notiziario febbraio 2011 n°2 - EVIDENZE SULLA SICUREZZA DEI FARMACI

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NOTIZIARIO Febbraio 2011 N°2

"EVIDENZE SULLA SICUREZZA DEI FARMACI"

A cura di Giuseppe Di Lascio

 

Con la collaborazione di:

Bagalino Alessia, Bauzulli Doriana, Di Lascio Alessandro, Di Lascio Susanna, Levi Della Vida Andrea, Melilli Simonetta, Pallotta Pasqualino, Sesana Giovanna, Stazzi Claudio, Zimmatore Elena

 


Sartani e trombocitopenia

Sul database GIF/AIFA sono comparse dieci segnalazioni, di cui sette dichiarate di grave entità, di trombocitopenia, per sospetto evento avverso degli antagonisti del recettore dell’angiotensina II nel loro uso isolato o in associazione all’idroclorotiazide. I pazienti, 5 femmine e 5 maschi, dai 51 ai 91 anni, erano in terapia con candesartan in 3 casi, losartan in tre, valsartan in due, telmisartan e irbesartan in uno rispettivamente. L’insorgenza si era verificata dopo un periodo di cura dai 6 agli 8 mesi per il candesartan, dai 12 giorni ai 10 mesi e mezzo per il losartan, dai 14 giorni ai sei mesi e mezzo per il valsartan, dopo un mese per il telmisartan, dopo 3 anni e 7 mesi per l’irbesartan.  In effetti, le valutazioni di questi dati sono state considerate inficiate dall’associazione con ticlopidina, considerata, com’è noto, di per sé, già responsabile di porpora trombocitopenica in un caso su 2.500 e in un altro con la ranitidina anch’essa con le stesse prerogative. In altri 7 pazienti esisteva, invece, l’associazione con l’idroclorotiazide che Okafor KC e collaboratori in Drug Intell Clin Pharm 1986; 20(1): 60-1 e Aster RH nel N Eng J Med. 2007;357(6):580-7) avevano segnalato come possibile causa d’induzione della porpora trombocitopenica.

La sospensione della terapia, peraltro, ha risolto completamente la complicazione in 5 casi, ha determinato miglioramento in uno, mentre in un altro si è avuto il decesso e in un altro ancora dei postumi. Di altri due pazienti, invece, non sono stati disponibili notizie ragguagliate. Da notare che anche il database del Medicines and Health care products Regulatory Agency inglese il 27 maggio 2010 riportava 5 casi di trombocitopenia in pazienti trattati con valsartan, 4 con losartan, 3 con irbesartan e uno con candesartan, non in associazione con altri farmaci. Così pure, il database dei Paesi Bassi il 25 luglio 2010 segnalava l’evento avverso di trombocitopenia in un paziente in trattamento con valsartan. Da considerare a tal punto che il foglietto illustrativo di questi prodotti non riporta tale complicazione, se non nel caso del losartan. Il meccanismo più probabile da invocare con cui questi farmaci e altri, come l’eparina, i FANS, i sali d’oro, la penicillamina, la sulfasalazina, gli anticonvulsivanti, il cotrimossazolo, le penicilline e gli inibitori recettoriali IIb/IIIa della glicoproteina P determinano la trombocitopenia, è quello della formazione di anticorpi farmaco dipendenti. In molti casi la sospensione del farmaco incriminato è bastato, comunque, a intervenire positivamente sul malato, in ragione di una manifestazione paucisintomatica. In altri l’uso dei corticosteroidi non si è dimostrato particolarmente efficace, mentre si potrebbe, rendere necessaria l’infusione di piastrine in altri casi ancora.  


Indapamide e disturbi muscolari

Dalla banca GIF/AIFA risultano tre casi di reazioni avverse sull’apparato muscolo scheletrico, di cui 2 con rabdomiolisi, dall’uso d’indapamide, distribuiti in Piemonte, in Toscana e in Puglia. In nessuno erano  associate statine o farmaci potenzialmente causa di danno muscolare e la reazione era grave in un caso e  non grave e non definita negli altri due. I pazienti erano tutti di sesso femminile di età dai 56 ai 60 anni.


 Reazioni psichiatriche da aminofillina

Dal database GIF/AIFA si rilevano 8 segnalazioni, 5 delle quali solo nel 2009, di reazione avversa di ordine psichiatrico durante la somministrazione di aminofillina per via parenterale. Un caso è stato definito grave e 4 caratterizzati da reazione, quale allucinazione, irrequietezza, psicosi, disorientamento. La segnalazione è stata inoltrata da un medico ospedaliero in sei casi e da un infermiere nell’ultimo. 


Tamoxifene, trombosi venosa profonda ed embolia polmonare

Rohini K. Hernandez e collaboratori dell’University School Boston, hanno condotto uno studio su 16.289 donne del database del Danish Breast Cancer Cooperative Group del periodo 1990 - 2004, affette da carcinoma mammario positivo per il recettore estrogenico (ER+) allo stadio I o II, di età tra i 45 e i 69 anni (Cancer 2009; 115: 4442-4449). Il trattamento con tamoxifene ha fatto registrare nei primi 2 anni un aumentato rischio di trombosi venosa profonda ed embolia polmonare (RR=3.5). Nei primi 5 anni, poi, il rischio è stato dell'1.2%, rispetto allo 0.50% delle donne che non avevano assunto il farmaco. Successivamente, il rischio non è particolarmente aumentato (RR=1.5 ). Inoltre, durante i primi 2 anni di trattamento il rischio è apparso più elevato nelle più anziane, rispetto alle donne più giovani. Lo studio sembra indicare, pertanto, che i primi 2 anni di terapia con tamoxifene rappresentano il periodo cruciale per il monitoraggio del rischio di trombosi venosa profonda ed embolia polmonare, in particolare nelle donne anziane.


Inibitori dell'aromatasi e accidenti cardiovascolari

Da più di cento anni è noto che l’ovariectomia bilaterale determina la regressione del carcinoma mammario in fase avanzata nelle donne in premenopausa, definendo, così, il ruolo importante degli estrogeni nella sua genesi e sviluppo. In età postmenopausale la produzione di questi ormoni è dovuta quasi esclusivamente alla aromatasi periferica non ovarica, essendo determinante, quindi, quella del grasso sottocutaneo. Esiste, difatti, un diretto rapporto tra indice di massa corporea ed estrogeni ematici. In particolare, la maggior parte dei carcinomi mammari possiede un'attività aromatasica propria che influisce fortemente sui livelli intratumorali degli ormoni con concentrazioni di estradiolo anche 10 volte superiori rispetto alle plasmatiche. L'aromatasi, presente nella granulosa dei follicoli ovarici e meno nel grasso sottocutaneo, nel fegato e nel muscolo, è un enzima della famiglia del citocromo P-450 che catalizza la reazione di sintesi degli estrogeni a partire dagli androgeni. Il tamoxifene è stato per diversi anni il farmaco principale utilizzato nel trattamento endocrinologico del carcinoma mammario. A seguito di sempre nuove evidenze, gli inibitori dell'aromatasi, soprattutto quelli di nuova generazione, sono andati sempre più imponendosi come farmaci antitumorali, potenzialmente anche in chiave preventiva.

Essi inibiscono o inattivano, in particolare nelle donne in postmenopausa, l'enzima con consequenziale soppressione totale della sintesi di estrogeni, per cui svolgono un’azione antiestrogenica totale, essendo privi dell'attività agonistica parziale propria del tamoxifene, responsabile dell’effetto protettivo sulla mineralizzazione ossea, ma anche dell’aumentato rischio di neoplasie uterine e di tromboembolie venose. Si classificano: in inibitori di tipo 1 o inattivatori enzimatici steroidei, analoghi dell'androstenedione, che si legano irreversibilmente al medesimo sito della molecola dell'aromatasi; in inibitori di tipo 2 o inibitori enzimatici non steroidei, sostanze a struttura non steroidea, che si legano reversibilmente al gruppo eme dell'enzima aromatasi. In particolare, i farmaci di terza generazione anastrozolo (Arimidex), letrozolo (Femara) ed exemestane (Aromasin) hanno dimostrato negli studi preclinici una potenza tre volte superiore rispetto all'aminoglutetimide, farmaco di prima generazione, associata a una buona tollerabilità.

Aman Buzdar e collaboratori dell’University of Texas, Houston, hanno condotto una meta-analisi di sette studi clinici ed hanno rilevato che l'uso degli inibitori dell’aromatasi si era associato a un rischio statisticamente espressivo di aumento di evento cardiovascolare (dal 3,4% al4,2%, incremento assoluto dello 0,8%, p<0,01) (SABCS 2010; Abstract 157). Questo rischio sembrava, tuttavia, attenuato se preesisteva un trattamento con tamoxifene, per poi passare all’inibitore dell’aromatasi. La differenza, peraltro, degli eventi cardiovascolari tra anastrozolo e tamoxifene era stata minima. Comunque, gli inibitori dell’aromatasi avevano impedito un cancro su cinque, rispetto alla verifica con tamoxifene. L’analisi ha anche dimostrato che le donne che assumevano inibitori dell'aromatasi avevano un 47% di aumento del rischio relativo di fratture ossee. Tale studio dovrebbe indurre a raccomandare ai pazienti con malattia cardiaca di cambiare farmaco o evitarne l'assunzione per un lungo periodo e passare al tamoxifene, dotato di più basso rischio in tale ordine, ma più propenso a determinare trombosi, ictus e cataratta. Tale considerazione acquista maggiore importanza nel caso di preesistente malattia cardiaca.


Propossifene e anomalie del ritmo cardiaco

Il 19 novembre 2010, la FDA (Federal Food and Drug Administration) ha annunciato che la Xanodyne Pharmaceuticals Inc. aveva accettato di ritirare dal mercato statunitense il darvon e il darvocetil, il cui composto attivo è il propossifene. La FDA ha anche invitato i produttori di farmaci antidolorifici contenenti propossifene di rimuoverli spontaneamente dalla commercializzazione. Recenti dati clinici hanno dimostrato, infatti, che la sostanza mette i pazienti a rischio di anomalie del ritmo cardiaco, potenzialmente gravi o addirittura mortali. L'agenzia ha concluso, quindi, che i rischi del farmaco superavano i benefici, per cuisi rendeva necessario informare gli operatori sanitari d’interromperela prescrizione di propossifene e invitare i pazienti in trattamento a contattare il proprio medico al più presto. Il propossifene, commercializzato da solo o in combinazione con l’acetaminofene, è un oppioide approvato dalla FDA nel 1957, usato per il trattamento del dolore da lieve a moderato. La sua sicurezza, peraltro, è stata messa in discussione da decenni, avendo la FDA anche ricevuto già due precedenti richieste di sua rimozione dal mercato. Nel giugno 2009 gli organi di controllo europei del farmaco avevano raccomandato di ritirare le autorizzazioni all'immissione in commercio e un graduale ritiro di esso è già in corso.

Nel luglio 2009, poi, la FDA ha ricevuto un nuovo allarme per il prodotto, circa il rischio di un’overdose fatale. Pur tuttavia, anche alle dosi raccomandate, il propossifene provoca cambiamenti significativi dell’attività elettrica del cuore con modifiche elettrocardiografiche a rischio di gravi anomalie del ritmo cardiaco, che possono condurre a gravi effetti avversi, tra cui la morte improvvisa. In particolare, nei pazienti in cura da molto tempo o con anche piccole variazioni dello stato di salute, come la disidratazione o con un cambiamento di farmaci o con ridotta funzionalità renale, si possono verificare più frequentemente i pericoli dei gravi problemi cardiaci anche mortali. Gerald Dal Pan direttore dell'Ufficio di Sorveglianza ed Epidemiologia, CDER ha in definitiva asserito che i dati, sino ad ora disponibili, dimostrano che la dose standard terapeutica del propossifene può essere dannosa per il cuore.

Ulf Jonasson, medico di sanità pubblica della scuola di Nordic a Göteborg, in Svezia, che ha contribuito decisamente alla rimozione del farmaco in tutta l'unione europea, ha affermato che il "propossifene è il peggiore farmaco della storia e che nessun’altro singolo principio attivo ha mai causato così tante morti".


Opportuna conoscenza della tossicità dell’acetaminofene

L’acetaminofene è il più diffuso analgesico e, solo negli Stati Uniti, è consumato da oltre 60 milioni di americani ogni settimana. In effetti, se preso in modo appropriato, è generalmente sicuro, ma sopra le dosi raccomandate dei 4gr. e in pazienti con fattori di rischio particolari può verificarsi epatotossicità. Negli Stati Uniti questo principio attivo è annotato come l’unico agente principale responsabile di avvelenamenti ed è ora riportato come la causa principale d’insufficienza epatica acuta (ALF). Di fatto, precedentemente è stato annotato come fattore associato ai tentativi di suicidio, ma recentemente è stato riportato come causa di epatotossicità secondaria a un’overdose accidentale inducente dal 30% al 57% di tutti i casi di ALF a seguito del suo uso. Questa tossicità involontaria è stata stimata di aver determinato più di 13.000 visite d'emergenza, più di 2.000 ricoveri, più di 1.000 e 2.000 casi di ALF e più di 100 decessi l’anno. Sono stati considerati fattori concorrenti a tali risultati l'uso diffuso del farmaco, la sua disponibilità in diverse preparazioni, sia di prescrizione sia OTC (over the counter), la mancanza di consapevolezza dei pazienti sul principio attivo e sul riconoscimento dei prodotti di acetaminofene e le idee sbagliate per quanto riguarda i pericoli dei farmaci OTC, che comportano molto spesso abusi.

Lori B. Hornsby del Department of Pharmacy Practice, Harrison School of Pharmacy, Auburn University, Auburn, AL e collaboratori per valutare queste condizioni hanno svolto uno studio descrittivo, non sperimentale, cross-sezionale (J Am Pharm Assoc. 2010;50(4):485-489) su 284 pazienti con un preordinato questionario. I due terzi dei pazienti, che hanno completato l'indagine, hanno riportato un uso corrente o recente di farmaci per il dolore, il raffreddore o l’allergia. Di questi, il 25% ha dichiarato di conoscere  il principio attivo, il 46% sapeva che "acetaminofene” era sinonimo di"tylenol" e il 13% di "APAP" (acetyl-para-aminophenol) rispettivamente. Il 12% riteneva che l'ingestione di una quantità nociva di paracetamolo potesse essere difficile o addirittura impossibile. Un terzo dei pazienti aveva identificato correttamente la dose massima giornaliera, il 10% ha segnalato una dose superiore ai4g, il 25% non era sicuro della dose e  il 7% non era certo se una dose massima fosse mai esistita. Una metà riconosceva il danno epatico come la fonte primaria di tossicità. Questi risultati corrispondevano sia in chi usava il farmaco sia in quelli che non lo utilizzavano.  Tale ricerca ha rilevato, invero, pericolose carenze nella consapevolezza dei pazienti in materia di riconoscimento del corretto dosaggio e del potenziale di tossicità dell’acetaminofene che stimolano lo sviluppo di efficaci iniziative di formazione d'empowerment per limitare i potenziali danni da paracetamolo.


Ipernatriemia secondaria a paracetamolo solubile

Il paracetamolo effervescente è abitualmente impiegato dagli anziani,senza spesso tener conto che una dose giornaliera di 4g può contenere fino a 8,7g di cloruro di sodio, superando, così, le raccomandazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Pur tuttavia, l’ipernatriemia, secondaria a tale uso, è abbastanza rara ma possibile. Con l’invecchiamento demografico in tutto il mondo, soprattutto nei paesi ad alta economia, gli anziani costituiscono ormai una percentuale elevata della popolazione ospedaliera totale con funzione renale spesso compromessa e con consequenziale maggiore difficoltà di gestione dell’eliminazione renale dei soluti e degli elettroliti. L’ipernatriemia negli anziani, definita da una concentrazione serica di sodio superiore ai 145 mmol/L, se grave, si associa, invero, a deficit neurologici e, soprattutto quando sopraggiunge acutamente in ospedale, anche a un’elevata mortalità tra il 42 e il 75%. Ne consegue che è fondamentale il riconoscimento, la prevenzione e la cura precoce di tale disturbo. Di basilare importanza, è già il controllo dell'assunzione cronica di sodio in eccesso per cui le correnti linee guida prevedono un’assunzione giornaliera non superiore ai 2 g, equivalente a 5 g di cloruro di sodio. Considerando che una compressa di paracetamolo solubile può contenere 18,6 mmol (427 mg) di sodio, 8 compresse di paracetamolo solubile saranno equivalenti in un giorno a 148,8 mmol (3,4 gr) di sodio o 8,7 g di sale, quantità che supera i limiti dettati dalle linee guida dell'OMS. Inoltre, è da considerare che in questi casi si associano frequentemente diversi farmaci di banco, come gli antiacidi e i lassativi che contengono anch’essi generose quantità di sodio. L’antiacido Alka Seltzer, ad esempio, contiene 19,4 mmol (445 mg) di sodio per compressa  effervescente per un massimo di 8 il giorno. Il movicol, lassativo comunemente usato, contiene 8,1 mmol (187 mg) di sodio per bustina. In tale contesto, sono stati descritti vari casi d’ipernatriemia a causa di un eccessivo consumo di sodio per via orale, come da codamol, paracetamolo 500 mg e codeina fosfato 30 mg.  In alcuni pazienti, in trattamento a lungo termine con paracetamolo solubile, è stata anche segnalata ipertensione.Pur tuttavia, a riprova dell'esistenza di meccanismi omeostatici per il mantenimento della normale sodiemia,tutti i casi d’ipernatremia sono stati riscontrati e si sono in maggior numero sviluppati nei pazienti in età pediatrica o in casi con insufficienza renale.

Pertanto, è bene prestare notevole attenzione alla prescrizione dei farmaci in pazienti con basi cliniche che controindicano il consumo di sodio e, in particolare, in quelli con ipertensione, insufficienza cardiaca o renale, ipernatriemia. Inoltre, deve essere ben seguita la regola secondo la quale i produttori dei farmaci devono dichiarare e mostrare chiaramente le concentrazioni di sale di un prodotto.

Keith Siaue Arun Khanna del Musgrove Park Hospital, Taunton, TA1 5DA, UK hanno descritto il caso di un uomo di 89 anni, caucasico con uso di paracetamolo per dolore cronico lombare, trattato in seguito con ciproterone acetato e goserelin per metastasi alla colonna vertebrale da carcinoma prostatico (Cases Journal 2009, 2:6707). In passato, il paziente denunciava solo una lieve insufficienza cardiaca congestizia.

Al giorno 11° di ricovero gli fu somministrato paracetamolo solubile 1 g quattro volte il giorno per convenienza. Nonostante la supplementazione iniziale di liquidi per via parenterale, al giorno 21° si registrò un’ipernatremia con peggioramento della funzionalità renale che indussero a sostituireil paracetamolo con altro farmaco. Al giorno 24° il deterioramento clinico si fece più grave, anche per un sopraggiunto stato settico di origine sconosciuta, e il paziente morì il 30° giorno.


Le dosi terapeutiche di paracetamolo sono epatotossiche nei bambini?

Lavonas EJ. E collaboratori Rocky Mountain Poison and Drug Center at Denver Health in Colorado, proprio in merito  alle perplessità sostenute dal potenziale danno epatico da paracetamolo nei bambini, hanno svolto una revisione sistematica (Pediatrics. 2010;126:e1430-1444) della letteratura sulle segnalazioni di tal genere in bambini con dosi terapeutiche della sostanza (≤ 75 mg/kg/die per via orale o endovenosa o ≤ 100 mg/kg/die per via rettale). Hanno, così, riscontrato che nei 62 studi selezionati con 32.414 bambini non è stato segnalato (0% [intervallo di confidenza 95%: 0,000-0,009]) alcun segno o sintomo di malattia epatica, nessuna necessità di antidoto o di trapianto, nessun caso di decesso. In 10 bambini (0,031% [intervallo di confidenza 95%: 0,015-0,057]) sono stati evidenziati, invece, maggiori o minori eventi avversi epatici. Il più alto valore di transaminasi riportato corrispondeva a 600 UI/L. Il punteggio Naranjo (2-3) ha suggerito un nesso di causalità possibile in 22 casi, di cui 9 con un nesso di causalità "probabile" (5-6). Tali dati porterebbero a concludere che la somministrazione terapeutica di paracetamolo nei bambini è raramente causa di epatotossicità, anche se alcuni casi clinici suggerirebbero che ciò potrebbe verificarsi senza che vi siano sufficienti dati a sostegno di una probabile relazione causale. Bisogna considerare, però, che pochi soggetti degli studiesaminati ricevevano esatte dosi di 75 mg/kg/diediparacetamolo eche moltil’hanno usato perperiodibrevi. Tale dato di fatto rappresenta, invero, una limitazione particolare della ricerca.


La FDA limita la prescrizione di acetaminofene

Negli Stati Uniti la FDA (Food and Drug Administration) il 13 gennaio 2011 ha chiesto alle ditte produttrici di limitare la quantità di paracetamolo nelle combinazioni antidolorifiche a non più di 325 mg per compressa o capsula per ridurre una possibile overdose e gli effetti epatotossici. La decisione, che sarà graduale nell'arco dei prossimi 3 anni, riguarda decine di prescrizioni di analgesici che contengono paracetamolo e un altro composto, in genere un oppioide, come la codeina, l’ossicodone, l’idrocodone. In effetti, alcuni di questi prodotti di combinazione contengono attualmente più di 750 mg di paracetamolo per dose. La recente limitazione, però, non si applica a numerosi antidolorifici OTC (over-the-counter) e a farmaci contenenti paracetamolo contro il raffreddore, la sinusite e la tosse. Normalmente, il livello massimo consentito per questi prodotti è di 500 mg, ma alcuni antidolorifici ad azione estesa, che si prendono meno frequentemente, possano arrivare anche a 650 mg.  La FDA tende, peraltro, ad imporre ai produttori di aggiornare le etichette di tutti i prodotti contenenti paracetamolo con una rifinitura di attenzione sul rischio del grave danno epatico, se l'ingrediente è preso in gran copia o usato con l'alcol. Il paziente, comunque, se deve usare analgesici con paracetamolo a dosi superiori a 325 mg deve farlo sotto la supervisione di un medico. La chiave di sicurezza, peraltro, non deve superare la dose massima giornaliera di 4000 mg, in qualsiasi forma di presentazione e composizione.


Ufficio stampa ministero della salute sul dosaggio del paracetamolo

Comunicato n.16 del 26/01/2011: il Ministro della Salute Ferruccio Fazio, rispondendo alle raccomandazioni della FDA (Food and Drug Administration), concernenti la limitazione del dosaggio nelle compresse di paracetamolo attualmente in distribuzione farmacologica, ha indetto una riunione della CTS (Commissione Tecnico Scientifica) dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) il 16 febbraio 2011. Il direttore generale Guido Rasi, ricordando che il farmaco è comunemente utilizzato soprattutto nel periodo invernale come sintomatico della febbre e dell’influenza, ha precisato nell’incontro che esso non deve essere considerato un prodotto senza pericoli ma un principio attivo potente con possibili gravi reazioni avverse. A seguito della segnalazione della FDA, anche in Italia, quindi, è partita una ricognizione dei prodotti commerciali a base del farmaco e delle dosi. Comunque, in Italia il paracetamolo ha un uso estemporaneo e non prolungato e le confezioni non sono ad alto dosaggio. 


Il REMS sull’uso dell’exenatide

Il REMS (Risk Evaluation and Mitigation Strategy) comprende procedure con lo scopo di contribuire a garantire che i benefici di un dato farmaco, o classe di farmaci, siano superiori ai rischi. La FDA US (Food and Drug Administration) ha facoltà di imporre ai produttori di farmaci di condurre studi clinici pre-e post-marketing per fornire la sicurezza di etichettatura o sviluppare REMS per particolari farmaci. L’exenatide è un agonista del recettore GLP-1 (glucagon-like peptide-1), indicato nella gestione aggiuntiva del diabete mellito tipo 2. Purtroppo, sono stati rilevati nelle analisi post-marketing casi fatali e non di pancreatite acuta emorragica e necrotizzante nei pazienti trattati. Inoltre, sono state segnalate rilevanti alterazioni della funzione renale, tra cui l’aumento della creatinina serica, l’insufficienza renale e il peggioramento della forma acuta e cronica. Gi elementi REMS della sicurezza del farmaco hanno portato alle raccomandazioni:

Ai medici si è raccomandato, in particolare, di:

  1. non prescrivere l’exenatide in casi con clearance della creatinina <30 ml / minuto o con malattia renale allo stadio terminale,
  2. usare, peraltro, cautela all’inizio del trattamento, aumentando le dosi da 5 mg a 10 nei pazienti con clearance della creatinina da 30 a 50 ml/minuto,
  3. monitorare, poi, i dati clinici, come i segni e i sintomi di pancreatite relativi a grave e persistente dolore addominale che si può irradiare alla schiena o a vomito,
  4. in caso di sospetta pancreatite, interrompere l’exenatide  comunque e in caso di conferma della reazione avversa non più prescriverla,
  5. prima di usare l’exenatide verificare se il paziente ha storia di:
    • pancreatite,
    • calcoli biliari,
    • alcolismo,
    • alto livello di trigliceridi nel sangue.

Epatotossicità da dronedarone

La FDA (Food and Drug Administration) ha diramato una comunicazione di sicurezza per i sanitari, invitandoli a una periodica esecuzione dei test di funzionalità epatica nei pazienti che assumono, soprattutto nei primi sei mesi, il dronedarone, avvisando di segnalare tempestivamente eventuali sintomi suggestivi di danno epatico. La Sanofi, peraltro, si è già impegnata  a diffondere questi dati.

Il 21 gennaio 2011 il CHMP (Committee for Medicinal Products for HumanUse) dell'EMEA (European Medicines Agency) ha indicato l’urgenza di modifiche alle informazioni del dronedarone per aiutare a gestire il più possibile il rischio delle complicazioni epatiche gravi. La commissione ha, inoltre, convenuto che la Sanofi-Aventis dovrebbe diramare una lettera agli operatori sanitari nei paesi in cui sono disciplinati i farmaci dall’EMEA, spiegando i cambiamenti delle raccomandazioni d'uso.


Il dolasetron mesilato (anzemet) e rischio di aritmie cardiache

La FDA ha ritenuto mettere in guardia il mondo sanitario sull’aumentato rischio di aritmie cardiache, causato dal dolasetron mesilato (anzemet; Aventis Pharmaceuticals), utilizzato per la prevenzione della nausea e del vomito, indotti dalla chemioterapia. La sua somministrazione iniettiva può, difatti, aumentare il rischio di torsioni di punta, potenzialmente fatali, in chiave di un prolungamento, dose-dipendente, degli intervalli QT, PR e QRS dell'elettrocardiogramma. Nei meriti, è stato condotto uno studio randomizzato, controllato con placebo, crossover in 80 adulti sani, verificando che la differenza dell’intervallo QT corretto, secondo la formula di Fridericia, rispetto al placebo, è stata di 14,1 ms e 36,6 ms per le dosi di 100 e 300 mg rispettivamente.Nel 4° giorno dello stesso studio si è riscontrato un prolungamento del PR e del QRS. Questi riscontri sembrano dovuti alla più alta concentrazione dell’idrodolasetron, metabolita attivo dell’anzemet. Una sottostante malattia cardiaca strutturale, anomalie preesistenti del sistema di conduzione, la tarda età, la sindrome della malattia del seno, la fibrillazione atriale a lenta risposta ventricolare, l’ischemia miocardica o l’uso di farmaci che prolungano l'intervallo PR, quali il verapamil, e l'intervallo QRS, come la flecainide o la chinidina, predisporrebbero ancor più a rischio particolare di gravi anomalie del ritmo. Risulta opportuno, qundi, correggere un’ipopotassiemia e un’ipomagnesiemia prima di somministrare il dolasetron, monitorizzando questi elettroliti dopo l’inizio della cura. Inoltre, è opportuno eseguire anche controlli elettrocardiografici, soprattutto nei pazienti con insufficienza renale o cardiaca congestizia, con problemi epatici, con bradicardia, con sottostanti malattie cardiache o, comunque, anziani. Le raccomandazioni sono riservate alla formula iniettiva del farmaco e non a quella orale. Pur tuttavia, il rischio di aritmia in quest’ultima forma di somministrazione è sempre presente anche se inferiore. La FDA ha posto l’accento, infine, che l'avvertenza si applica solo al dolasetron utilizzato per la nausea e il vomito indotti dalla chemioterapia, per cui con il dosaggio inferiore, come quello utilizzato per la nausea e il vomito postoperatorio, quest’agente sarebbe meno suscettibile di pregiudicare il funzionamento elettrico del cuore e causare aritmia, potendosi, quindi, in tal caso usare la forma iniettiva. Sul sito web della FDA, comunque, sono consultabili ulteriori informazioni nei meriti.


L'acquisto di farmaci on line è illegale?

Guido Rasi direttore generale dell' Aifa (Agenzia italiana del farmaco) ha riportato il 15 febbraio 2011 i dati di una ricerca secondo la quale oltre il 40% degli italiani non sa rispondere a questa  domanda. Nel 33% dei casi essi sono, invece, convinti che comprare medicinali su un sito web sia un’operazione positiva e vantaggiosa e solo il 19% è a conoscenza che la legge italiana non lo consente. Il viagra, il cialis e il levitra sono i più venduti nel web. Seguono i composti cardiovascolari, broncorespiratori, antidepressivi e per la demenza. Si stima che in Europa ben l'1% dei medicinali è venduto in forma contraffatta, non solo relativi ai cosiddetti life style, ma perfino  i veri e proprio salvavita, gli anticancro e gli specifici per le cardiopatie, risultadone seri rischi per la salute. Risulterebbe che in parte sono venduti online nelle farmacie, altri sono rubati o rietichettati o del tutto privi di principio attivo.

Il commercio di droghe illecite rappresenta, peraltro, un fenomeno globale in tutto il mondo che sta minacciando la salute e la stabilità sociale. Esso determina morte, malattia; alimenta la criminalità e la corruzione. Si stima che in Europa vi siano sino a 2 milioni di utilizzatori di droga che, soprattutto tra i giovani, ha raggiunto livelli storicamente alti. Peraltro, l'incidenza dell'HIV/AIDS tra i tossicodipendenti desta sempre più crescente preoccupazione negli Stati membri.Collateralmente e in diretta congiunzione, si pone il traffico di farmaci cherimarrebbe oggi unodeimestieripiù produttividella criminalità organizzata. In tale contesto, l’European Commission e l’EMCDDA (European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction) stanno tendendo a unire le loro forze per organizzare una lotta più efficace contro tale fenomeno.

Peraltro, già dal 2005 l’Europa si è interessata alla problematica delineando programmi di prevenzione e  informazione, insieme a provvedimenti operativi per svolgere pienamente il suo ruolo nella preparazione di una sua posizione in questo dibattito internazionale.