notiziario aprile/maggio 2011 n°4 - CONOSCERE L'INSONNIA PER MEGLIO COMBATTERLA

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NOTIZIARIO Aprile/MAGGIO 2011 N°4

"CONOSCERE L'INSONNIA PER MEGLIO COMBATTERLA"

A cura di:
Giuseppe Di Lascio
Susanna Di Lascio

 

Con la collaborazione di:

Bagalino Alessia, Bauzulli Doriana, Di Lascio Alessandro, Di Lascio Susanna, Levi Della Vida Andrea, Melilli Simonetta, Pallotta Pasqualino, Sesana Giovanna, Stazzi Claudio, Zimmatore Elena


Note introduttive sull'insonnia

La pratica della medicina generale, che s'imbatte molto frequentemente con i disturbi del sonno, deve porsi l'obiettivo primario del buon dormire in termini quantitativi e qualitativi, senza trascurare le consequenziali implicazioni importanti sulla salute e soprattutto sulle malattie cardiovascolari. L'interazione sonno-apparato CV è, in effetti, rilevante per l'elevata prevalenza di entrambi le condizioni ma anche per l'influenza, non sempre ben valutate nell'attività professionale, che esse stesse esercitano l'una nei confronti dell'altra.

Lo studio del sonno e dei suoi disturbi, in effetti, costituisce un argomento sicuramente attuale e stimola studi continui da parte di differenti specialisti in merito agli aspetti di fisiopatologia, di esatta connotazione nosografica, di diagnosi e di terapia. Bisogna rilevare, peraltro, che le conoscenze, pur essendosi negli ultimi anni molto approfondite, lasciano ancora zone d'ombra che stimolano ulteriori ricerche. Pur tuttavia, una reale certezza attuale risiede nel fatto che il sonno è sostanziale per la qualità della vita, per il regolare sviluppo e funzione dell'organismo, per l'efficienza del sistema immunitario e per la salute in generale.

Difatti, la deprivazione cronica del sonno, oltre ad interferire con l'accrescimento e ridurre le difese immunitarie, produce effetti negativi sull'efficienza della funzione cerebrale, sulla concentrazione, sulla capacità di decisione e sull'efficienza di ogni funzione di organo e apparato.
In particolare il CDC (Centers for Disease Control and Prevention) statunitense recentemente ha riportato gli effetti della breve durata del sonno sulle attività quotidiane riscontrati in uno studio di AG Wheaton e collaboratori sui dati del NHANES (National Health and Nutrition Examination Survey) del 2005-2008 negli Stati Uniti (Morbidity & Mortality Weekly Report. 2011;60(8):239-242).

È emerso che il 37,1% degli adulti americani riferivano regolarmente sonno inferiore alle 7 ore per notte e che la breve durata risultava più comune tra gli adulti tra i 20 e i 39 anni (il 37,0%) o tra i 40 e i 59 anni (il 40,3%) rispetto a quelli di età ≥ 60 anni (il 32,0%) e più comune fra i neri non ispanici (53,0% ) rispetto ai bianchi non ispanici (34,5%), ai messicani americani (il 35,2%) e alle persone di altre razze o etnie (il 41,7%). Tra le sei difficoltà valutate, legate al sonno, la più diffusa con il 23,2% risultava la mancanza di capacità di concentrarsi sulle cose da fare e, comunque, le difficoltà percepite correlate al sonno erano significativamente più probabili tra le persone che segnalavano meno di 7 ore di sonno rispetto a chi ne dichiarava da 7 a 9. Questi risultati hanno dimostrato che almeno un terzo dei residenti negli Stati Uniti non dormono abbastanza regolarmente con conseguenze negative sulle capacità di svolgimento delle attività quotidiane. La deprivazione cronica di sonno, pertanto, deve considerarsi una condizione di malattia con effetto anche cumulativo sulle malattie del benessere e può esacerbare le malattie croniche fisiche e mentali.


Definizione dell'insonnia

L'insonnia è uno dei disturbi più comuni e diffusi nella popolazione occidentale. Come i disturbi del sonno, tradizionalmente suddivisi in primari e secondari, anch'essa è classificata in primaria è secondaria. La prima forma ricorre senza una causa riconosciuta per più di un mese (DSM), come risultato di un disturbo endogeno nel meccanismo del sonno, spesso complicata da comportamenti appresi e alcune cattive abitudini, rappresentando l'unico problema nel soggetto affetto. Invece, la secondaria si concreta come risultato di un altro disturbo, ad esempio, la depressione, la gravidanza, i problemi respiratori o la malattia da reflusso gastroesofageo, il lavoro a turni, l'abuso di caffeina o di alcool.
Comunque, si fa diagnosi d'insonnia in caso di difficoltà persistente per almeno un mese nell'iniziare o mantenere il sonno, con tempi di latenza di addormentamento e risvegli notturni di almeno trenta minuti o risvegli mattutini precoci, per un tempo totale di sonno inferiore alle 6.5 ore e un'efficienza di sonno inferiore all'85%.

Ciò implica che un buon sonno dipende dalla capacità di dormire continuamente con la minima interruzione e con una qualità vagamente definita, più strettamente legata al senso soggettivo di ristoro al risveglio.
Sulla base erronea di diversi decenni, dagli anni 1970, in cui si considerava l'insonnia un sintomo e non un disordine, si è ritenuto sufficiente per lungo tempo il solo trattamento del disturbo da cui dipendeva e che ciò potesse comportare la sua risoluzione. Più di recente, invece, si è cambiata prospettiva per cui, se cronica, l'insonnia è caratterizzata come un disordine primario da designare come comorbidità e non come sintomo secondario in concomitanza di altre malattie mediche e psichiatriche.


Le varie forme dei disturbi del sonno

Il ritardo con cui questa designazione nosologica si è andata concretando nella cultura generale e professionale ha comportato, invero, una chiara implicazione di non diagnosi e/o non cura in forma mirata e selettiva, con la rilevante ripercussione derivante dalla sua alta frequenza nella popolazione. Essa, caratterizzata in alcuni studi di neuroimaging funzionale del cervello, in particolare la PET e la SPET, da un aumento del metabolismo e dell'attività neuronale con una maggiore funzione dei brain arousal systems, è classificata tra le dissonnie, in contrapposizione alle parasonnie. A tale proposito, l'American Sleep Disorders Association classifica e descrive i disturbi del sonno in diverse varie forme:

Le DISSONNIE comprendono:

  1. I disturbi del sonno intrinseci, non causati da fattori esterni, come:
    • l'insonnia psicofisiologica, determinata dall'ansia di dover dormire, per cui più si tenta di dormire più crescono la frustrazione e le ore d'insonnia,
    • l'ipersonnia, definita da una sonnolenza eccessiva di almeno un mese,
    • la narcolessia, definita da ripetuti e irresistibili accessi di sonno con perdita del controllo muscolare,
    • i disturbi del sonno connessi a problematiche respiratorie, come le crisi di apnea o l'ipoventilazione.
  2. I disturbi del sonno estrinseci, causati da elementi di disturbo esterni che interferiscono sul sonno come:
    • l'errata igiene, condizionata da attività quotidiane incompatibili con il mantenimento di una buona induzione di qualità del sonno e di una buona vigilanza diurna, come l'attività fisica tardiva giornaliera o l'irregolarità del sonno/veglia,
    • l'adattamento o la costrizione ambientale;
    • l'altitudine,
    • l'allergia alimentare,
    • l'insufficienza del sonno, come sindrome vera e propria,
    • i farmaci, come gli ipnotici, gli stimolanti, gli alcolici o le sostanze tossiche.
  3. I Disturbi del sonno da alterazioni del ritmo circadiano, insonnie con sfasamento del ritmo biologico come:
    • la sindrome da jet-lag con squilibrio sonno/veglia, obbligato da particolari circostanze,
    • la sindrome dei turnisti, ossia dei lavoratori con turni a rotazione durante la notte, contrastati nella continuità del sonno,
    • la sindrome da ritardo della fase del sonno in chi è abituato a dormire tardi senza riuscire ad anticipare le ore di sonno,
    • la sindrome da anticipo della fase del sonno in chi non riesce a rimanere sveglio la sera e presenta risvegli spontanei nelle prime ore del mattino.

Le PARASONNIE comprendono:

Usuali conseguenze dell'insonnia sono la sonnolenza diurna, la perdita della concentrazione, l'irritabilità, la preoccupazione per il sonno stesso, la perdita di motivazione o di altre performance giornaliere, come dimostrato in più studi. L'insonnia, classificata su base eziologica, si suddivide, come già citato, in primaria, senza che nessun'altra causa sottostante possa essere identificata, o secondaria perché dipendente dalla presenza di una malattia ben riconosciuta che la promuove e la mantiene nel tempo.

La forma primaria potrebbe, in effetti, essere collegata all'ipereccitazione generalizzata lungo un certo numero di sistemi biologici e psicologici. I pazienti, difatti, mostrano alla tomografia a emissione di positroni un aumento del metabolismo cerebrale del glucosio, sia da svegli sia da addormentati, con aumento dell'attività beta e una diminuzione di quella theta e delta elettroencefalografiche durante il sonno, un aumento del ritmo metabolico delle ventiquattro ore e più elevati livelli di ormone adrenocorticotropo e di cortisolo.
L'insonnia, peraltro, può essere definita in forma iniziale, centrale e finale in rapporto al periodo della sua comparsa nelle ore della notte oppure in rapporto alla durata e alla frequenza dei sintomi.


Durata dell'insonnia

Generalmente, però, in base alla sua durata, si suole suddividere l'insonnia in tre tipi:

  1. transitoria, di solito ricorrente, che dura fino a una settimana, spesso definita come disturbo di regolazione del sonno perché causato da un acuto stress situazionale, conflittuale,
  2. di breve termine, della durata da uno a sei mesi, solitamente associata a più persistente situazione stressante o ambientale,
  3. cronica, di durata superiore ai sei mesi, associata a una variabilità di disturbi.

Più recenti definizioni hanno, peraltro, semplificato questa classificazione considerando solo due categorie:

  1. l'acuta con periodi di difficoltà del sonno da una notte a un paio di settimane,
  2. la cronica con difficoltà di dormire per almeno tre notti alla settimana per un mese o più.

L'insonnia, che può essere sempre collegata, almeno in parte, a condizioni di comorbidità mediche e psichiatriche, di solito è, comunque, il risultato di un'interazione di fattori biologici, fisici, psicologici e ambientali. Da notare che, mentre la forma transitoria può verificarsi in chiunque, la cronica, accreditando la teoria di una sua manifestazione d'ipervigilanza, sembra svilupparsi solo in un sottogruppo di pazienti con fattori predisponenti, come la depressione e l'ansia.
L'igiene del sonno è senz'altro l'elemento critico di grande importanza per tutti i pazienti, compresi quelli che ricevono farmaci ipnotici. Condizioni fondamentali sono, difatti, gli sforzi compiuti per ridurre i livelli di eccitazione/attivazione durante le ore prima di coricarsi, la particolare attenzione per l'ambiente e il controllo dell'uso di farmaci, di alcol, di caffeina e di attività fisiche nelle ore prima di coricarsi.


Epidemiologia dell'insonnia

I dati sulla prevalenza dell'insonnia cronica sono alquanto discordanti in ragione di molteplici fattori, tra cui le differenze di definizione, la metodologia e la frequenza dei sintomi, l'età e le determinanti geografiche e socioculturali. Dopo la prima segnalazione su tale argomento di Karacan I e collaboratori (Soc Sci Med 1976;10: 239-244), vi è stato un intenso fiorire di studi epidemiologici in diverse parti del mondo e la sua prevalenza è stata stimata fino al 40% della popolazione. La Gallup Organization, in un campione di 700 adulti in cure primarie, ha riscontrato circa il 52% di probabilità d'insonnia indipendente, soprattutto in associazione con un maggior numero di condizioni mediche (OR, 2.19 [IC 95% 1,13-4,22]), nelle persone più istruite (1,67 [IC 95%, 1,11-2,51]), in chi dormiva meno per notte (OR, 0,71 [95% IC, 0,52-0,96]) e in chi si angosciava per una maggiore riduzione di performance durante il giorno (OR, 2.07 [95% IC, 1,06-4,03]) (J Am Board Fam Med. 2005;18(4):257-261).

Lo studio dimostrava che i pazienti in cure primarie cercano spesso l'aiuto del medico per i disturbi arrecati dall'insonnia, permettendo, così, un suo trattamento precoce.
Ohayon MM, applicando la definizione dei sintomi dell'insonnia cronica di tre o più volte a settimana o "spesso" o "sempre", ha riportato la prevalenza dal 16 al 21% (Sleep Med Rev. 2002;6:97-111). Ford DE e collaboratori nella loro revisione di sei studi demografici hanno rilevato che, con il criterio di almeno due settimane di sonno disturbato, i tassi di prevalenza variavano dal 9 al 17,7%.
Per quanto ci riguarda più da vicino, si valuta che circa un italiano su cinque abbia problemi del buon dormire, ma anche che non fa nulla per porvi rimedio, sottovalutando spesso la questione e rischiando di conseguenza di peggiorare la salute e rovinarsi la vita.

Le donne, peraltro, soffrono più spesso di:

In un sondaggio del 1991 il 30-35% degli adulti americani segnalava disturbi del sonno nel corso dell'anno precedente e il 10% insonnia cronica. Solo il 5%, però, aveva consultato uno specialista, mentre il 26% ne aveva discusso durante una visita fatta per un altro problema. D'altra parte, uno studio dell'Organizzazione Mondiale della Sanità di quindici aree del mondo ha rilevato un tasso di prevalenza del 27% circa nei riguardi della difficoltà a dormire, con maggiore frequenza in rapporto all'invecchiamento e nelle donne con differenze di circa il 40% vs il 30% rispetto agli uomini.
Da notare anche che diversi studi longitudinali hanno indicato che sia l'insonnia corrente sia la persistente o cronica sono altamente predittive dello sviluppo di nuovi disturbi psichiatrici.
Chang PP e collaboratori, in particolare, hanno seguito 1.053 studenti di medicina per un periodo medio di trentaquattro anni, con range da uno a quarantacinque anni dopo la laurea, durante il quale 101 uomini hanno sviluppato depressione clinica con incidenza cumulativa del 12,2% a quaranta anni, registrando anche tredici suicidi. In particolare, il rischio relativo (RR) della depressione clinica era maggiore in quelli che avevano riportato l'insonnia alla scuola di medicina (RR 2,0; 95% intervallo di confidenza [IC], 1,2-3,3), rispetto a quelli che non ne erano affetti ed era maggiore in quelli con disturbi del sonno sotto stress durante la scuola (RR 1,8; 95% CI, 1,2-2,7), rispetto a chi non aveva segnalato difficoltà. (Am J Epidemiol. 1997;146:105-114).
L'insonnia, pertanto, risulta uno dei disturbi più comuni e diffusi nella popolazione occidentale. In Italia affligge il 15-20% delle persone, pari a circa dodici milioni. Gli anziani, poi, oltre i sessantacinque anni, il cui sonno è fisiologicamente più leggero e frammentato, ne soffrono in misura del 40%.
Da uno studio del 28 novembre 2000, riportato da Saluteitalia.net e basato su interviste specifiche, è risultato che il 34% di 2.000 persone della Francia, dell'Italia, della Germania e del Regno Unito soffriva d'insonnia. Le donne con il 60% si dimostravano a maggior rischio. Ciò a conferma che ben sei cittadini europei su dieci dormirebbero male saltuariamente. In Italia la quota era del 54%, mentre il restante 40% riferiva di dormire poco e male costantemente. In particolare, il 37% degli italiani insonni tende ad attribuire il disturbo allo stress, il 38% all'ansia e il 22% alla depressione. La Società italiana di medicina del sonno con lo studio Morfeo (Terzano 2004,Terzano 2006) ha riportato, peraltro, l'incidenza dell'insonnia pari al 64% nelle cure primarie per altre cause, con il 44% dei pazienti che lamentava anche ripercussioni fisiche, sonnolenza diurna, astenia, o malessere psichico, irritabilità, umore depresso, di rilevanza tale da compromettere la loro qualità di vita.


L'eziologia dell'insonnia

I fattori che compromettono il sonno sono in genere:

Tra i modelli proposti per spiegare lo sviluppo e la persistenza dell'insonnia, quello del disturbo dell'ipereccitazione considera uno stato di veglia eccessivo oltre le necessità, tale da interferire con la capacità del dormire. Spielman AJ e collaboratori, a tale proposito, hanno proposto un modello pratico, indicato come "modello 3-P", per capire lo sviluppo dell'insonnia e del suo persistere in forma cronica sulla base dei fattori predisponenti e precipitanti degli stress della vita (Psychiatr Clin North Am. 1987;10(4):541-553).

In questo modello teorico eziologico dell'insonnia cronica gli Autori hanno descritto e definito come la forma transitoria può evolvere in varia misura in persistente secondo alcune vulnerabilità presenti in tutti, ma differenti di grado in virtù delle differenze individuali determinate dai fattori predisponenti. Peraltro, diversi tipi di fattori scatenanti possono intervenire, anche tra le persone poco esposte. Una volta, però, che l'evento iniziale scatenante si affievolisce, la maggior parte delle persone tende, in genere, a tornare al sonno normale. Per altri, forse quelli a maggior rischio, i disturbi, invece, persistono anche dopo la rimozione della causa iniziale. Per queste persone l'insonnia si sviluppa in modo proprio sulla base anche dei diversi fattori psicologici e comportamentali che contribuiscono a perpetuarla. Seguendo questo schema la gestione efficace dell'insonnia cronica deve, quindi, prevedere di attaccare efficacemente e direttamente il permanere di questi fattori.

Combattere l'insonnia sin dal suo inizio e intervenire tempestivamente sui fattori predisponenti permettono di evitare la fase di cronicizzazione della malattia e, come ormai hanno dimostrato diversi studi, di scongiurare lo sviluppo di disturbi gastrointestinali, il rischio d'ipertensione, le malattie cardiache ed anche allo sviluppo del diabete.

Dati sperimentali hanno, sufficientemente dimostrato, infatti, che la perdita di sonno si associa a riduzione della sensibilità insulinica e nei diabetici di tipo due alla scarsa regolazione della glicemia. Infine, ci sono anche dati sull'associazione con l'aumento della mortalità. Peraltro, nei riguardi delle malattie psichiatriche, Pigeon W e Perlis ML hanno posto, tra gli altri, l'accento sul ruolo dell'insonnia come fattore di aumentato rischio, particolarmente nei confronti della depressione maggiore (Int J Sleep Disord. 2007;1:82–91.).

L'età è, invero, un fattore riconosciuto di sviluppo dell'insonnia, ma non in ragione del fatto che si riduce il bisogno di ore di sonno né perché diminuiscono le condizioni della sua induzione e profondità. È, di fatto, soprattutto la presenza delle comorbidità mediche che sogliono aumentare la sua frequenza negli anziani.

Pertanto, gli sforzi rivolti a eliminare i disturbi tipici associati al dolore muscolo-scheletrico, alla nicturia e disuria, alle malattie cardiache, polmonari, della tiroide o di altro genere, rappresentano, senz'altro, un importante presupposto nella strategia più efficace e opportuna per ridurre l'impatto con l'insonnia.
Il modello di Spielman, peraltro, indica anche il ruolo importante e significativo dei tratti della personalità. Gli insonni sono, difatti, spesso ansiosi, frequentemente angosciati da fissazioni circa la quantità e la qualità del loro dormire e circa l'impatto che temono nei confronti delle loro prestazioni diurne. Processi di pensiero di tal tipo contribuiscono, di certo, al perpetuarsi e al peggiorare dell'insonnia e rappresentano un contrassegno per un programma efficace di trattamento globale della terapia cognitivo-comportamentale.

Da considerare ancora che i disturbi psichiatrici tendono a predisporre frequentemente allo sviluppo d'insonnia, come nel caso della depressione, dei disturbi d'ansia, del disturbo bipolare, del disturbo ossessivo-compulsivo o dei disturbi psicotici. Nell'ambito dei fattori precipitanti bisogna considerare lo stress di ogni tipo e grado, soprattutto in persone sensibili. Così, possono assumere importanza una malattia personale o familiare, la morte di un coniuge, di un figlio o di un genitore e la separazione o il divorzio o qualsivoglia rottura di una relazione. D'altra parte, anche fattori sociali, come la conflittualità sul lavoro e a scuola, la perdita di un lavoro o un crack economico o problemi finanziari di qualsiasi tipo possono risultare eventi di un segnale per lo sviluppo dell'insonnia. Infine, tra i fattori che possono perpetuarla, vanno considerati l'abitudine all'alcol e tutti i comportamenti e stili di vita errati che aumentano lo stato di eccitazione prima di coricarsi.
Tutti questi elementi devono essere particolarmente tenuti a mente e ricercati nell'approccio diagnostico alla malattia.


La valutazione del sonno

La valutazione del sonno rappresenta il primo approccio diagnostico per l'insonnia e si basa sulle caratteristiche di:

Peraltro, i segni obiettivi d'inadeguatezza del sonno cui fare attenzione sono:

L'esame deve comprendere la ricerca di evidenza di:

Il laboratorio deve prevedere lo studio di:

In particolare, Sadeh A dell'Adler Center dell'University di Tel Aviv ha in una sua recente revisione ribadito il ruolo del'actigrafia nella ricerca e nella medicina del sonno, analizzando le pubblicazioni sulle problematiche metodologiche relative all'utilizzo di tale strumento nelle terapie legate al sonno, direttamente collegate alle applicazioni cliniche (Sleep Med Rev. 2011 Jan 13.). Questo aggiornamento dimostra che secondo la maggior parte degli studi, l'actigrafia ha validità e affidabilità ragionevoli nei soggetti con ritmo del sonno relativamente normale. Nei casi di carenza di sonno o con altri disturbi la validità è più discutibile, soprattutto per la bassa specificità nel rilevare lo stato di veglia nei periodi di sonno riportate con alcuni dispositivi o campioni. L' actigrafia, comunque è sensibile nel rilevare i cambiamenti del sonno associati ai trattamenti farmacologici e agli interventi non farmacologici. Gli sviluppi recenti includono lo sviluppo di dispositivi appositamente studiati per rilevare i movimenti periodici degli arti nel sonno e l'introduzione di nuovi dispositivi e algoritmi. Pur tuttavia, a causa delle limitazioni dettate dall'actigrafia, è sempre consigliabile l'uso di metodi complementari di valutazione, oggettivi e soggettivi, quando possibile.
In definitiva questa ricerca ha permesso all'autore di concludere che l'actigrafia è un metodo efficace per la valutazione obiettiva del sonno e dei disturbi del sonno anche dal punto di vista dei costi.

Di fatto, vi sono ben individuate barriere principali al riconoscimento e trattamento dell'insonnia che ogni medico dovrebbe considerare nell'esercizio della propria professione per evitarle e costruire un adeguato sviluppo di consultazione con il proprio paziente.


Quale strategia nella cura dell'insonnia cronica primaria?

Premesso che l'insonnia episodica o situazionale suole risolversi spontaneamente, è bene ribadire che per curare l'insonnia refrattaria è bene ricorrere a entrambi i trattamenti farmacologici e non, sempre dopo ottimizzazione curativa di qualsiasi coesistente comorbidità medica o psichiatrica, avendo sempre affrontato e possibilmente risolto qualsiasi problematica d'uso o abuso di farmaci e droghe.


I trattamenti non farmacologici nell'insonnia

Diverse erbe mediche e integratori alimentari, come la valeriana, la melatonina, la lavanda, la passiflora, il triptofano sono pubblicizzati nella lotta contro l'insonnia, ma senza le sufficienti evidenze scientifiche di efficacia. Il solo estratto della radice di valeriana, che inibisce la degradazione del GABA o dei suoi metaboliti, fornisce alcuni dati positivi ma con persistenza della sedazione giornaliera residua e, raramente, di epatotossicità. Anche i prodotti parafarmaceutici contenenti la Kava Kava, pianta dotata di azione calmante, miorilassante e ipnogena, hanno dimostrato severa tossicità epatica, tanto che nel 2002 il Ministero della Salute ne ha decretato la sospensione cautelativa. La melatonina, ormone prodotto dall'ipofisi, fisiologicamente coinvolto nella regolazione del sonno e le cui preparazioni possono variare moltissimo in termini di potenza, combatte, per sua parte, l'insonnia legata al cambiamento del ritmo circadiano, ripristinando nelle sue fasi il sonno regolare. Per questo in Italia non è considerata propriamente un farmaco. Sembrerebbe, peraltro, di pari efficacia del placebo nei disturbi del sonno a breve termine, senza che siano abbastanza chiariti i suoi effetti avversi a lungo termine. Usata ad alte dosi, può, invece, causare alterazioni del sonno con stanchezza giornaliera, cefalea, vertigini e irritabilità. D'altra parte, gli antistaminici, soprattutto quelli di prima generazione, scarsamente efficaci nell'induzione del sonno di cui possono addirittura ridurne la qualità causando anche sonnolenza residua, sono da più parti sconsigliati per le loro proprietà atropiniche con secchezza delle fauci, vertigini, affaticamento e, soprattutto negli anziani, rischio di cadute per vertigini e sedazione sconveniente. I principali metodi di trattamento dell'insonnia cronica primaria risiedono attualmente, di fatto, nell'uso della CBT (terapia cognitivo-comportamentale) e delle benzodiazepine, scoperte negli anni sessanta. Secondo molti esperti il primo approccio di cura dovrebbe essere prioritario, riservando il secondo ai casi: di richiesta di una risposta immediata, di sperimentazione di una condizione negativa sulla qualità di vita del paziente, di resistenza alle sole misure non farmacologiche, di persistenza del disturbo a dispetto del trattamento della condizione medica sottostante. Il trattamento, comunque, deve essere rivolto al miglioramento del sonno, sia in quantità sia in qualità, con l'obiettivo della ripercussione positiva sulla performance diurna. Al riguardo, è bene innanzitutto notare che, in ragione della carenza di studi sulla relazione tra la durata dell'insonnia e quella delle cure, non esistono ancora chiare indicazioni sulle necessità di un trattamento cronico. Pertanto, potrebbe essere anche del tutto possibile che una terapia a breve termine possa risultare già sufficientemente conclusiva. Comunque, indagare e comprendere le modalità di sviluppo dell'insonnia permettono, di certo, di curarla già nelle sue fasi iniziali, evitando la sua progressione verso la cronicità. Utilizzando il modello Spielman, ad esempio, e riconoscendo i tratti predisponenti, si potrebbero usare metodi più aggressivi contro lo stress e educare il paziente a prevenire i fattori chiave stressogeni di base. Di certo, la comprensione delle modalità del suo sviluppo, anche quando si è giunti alla cronicità, è importante poiché l'identificazione degli elementi che hanno contribuito alla sua progressione facilita il compito ai medici e ai pazienti per rendersi conto che le terapie comportamentali, combinate con gli interventi farmacologici, rappresentano le opzioni di trattamento più opportuno.
Va, comunque, sempre ribadito che una corretta interpretazione e adozione dei principi basilari d'igiene del sonno sono quasi sempre in grado di combattere il disturbo, soprattutto al suo insorgere, per cui rappresentano il cardine di ogni inizio di trattamento.


Gli obiettivi di cura e i principi d'igiene del sonno

In aggiunta a quanto riportato in tabella, seguendo le indicazioni della Coldiretti sono anche da evitare le patatine fritte, le portate con dado da cucina, il cioccolato, il cacao, il caffè, il tè, il curry, il pepe, la paprika, i superalcolici, i salatini e gli alimenti in scatola. I cibi permessi, invece, sono la pasta, il riso, il pane, l'orzo, la lattuga, il radicchio rosso, l'aglio, la zucca, le rape, il cavolo, i formaggi freschi, lo yogurt, le uova bollite, l'infuso caldo di miele, il latte caldo e la frutta dolce.
L'Associazione britannica per la psicofarmacologia ha recentemente rilasciato nuove linee guida per i disturbi del sonno, destinate a essere raccomandazioni complete per gli operatori sanitari nella gestione dei pazienti, sia nelle cure mediche primarie sia secondarie (J Psychopharmacol November 2010 24: 1577-1601). Secondo tali norme, il trattamento psicologico sarebbe appropriato perché l'insonnia è un disordine psicofisiologico in cui giocano sia fattori predisponenti mentali e comportamentali sia scatenanti che perpetuano il disturbo. La CBT, proprio come farmacoterapia del sonno, impiega un pacchetto d'interventi, individuali o in gruppo, destinati a chi soffre di scarso sonno per giungere a comportarsi come chi dorme bene. L'American Academy of Sleep Medicine ha approvato il trattamento non farmacologico in prima istanza per l'insonnia cronica, come efficace e affidabile, da proseguire anche dopo necessità dei farmaci, rilevando anche le condizioni di migliore predittività alla sua risposta.

Il NIH Consensus and State of the Science Statements, Vol 22, N 2 June 2005 ha riportato a pagina quattordici: "La CBT si è rilevata, nel trattamento a breve termine dell'insonnia cronica, efficace quanto i farmaci. Inoltre, vi sono indicazioni che i suoi effetti benefici, a differenza di quelli prodotti dai farmaci, possono durare ben oltre la cessazione del trattamento attivo ".
Peraltro, diverse meta-analisi hanno riassunto l'efficacia sia della terapia cognitivo-comportamentale sia farmacologica anche in via comparativa. I dati, in coerenza con le conclusioni della NIH State-of-the-Science Conference Statement del giugno 2005, confermano che:

  1. sia i BZRA (Benzodiazepine receptor agonists) sia la CBT sono efficaci a breve termine ma con la CBT dotata, di effetti più durevoli in caso di sua sospensione,
  2. le prove sul possibile mantenimento di efficacia degli BZRA sono scarse nel trattamento a lungo termine.

Peraltro, i profili di sicurezza sono molto favorevoli per ogni tipo di cura. A oggi, però, sono stati condotti sugli BZRA solo pochi studi nei meriti, senza confronto dell'efficacia e della sicurezza dei farmaci.
In una recente meta-analisi Riemann e Perlis (Sleep Med Rev. 2009 Jun;13(3):205-14) hanno anche concluso che durante il periodo di trattamento la CBT e i farmaci producevano miglioramenti comparabili, che la prima produceva significativi benefici a lungo termine e che gli effetti a lungo termine della terapia farmacologica non erano stati riportati.


Il farmaco ipnotico ideale

Si sono anche messe in evidenza le caratteristiche dell'ipnotico ideale che dovrebbe indurre un'architettura del sonno normale, piuttosto che provocare una sua struttura alterata. Non dovrebbe generare effetti indesiderati il giorno dopo, come l'ansia di rimbalzo o la sedazione continua. Dovrebbe essere usato, in assenza di interazione con altri farmaci, cronicamente senza causare dipendenza o insonnia di rimbalzo alla sua interruzione. In verità, tali proprietà sono state discusse per decenni e si è costatato che tutti i farmaci tendono a migliorare solo uno o più aspetti del sonno soggettivo e solo alcune funzioni diurne. A tal proposito, assumono importanza, di fatto, le caratteristiche farmacocinetiche, sia in termini di rapidità di azione cerebrale sia di durata. In effetti, più velocemente l'ipnotico arriva al cervello, più prontamente viene indotto il sonno. Su tali basi i barbiturici, i soli farmaci disponibili fino a qualche anno fa, sono stati di poi progressivamente abbandonati per la loro tossicità ed anche perché inducevano una marcata riduzione del sonno REM con conseguenze negative, come la difficoltà di memoria, la confusione mentale, la notevole riduzione dell'attenzione del giorno dopo.


Le benzodiazepine nella cura dell'insonnia

Attualmente, alle benzodiazepine e agli agonisti dei loro recettori si riconoscono le proprietà farmacologiche più efficaci. In effetti, esse hanno azione ansiolitica, ipnotica, rilassante della muscolatura scheletrica, anticonvulsivante. Pur tuttavia, agiscono sullo stato di coscienza, presentando anche una condizione di tolleranza e di dipendenza. Sulla base dell'effetto farmacologico il loro uso terapeutico è rivolto a sedare gli stati di ansia e a combattere l'insonnia, preferendole ai barbiturici. Sono anche usate nel trattamento di alcune forme di epilessia e per indurre anestesia basale, come nel caso del diazepam endovena. Il meccanismo d'azione delle BDZ si realizza soprattutto in base al loro effetto farmacologico di facilitare la trasmissione GABAergica nel cervello. Il GABA (acidoγ-aminobutirrico), com'è noto, rappresenta il principale neurotrasmettitore inibitore nel sistema nervoso centrale, i cui terminali nervosi, circa nella quota di 1/3, lo rilasciano. Peraltro, sono stati identificati diversi tipi di recettori GABA, come ad esempio i GABA A e i GABA B. Le BDZ facilitano le azioni del GABA sui recettori GABA A, costituiti da sub unità α, ϐ, γ, ð, di cui, peraltro, esistono diversi sottotipi, potendosi avere multiple possibili combinazioni.

In minor misura sono considerati gli agonisti dei recettori della melatonina e gli antidepressivi, scelti sulla base dei fattori specifici del paziente, quali l'età, la durata del trattamento proposto, i disturbi del sonno primari, la storia di abuso di droghe o alcool e il loro costo. Sono anche praticate, al di fuori della medicina convenzionale, l'agopuntura, l'omeopatia, la fitoterapia. In definitiva si può affermare che tutti i farmaci con brevetto d'uso sono, in genere, efficaci e da preferire in ragione delle caratteristiche legate al paziente.

Così, ad esempio, in un paziente con prevalente difficoltà d'induzione del sonno può essere opportuno un farmaco ad azione più breve, mentre, in caso di risvegli durante la notte, sarebbe da preferire un farmaco ad azione prolungata. In particolare, la scelta di una BZD per i vari usi terapeutici è determinata e influenzata dalla sua emivita, tenendo in buon conto che molte di esse vengono trasformate in metaboliti attivi con emivita plasmatica molto spesso più lunga dello stesso composto di origine. Di conseguenza, è importante conoscere il metabolismo completo di un farmaco ed anche il profilo metabolico dei metaboliti attivi. Tale dato, infatti, tende a evitare reazioni non desiderate legate all'aumentata funzione del GABA nel cervello per cui, oltre all'induzione del sonno, si possono manifestare anche azioni ansiolitiche, anticonvulsivanti e miorilassanti con possibile atassia e problemi di memoria. Per tale motivo tali farmaci vanno limitati al solo periodo di allettamento. Infatti, se il loro effetto cerebrale dovesse persistere anche nella mattina seguente, potrebbero verificarsi condizioni del tipo simile a una 'sbornia'.
La prima BDZ sintetizzata è stata il clordiazepossido, cui è seguito il diazepam, che fu il principio attivo più prescritto nel mondo. Oggi sul mercato sono presenti almeno sedici tipi di questi principi attivi, differenti fra loro per la velocità d'induzione dell'effetto psicoattivo nel malato e per la durata della loro azione. Le BDZ, la cui denominazione deriva dalla porzione di struttura composta dall'anello benzenico fuso con uno diazepinico a sette membri, sono metabolizzate quasi esclusivamente dal citocromo (CYP) P450 3A4 per cui, quando sono somministrate con farmaci che utilizzano la stessa via metabolica (cimetidina, estrogeni, disulfiram, alfentanil, eritromicina), si può verificare un aumento dei loro livelli plasmatici, potenzialmente causa di sovradosaggio. Nel caso, invece, di associazione con un principio attivo che promuove gli isoenzimi 3A4, si ottiene una riduzione delle loro concentrazioni plasmatiche con un loro conseguente minore effetto sedativo. I nuovi agenti sedativi immessi in commercio, però, sono metabolizzati da enzimi diversi dal CYP e, quindi, con biotrasformazione legata in tono minore agli effetti degli inibitori o degli induttori del CYP3A4.

A tale proposito, in letteratura si trovano, ormai, diverse revisioni sistematiche e meta-analisi sulle problematicità nell'uso delle BZD negli adulti, soprattutto se più anziani, senza che siano ancora stati identificati i termini certi di sicurezza, di efficacia comparativa e di costo-efficacia. Di certo, a parte tutto quanto nei meriti, va segnalato che, secondo una ricerca di Frost&Sullivan del 2007, il fatturato totale mondiale delle industrie farmaceutiche che ruotava intorno al mercato delle benzodiazepine era di cinque miliardi di dollari, con previsione di dieci miliardi entro il 2012, costituendo tale dato di fatto un vero e proprio business del sonno.

Bisogna, d'altra parte, annotare che tutto ciò continua a realizzarsi con la problematicità d'uso che comporta rischi di cadute e fratture negli anziani e impatto sul declino cognitivo e mortalità, anche se non completamente chiarita. Peraltro, una diversità di farmaci, usati negli adulti più anziani, come gli antidepressivi, gli antipertensivi, i diuretici, i beta-bloccanti, i sedativi, gli ipnotici, gli antipsicotici e i farmaci anti-infiammatori non steroidei, possono determinare comunemente gli stessi inconvenienti.

In Italia, dall'ultimo rapporto AIFA sul consumo dei farmaci, emerge che le benzodiazepine e analoghi (ansiolitici, ipnotici, sedativi) presentano un consumo di fascia C, ossia a spese del cittadino, per circa 480 milioni di euro. Dati OMS indicano, peraltro, che gli insonni italiani detengono il primato della minore consultazione del medico e della più alta forma di automedicazione. Le BZD coprono circa il 45% della spesa farmaci territoriale del SNC in classe C e il lorazepam, presente in oltre 140 paesi del mondo, da solo fattura 36 milioni di euro per dieci milioni di confezioni vendute.
È bene porre in evidenza, ancora, che statistiche specializzate riportano il 3% degli incidenti stradali dovuti al classico colpo di sonno con ben il 20% per sonnolenza e calo dell'attenzione. In tutto questo, un'importante responsabilità ricadrebbe sui farmaci che, spesso, si assumono senza alcuna informazione e precauzione.

A tale proposito, torna utile ricordare la sentenza della Suprema Corte di Cassazione, sez. V penale, n. 1025 (17/10/2006-17/01/2007) secondo la quale i medici hanno l'obbligo di informare il paziente circa gli effetti collaterali del farmaco prescritto, come, ad esempio, nel caso in cui lo stesso possa provocare il "colpo di sonno", affermando, al contempo, la necessità di multare i sanitari inadempienti. A ciò si aggiunga la possibilità per il medico di dover rispondere di lesioni colpose, nell'omissione di quanto sopra, in caso di un incidente stradale, con condanna in primo e secondo grado per lesioni gravi riportate dal paziente o altri.
Anche per tali motivi negli anni '90 sono stati introdotti nel mercato farmaceutico i cosiddetti Farmaci Z (tra cui Zolpidem, Zoplicone) ovvero imidazopiridine, che non hanno le controindicazioni delle benzodiazepine (sonnolenza diurna) e sembrano indurre un sonno più fisiologico e più simile al sonno naturale.

In caso, invece, di associazione dell'insonnia con la depressione è stato promosso l'uso degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e l'escitalopram (Cipralex o Entact). Sono entrati in uso anche gli antidepressivi, come l'amitriptilina, la nortriptilina e il trazodone, che, soprattutto i primi due, per gli effetti indesiderati anticolinergici e la disponibilità di nuovi agenti, sono stati progressivamente abbandonati. Il trazodone è, invece, ancora ampiamente accettato nel paziente depresso, anche perché appare diminuire l'insonnia causata dagli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina. Questo farmaco, infatti, non influenza la latenza del sonno e non ne diminuisce la fase REM, ma può costituire una seria limitazione d'uso negli uomini per il priapismo, come suo potenziale, grave effetto collaterale.

In definitiva, si può concludere che l'insonnia cronica, in genere, risponde meglio ai piani di trattamento multidimensionale che affrontano i problemi psico-comportamentali, ottimizzando la gestione delle comorbidità, intervenendo, tempestivamente e propriamente con una personalizzazione prescrittiva di farmaci in rapporto ai sintomi e allo stato clinico del paziente. La terapia cognitiva comportamentale e le raccomandazioni d'igiene del sonno assumono un ruolo importante e prioritario e, allo stato attuale, la scelta del farmaco deve essere perseguita con continua attenzione sulla sua efficacia e sicurezza a lungo termine. Molti ipnotici tradizionali e della classe delle benzodiazepine, ad esempio, possono essere utili per cure a breve termine, ma vanno sconsigliati e nel caso attentamente controllati nei trattamenti a lungo termine per gli effetti collaterali indesiderati e le loro interazioni farmacologiche. Le BDZ, purtroppo, danno il fenomeno della dipendenza che può essere definito come moderata dipendenza fisica e attenuati fenomeni da sospensione dell'uso, scarsa tolleranza, tendenza a un'elevata dipendenza psicologica. Di solito durante il loro uso con dosi terapeutiche si osservano evidenti ma non gravi fenomeni da sospensione, non vi è tendenza all'aumento dei dosaggi, mentre vi è una tendenza a protrarre il trattamento anche quando non vi siano ragioni cliniche evidenti che ne consiglino la prosecuzione. Il trattamento della dipendenza da BDZ, che dovrebbe essere sempre personalizzato, produce effetti sul sistema nervoso centrale, variabili in rapporto al dosaggio, alla durata d'uso, allo stato nutrizionale e al livello della stessa dipendenza. Per una disintossicazione completa possono essere necessarie fino a sei settimane in cui i pazienti possono provare ansia transitoria, attacchi di panico e desiderio verso la sostanza, che può durare fino a sei mesi. Possono essere utili anche sedute di rilassamento o di biofeedback. L'astinenza, invero, è il fenomeno più appariscente e tende ad essere maggiore e intenso con la brusca sospensione. Può manifestarsi, però, in forma attenuata anche nel corso della riduzione programmata del dosaggio. Si manifesta più facilmente in seguito a cure prolungate di oltre quattro - sei mesi con dosi mediamente più elevate delle normali terapeutiche e in personalità caratteristiche del paziente che lo predispongono all'autogestione terapeutica. Pur tuttavia, la sindrome da sospensione non si manifesta solo nell'abuso o nello scorretto uso delle BDZ, ma anche in alcune condizioni di normale uso terapeutico. I sintomi psicofisici, più gravi negli alcolisti, in genere compaiono da uno a sette giorni dopo la sospensione, in rapporto alla durata di azione della BDZ usata. In particolare, essi variano dalle dodici alle quattordici ore dopo l'interruzione del trattamento in caso di uso di principi attivi con vita breve e fino a 3-10 giorni per quelli a lunga durata d'azione. La durata della sintomatologia può variare da una a quattro settimane, in rapporto alla sua intensità e al quadro clinico. I sintomi più osservabili con maggiore frequenza sono l'insonnia e l'ansia di rimbalzo, cui possono aggiungersi l'irritabilità, l'ipersensibilità sensoriale, le palpitazioni, la cefalea, i dolori muscolari e le sensazioni di caldo e di freddo. In casi molto rari e solo in seguito alla brusca interruzione di dosaggi molto elevati sono state descritte crisi di tipo convulsivo.
In conformità a quanto riportato emergono la complessità del malato affetto da insonnia e la complessità di studio e di ricerca della migliore strategia terapeutica. Di certo, la comunicazione medico/paziente rappresenta un importante strumento per l'aderenza alle cure e per il raggiungimento degli obiettivi. È, pertanto, essenziale che l'operatore sanitario tracci un modello di approccio professionale che non dimentichi le principali regole da seguire e che porti convinzione e fiducia nel paziente.

I conclusione a tutto quanto riportato torna utile riproporre lo statement conclusivo per la gestione dell'insonnia del consensus nazionale dei medici di medicina generale di seguito in tabella. Vantaggioso risulta anche educare il malato a compilare un diario del sonno per almeno sette giorni che possa fornire una convincente discussione sulle abitudini e sui comportamenti erronei e che possa permettere l'instaurazione di una comunicazione sempre più efficace.