2). Da notare che già nel 1886 W. Der Truam Robert, medico d‟Amburgo, per primo suggerì che i sogni fossero un bisogno con la funzione di cancellare le impressioni sensoriali interamente elaborate e le idee non pienamente sviluppate nel corso della giornata. Ad opera del sognare il materiale incompleto sarebbe rimosso o approfondito e compreso nella memoria (W. Der Traum als Naturnothwendigkeit erklärt. Zweite Auflage, Hamburg: Seippel, 1886). Tale idea è stata riproposta nel 1983 da Crick, F. e Mitchison, G. nella teoria del „reverse learning‟, in cui si afferma che i sogni sono come le operazioni di pulizia dei computer quando sono off-line con rimozione di nodi e di altri parassiti (Nature, 1983, 304:111-114). Pur tuttavia, la tesi opposta di Hennevin E. e Leconte P. per cui il sogno ha un valore d‟informazione e una funzione di consolidamento della memoria, è molto comune (Anne Psychol. 1971, 71: 489-519). I sogni sono il risultato dell‟attività spontanea dei neuroni, mentre il cervello durante il sonno è in una fase di consolidamento della memoria. Durante il sonno gli occhi sono chiusi in modo che il cervello, in qualche misura, si possa isolare dal mondo esterno. Inoltre, tutti i segnali provenienti dai sensi, tranne l'olfatto, devono passare attraverso il talamo prima di raggiungere la corteccia cerebrale e durante il sonno l'attività talamica è soppressa. Ciò significa che il cervello lavora, soprattutto, con i segnali interni provenienti da se stesso.


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In conclusione la teoria scientifica dominante è che il sonno ha una funzione di grande trasformazione della memoria, essendo da molti studi di ricerca che nelle sue varie fasi si svolgono diverse funzioni in relazione al suo processo. Resta ancora da capire se i sogni hanno una funzione specifica o sono semplicemente un sottoprodotto della lavorazione della memoria nel sonno e per questo e altre condizioni sono necessari nuove ricerche per individuare meglio queste funzioni.


L'IPNOSI

L'ipnosi, procedura praticata con varietà di metodi per la maggior parte riguardanti il rilassamento e nella quale il conduttore suggerisce cambiamenti nelle sensazioni, percezioni, pensieri, sentimenti o nel comportamento, costituisce ancora un enigma. La natura della sua risposta dipende dall‟impegno e dalle qualità della persona ipnotizzata, piuttosto che dalle capacità dell'ipnotizzatore. Peraltro, l‟ipnotizzato non può essere costretto ad agire contro volontà, può eseguire particolari prodezze, non ottiene aumento dell'accuratezza della memoria, non consegue una letterale ri-esperienza di eventi passati da tanto tempo, può usufruire efficacemente per molti problemi medici e psicologici. Nei riguardi della sua natura vi sono due opinioni:

  1. il coinvolgimento della dissociazione o una scissione nella coscienza in cui una parte della mente funziona in modo indipendente dal resto, come per presenza di osservatori nascosti,
  2. il controllo delle funzioni esecutive dei lobi frontali indebolito da una modificazione non dissociata dello stato di coscienza.

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Invero, i suoi effetti sono dall'interazione tra l'influenza sociale dell‟ipnotista e le abilità, le credenze e le aspettative del soggetto. La persona ipnotizzata si sottomette volentieri ai suggerimenti, secondo un modello di ruolo che può spiegare i "rapimenti alieni" e le "regressioni a vite passate".

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L‟uso dell‟ipnosi si è dimostrato efficace per: ridurre il dolore e il disconfortro nel trattamento del cancro, rimuovere verruche, ridurre lo stress, ridurre l‟uso di narcotici nel dolore postoperatorio, migliorare la concentrazione e le motivazioni degli atleti, diminuire l‟ansia e la paura nei malati terminali, ridurre la depressione dopo parto, modificare il comportamento nei disordini dietetici, eliminare incubi notturni, aiutare i malati d‟insonnia, ridurre la severità e la frequenza degli attacchi d‟asma bronchiale, eliminare o ridurre la balbuzie, diminuire l‟intensità e la frequenza della cefalea, sopprimere il riflesso del vomito nelle procedure odontoiatriche.