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notiziario Febbraio 2012 N°2 - DEPRESSIONE COME MALATTIA SISTEMICA II° parte - La diagnosi differenziale della depressione

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Indice
notiziario Febbraio 2012 N°2 - DEPRESSIONE COME MALATTIA SISTEMICA II° parte
IL MODELLO FISIOPATOLOGICO DELLA DEPRESSIONE
l'ipotesi aminergica della depressione
la base neurochimica della depressione
Depressione, infiammazione e sistema immunitario
Depressione, infiammazione e sistema immunitario
CLASSIFICAZIONE DELLA DEPRESSIONE
DIAGNOSI DELLA DEPRESSIONE
Il questionario per il paziente depresso PHQ-9
La diagnosi differenziale della depressione
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La diagnosi differenziale della depressione

La diagnosi differenziale della depressione rappresenta un passaggio importante nello studio del malato poiché la presenza dei disturbi dell’umore, della stanchezza, tristezza, insicurezza e rassegnazione sono comuni a molti altri disturbi mentali o di ordine medico generale, come le malattie del sistema nervoso centrale, i disturbi endocrini, le condizioni correlate a farmaci, le malattie infettive e infiammatorie, i disturbi del sonno e le neoplasie. Soprattutto negli anziani la diagnosi può essere difficile perché i sintomi possono verificarsi in molti casi indipendentemente dalla depressione. Sulla base di quanto riportato, occorre, quindi, tenere presente con attenzione la possibilità di altre malattie che possono presentare un quadro clinico simile alla depressione e che vanno accuratamente escluse sulla base dei segni distintivi differenziali.

Occorre, pertanto, tenere a mente che i casi con disturbo d'ansia sono a maggior rischio di sviluppare la depressione in comorbidità e che è importante identificare il disturbo d'ansia perché gli individui colpiti spesso richiedono approcci terapeutici specifici. I disturbi d'ansia comunemente in gioco sono: il disturbo di panico, quello ossessivo-compulsivo, quello d'ansia generalizzata, quello da stress post-traumatico e la fobia.

Per altro verso, i disturbi della personalità, determinati ad esempio da forme borderline e talvolta difficili da determinare nel contesto dei sintomi acuti affettivi, possono presentare d'importante i cambiamenti dell’umore. Molti pazienti, che sembrano labili, esigenti o patologicamente dipendenti, cambiano drammaticamente una volta che l'episodio depressivo è stato trattato adeguatamente.

D’altra parte, i disturbi alimentari, che richiedono approcci terapeutici specifici, manifestano anch’essi un alto tasso di comorbidità con il disturbo depressivo maggiore.  Essi comprendono, in genere, la bulimia, l’anoressia nervosa e i disturbi alimentari non altrimenti specificati. In molti casi si riconosce il così detto disturbo d'alimentazione incontrollata o dell’abbuffata compulsiva, il binge eating anglosassone, non elencato attualmente come diagnosi specifica nel DSM-IV-TR. Tale condizione si caratterizza per frequenti abbuffate compulsive con perdita del controllo sulla quantità e sulla qualità del cibo ingerito, senza gli atti compensatori successivi presenti nella bulimia, come vomito auto indotto o assunzione di diuretici e lassativi. Nel caso che la sindrome si manifesti solo nelle ore serali e in particolare durante il periodo notturno, si parla di NES (Night Eating Syndrome), che rappresenta  una sorta di combinazione dei disturbi dell'alimentazione, del sonno e dell'umore. Vi è anche il Binge Drinking, che a somiglianza del  Binge Eating è caratterizzato da frequenti bevute compulsive di alcol, superiori alla propria tolleranza psico-fisica, con il preciso intento di provare ebbrezza e di raggiungere l’ubriachezza completa.

Per altro canto, la distimia si presenta con umore depresso, come sintomo primario, e può precedere un episodio depressivo. I sintomi della distimia, però, da soli non soddisfano i criteri di diagnosi del disturbo depressivo maggiore e devono essere presenti per almeno due anni. Un attento esame psichiatrico, comunque, è in grado, in genere, di affermare la diagnosi alternativa o supplementare.

Non è raro, invece, diagnosticare erroneamente la fase depressiva del disturbo bipolare come depressione maggiore. Tale circostanza porta spesso a un trattamento insufficiente o inadeguato, se non proprio alla precipitazione di un episodio maniacale vero e proprio. Alcuni pazienti con depressione resistente al trattamento possono rientrare in questa categoria.

I disturbi dell'umore, peraltro, possono essere secondari a varie malattie del sistema nervoso centrale che comportano una vasta gamma di processi fisiopatologici e strutturali. Degno di menzione è che il disturbo depressivo maggiore non provoca segni neurologici focali per cui, se presenti, dovrebbero stimolare una valutazione per altre sindromi organiche. Pur tuttavia, il disturbo depressivo maggiore è in grado di produrre misurabili deficit cognitivi o di aggravare una demenza preesistente. Questo declino cognitivo con difficoltà di concentrazione o di motivazione si riferisce, invero, a una pseudodemenza o più correntemente a una demenza della depressione, che dovrebbe recedere con il successo del trattamento dell'episodio depressivo stesso.

La sindrome post-concussiva cerebrale, forma più comune del trauma cranico nello sport e talvolta difficile da diagnosticare, è causata da un’improvvisa accelerazione- decelerazione dell’encefalo all’interno della scatola cranica e si manifesta con un’immediata, breve alterazione delle funzioni neurali. Pur tuttavia, i sintomi del trauma cranico, anche se lieve, possono condurre a disturbi di lunga durata di ordine fisico, ma anche cognitivo e psicologico. I sintomi sono precoci di minuti/ore (mal di testa, vertigini, stato confusionale, amnesia, nausea, vomito) e tardivi di giorni/settimane (cefalea lieve persistente, difficoltà di concentrazione, disturbi della memoria o del sonno, facile faticabilità, irritabilità). In alcuni casi possono insorgere facili confusioni con il DDM che vanno rimosse con un’anamnesi e studio clinico attenti.

La paralisi pseudo bulbare, molto frequente e propria dell'età avanzata per l’arteriosclerosi cerebrale, è una sindrome di disinibizione affettiva spesso non riconosciuta in ambito clinico. Essa è caratterizzata da un complesso di sintomi determinati dal deficit delle funzioni del bulbo spinale. Sono particolarmente presenti disartria, disfagia, riso e pianto spastico, disturbi di tipo piramidale e deambulazione a piccoli passi. La sintomatologia non è dovuta alla lesione dei nuclei bulbari, ma all'interruzione bilaterale delle fibre cortico-bulbari. Spesso per ignoranza non è trattata per le sue manifestazioni cliniche, ma è scambiata per depressione.

La malattia di Alzheimer e le altre demenze degenerative e vascolari possono, peraltro, associarsi ai sintomi affettivi e così pure il morbo di Parkinson, la malattia di Huntington, la sclerosi multipla, l’ictus e l’epilessia.

Anche le neoplasie del sistema nervoso centrale possono causare i cambiamenti dell’umore e del comportamento, prima ancora della comparsa dei segni neurologici focali.

Inoltre, le malattie endocrine, soprattutto quelle che interessano l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e la tiroide, come il morbo di Addison e di Cushing, l’ipertiroidismo, l’ipotiroidismo, i prolattinomi e l’iperparatiroidismo sono particolarmente accompagnate con i cambiamenti dell’umore. Così pure si può comportare l’ipoglicemia da iperproduzione d’insulina.

Ma anche i farmaci si sono dimostrati in grado di produrre i cambiamenti dell’umore. Sono stati, a tale proposito, indicati i beta-bloccanti, la reserpina, la metildopa, i calcio antagonisti, gli steroidi, gli ormoni sessuali (estrogeni, progesterone, testosterone, il GnRH, la ranitidina, la cimetidina, i sedativi, i miorilassanti, i soppressori dell'appetito, la vincristina, la procarbazina, la L-asparaginasi, l’interferone, l’amfotericina B, la vinblastina e altri agenti chemioterapici.

L’uso di sostanze e di droghe può, inoltre, provocare significativi disturbi dell'umore, come nel caso dell’abuso di alcol, cocaina, anfetamine, marijuana, sedativi / ipnotici e narcotici. In tale ambito va anche considerato l’abuso di sostanze per inalazione.

Robert Davies della Rydon House Mental Health Unit e collaboratori hanno anche voluto richiamare l'attenzione sul potenziale rischio di disturbi psichiatrici, in termini di sbalzi dell’umore e di deterioramento cognitivo ma anche di comportamento suicidario e violenza, per esposizione cronica agli organofosfati (Advances in Psychiatric Treatment (2000) 6: 187-192). Come si sa gli organofosfati sono potenti anticolinesterasici usati anche come agenti nervini militari che, pur in quantità scarse, sono in grado d’indurre una crisi colinergica con possibile tetania, paralisi respiratoria e morte. In campo agricolo hanno effetti in forma concentrata simili e nel corso degli anni sono stati utilizzati anche come strumento di suicidio, in particolare nei paesi in via di sviluppo.
Boden JM dell’University of Otago, New Zealand e collaboratori hanno, per loro conto, esaminato le relazioni causali tra il fumo e la depressione in oltre 1265 adulti, di cui 635 uomini e 630 donne (Br J Psychiatry. 2010 Jun;196(6):440-6). Alla fine dello studio i ricercatori hanno trovato che in ogni età con l’aumento dei livelli alla nicotina si associavano significativamente tassi crescenti dei sintomi depressivi (p <0.0001). Inoltre, chi riportava almeno cinque sintomi di dipendenza nicotinica mostrava tassi di sintomi depressivi 2.13 volte maggiori (intervallo di confidenza 95%, 1,98-2,31), rispetto a chi non li aveva riferiti. Dopo aggiustamento per i fattori confondenti, gli autori rilevavano, comunque, ancora significative e persistenti associazioni tra le due condizioni (P <0,05). Tale dato suggeriva, secondo gli autori, che la comorbidità derivava da due percorsi: il primo coinvolgente i fattori di rischio comuni o correlati e il secondo in cui il fumo direttamente aumentava il rischio della depressione.
Non si dimostrava, invece, la stessa significativa correlazione inversa tra sintomi depressivi e quelli da nicotina-dipendenza (P = 0.21), stando a significare che, se è vero che il fumo aumenta il rischio di sviluppare i sintomi depressivi, non è, invece effetto obbligato della depressione.

Peraltro, Thomas Bronisch del Max Planck Institute of Psychiatry Munich e collaboratori hanno, per altro verso, esaminato le associazioni tra il fumo e la suicidalità e il loro ordinamento temporale di insorgenza, usando il M-CIDI (Munich-Composite International Diagnostic Interview), in adolescenti e giovani adulti arruolati dal EDSP (Early Developmental Stages of Psychopathology), uno studio prospettico longitudinale a Monaco di Baviera, in Germania (Volume 108, Issue 1 , Pages 135-145, May 2008). L’ideazione suicidaria e i tentativi di suicidio si dimostravano fortemente associati con il fumo occasionale iniziale, quello regolare e la dipendenza da nicotina al basale (odds ratio [OR] gamma 1,4-16,4). Nelle analisi di prospettiva, il fumo iniziale occasionale, regolare e la dipendenza da nicotina aumentava il rischio d'insorgenza dell’ideazione suicidaria (OR variava da 1,5 a 2,7) e anche di tentativo di suicidio (OR compresa tra 3.1 e 4.5). Peraltro, la particolare presenza di associazione temporale tra fumo e suicidalità e non il contrario avrebbero suggerito, secondo gli autori, l'esistenza di un percorso indipendente tra le due condizioni.

Le infezioni, infine, soprattutto la sifilide, la malattia di Lyme, l’HIV/AIDS, la toxoplasmosi si associano anch’esse spesso alle alterazioni dello stato dell’umore e del comportamento.
Così pure le patologie autoimmuni, come l’artrite reumatoide, il lupus eritematoso sistemico, il morbo celiaco, sono capaci di produrre una vasta gamma di segni e sintomi neuropsichiatrici, come possibile causa di alterazioni nella barriera emato-encefalica, ma soprattutto se si complicano con un’encefalite autoimmune.

Per concludere, i vari disturbi del sonno, in particolare l’OSA e la sindrome della fatica cronica possono causare particolari sintomi, tra cui quelli psichiatrici da distinguere da un DDM.

Bisogna, infine, segnalare che qualsiasi condizione predisponente alla depressione, come rilevato recentemente da Marianna Virtanen del Finnish Institute of Occupational Health, Helsinki e collaboratori in relazione alle ore lavorative eccessive, deve essere attentamente riconosciuta per poterla rimuovere adeguatamente a beneficio del malato. Gli autori hanno, per l’appunto, eseguito un’analisi di coorte prospettica delle ore di lavoro e della morbilità psicologica con un indicatore di depressione basale e dei fattori di rischio di depressione per un follow-up medio di 5,8 anni in 1.626 dipendenti statali inglesi uomini e 497 donne dello studio Whitehall II, di età media di quarantasette anni al basale. Hanno, quindi, valutato l’insorgenza a dodici mesi di DDM con la CIDI (Composite International Diagnostic Interview) al follow-up (PLoS ONE, 2012; 7 (1): e30719).
 Hanno, così, definito un episodio depressivo maggiore sulla base di tre sintomi principali: umore depresso, anedonia, ridotta energia. Hanno, di poi, considerato altri sette sintomi secondari: perdita di autostima, inutili sentimenti di colpa, cambiamenti dell'appetito o del peso, disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione o indecisione, pensieri suicidari o di morte, stato di rallentamento o agitazione psicomotoria. Almeno due sintomi principali e quattro supplementari della durata di almeno due settimane erano richiesti per la diagnosi di un episodio depressivo maggiore. Nell'analisi prospettica dei partecipanti senza la morbilità psicologica al basale, dopo correzione per i fattori socio-demografici, l'odds ratio per un episodio depressivo maggiore successivo era 2.43 volte superiore con intervallo di confidenza 95% da 1.11 a 5.30 per coloro con più di undici ore lavorative il giorno, rispetto a quelli con 7-8 ore. L'ulteriore regolazione per malattia fisica cronica, fumo, alcol, stress lavorativo e sostegno sociale correlato al lavoro aveva scarso rilievo con odds ratio 2,52, intervallo di confidenza 95% 1,12-5,65. Si rilevava anche che un elevato stato socioecomico, legato a una probabilità maggiore di lunghe ore di lavoro, sembrava proteggere i dipendenti dalla depressione.

Sulla base di questi risultati si dovrebbe convenire con gli autori che il lavoro prolungato, e quindi straordinario, debba essere considerato fattore predisponente per gli episodi di depressione maggiore.
Dal loro canto, Sung E. Son dell’University of Washington e collaboratori, considerando che la depressione spesso non riconosciuta può anche variare da una semplice tristezza sino a una depressione maggiore o a un disturbo bipolare e colpisce purtroppo il 2% dei bambini in età prepubere e dal cinque all’otto per cento degli adolescenti, hanno suggerito una valutazione comprensiva di uno screening medico completo, quale il Pediatric Symptom Checklist, per l’esclusione delle cause mediche di base. Questo strumento propone, in effetti, una lista di trentacinque elementi che, completati in meno di cinque minuti dai genitori, permettono di valutare le impressioni della funzione psico-sociale dei propri figli. La sua specificità varia dal 68 al 100% nei campioni di basso stato socioeconomico. La sensibilità varia dallo 80% dei più bassi campioni di stato socio-economico al 95% della classe media, rispetto alle valutazioni più dettagliate effettuate dai professionisti sulla salute mentale. A causa della sua sensibilità e specificità relativamente buone e anche per la facilità di compilazione, questa lista può essere un prezioso strumento in aiuto dei medici per un esame diagnostico dei pazienti più efficace e produttivo.
La diagnosi dei disturbi depressivi, in effetti, richiede un'accurata valutazione medica e psichiatrica, poiché un certo numero di disturbi è in grado di simulare la depressione (Am Fam Physician.2000, Nov15;62(10):2297-2308).

Bisogna, infatti, considerare nella diagnosi differenziale della depressione del bambino e dell’adolescente, come per l’adulto, le condizioni associate, quali le infezioni, come la mononucleosi infettiva, l’infezione da virus dell'immunodeficienza umana, i disturbi neurologici, come l’epilessia postraumatica, quelli endocrini, come il diabete, l’ipertiroidismo, l’ipotiroidismo, il morbo di Addison, i farmaci, come i barbiturici, le benzodiazepine, i corticosteroidi, la cimetidina, l’aminofillina, gli anticonvulsivanti, i contraccettivi orali, l’abuso di alcol, di droga, le alterazioni elettrolitiche come l’ipokaliemia, l'iponatriemia, l’anemia, la malattia di Wilson. Il diligente e accurato esame anamnestico e fisico deve e può di seguito aiutare a dirigere lo studio di laboratorio può appropriato.



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