La stratificazione del rischio trombo embolico nel paziente “medico”. Lo score “TEVere”. |
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Scritto da Giovanni Maria Vincentelli, Manuel Monti, Fernando Capuano |
Mercoledì 14 Maggio 2014 |
La stratificazione del rischio trombo embolico nel paziente “medico”.
Giovanni Maria Vincentelli*, Manuel Monti**, Fernando Capuano*** La trombosi venosa profonda (TVP) e/o l’embolia polmonare (EP), cumulativamente indicate con il termine di tromboembolismo venoso (TEV), rappresentano una delle patologie più comuni del sistema circolatorio e riconoscono meccanismi patogenetici in larga parte coincidenti e molte analogie nel trattamento. (1) La TVP è più frequente negli adulti oltre i 60 anni. Tuttavia, si può verificare a qualsiasi età.(1)La patogenesi del TEV è multifattoriale. I fattori di rischio sono: (2-3)
Tali condizioni possono comportare una transitoria o persistente ipercoagulabilita (ossia un'anomalia della coagulazione del sangue) del sangue che può poi combinarsi con la stasi venosa e/o la lesione della parete del vaso (triade di Virchow) e portare alla formazione del trombo. (immagine) Quando i trombi venosi si staccano dal sito dove si sono formati embolizzano, dopo avere attraversato le cavità destre del cuore, nella circolazione arteriosa polmonare o, raramente e in alcune rare condizioni nella circolazione arteriosa (Fig.1) . Circa la metà dei pazienti con trombosi venosa dell’area pelvica o trombosi venosa profonda degli arti inferiori presenta una trombo embolia polmonare, solitamente asintomatica; mentre circa tre quarti dei pazienti con EP sintomatica presentano, ad un’accurata ricerca, segni strumentali di TVP agli arti inferiori. L’EP può essere considerata la più temibile complicanza della TVP (Tab 1).(5)
La trombosi venosa profonda interessa spesso oltre il 50% dei pazienti sottoposti ad intervento d chirurgia ortopedica, soprattutto all’anca o al ginocchio, nonché il 10-40% dei pazienti sottoposti a interventi toracici o addominali. (6) La prevalenza di trombosi venosa profonda risulta altresì particolarmente elevata in presenza di neoplasie a carico di pancreas, polmoni, apparato urogenitale, stomaco e mammella. Circa il 10-20% dei pazienti con trombosi venosa profonda idiopatica ha un tumore e va incontro, in seguito, allo sviluppo di una neoplasia; non esiste comunque a tutt’oggi un accordo sulla opportunità di sottoporre tali pazienti a procedimenti diagnostici intensivi al fine di ricercare la eventuale presenza di un tumore occulto.(7) I sintomi che devono mettere in guardia sono l’improvvisa comparsa di dolore, gonfiore ad un arto associato ad arrossamento, calore e assottigliamento della cute. La diagnosi è semplice e viene fatta con l’esame clinico e l’ecocolorDoppler, a cui può essere utile associare un esame ematochimico come la valutazione del D-Dimero che, quando elevato, indica un’alta probabilità di TVP. Negli ultimi anni, in ambito sanitario, è stata rivolta una particolare attenzione alla prevenzione del TEV. Tuttavia, mentre in chirurgia la stratificazione del rischio ha permesso una significativa incidenza dell’abbattimento del TEV, lo stesso risultato non è stato raggiunto per il paziente medico tanto che, attualmente, l’incidenza del TEV è più frequente nei reparti di medicina che in quelli di chirurgia.(8) Nel paziente “non chirurgico” infatti l’identificazione del rischio di TEV e la conseguente profilassi è resa spesso difficile da una serie di fattori, primi tra tutti la eterogeneità dei pazienti dovuta alla loro complessità (prevalente polipatologia ed età avanzata) ed alla frequente presenza di un elevato rischio emorragico.(9) Al fine di valutare la percezione del rischio di TEV nel paziente “non chirurgico” è stato condotto, due anni or sono, uno studio osservazionale, ideato e coordinato dall’UOC Pronto Soccorso Breve Osservazione dell’Ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina, a cui hanno partecipato oltre 30 unità operative di medicina interna e d’urgenza di Roma e della Regione Lazio. Lo studio, condotto su quasi 1000 pazienti, ha messo in evidenza che, diversamente dall’area chirurgica, nell’area medica esiste una eterogeneità di comportamento circa la identificazione del rischio trombotico. Lo studio ha inoltre mostrato come, pur nella stessa popolazione esaminata, i pazienti da ritenere a rischio di TEV è differente in relazione ai parametri o agli score maggiormente accreditati dalla letteratura scientifica e presi in esame (Tab.2). Per comprendere il reale peso dei singoli fattori di rischio di TEV e quindi con il fine di poter definire uno score il più valido possibile, da utilizzare nella nostra realtà clinica, abbiamo del tutto recentemente concluso un secondo studio che ha visto la partecipazione non solo delle UO di medicina interna e d’urgenza del Lazio ma anche della regione Umbria. Lo studio, grazie alla felice intuizione della dott.ssa Di Francesco, è stato chiamato studio “TEVere”, in quanto oltre all’acronimo del tromboembolismo venoso (TEV) fa esplicito riferimento al Tevere che non solo è il fiume principale del Lazio e dell’Umbria ma è soprattutto l’immagine simbolo dell’Isola Tiberina e quindi dell’Ospedale Centro Coordinatore dello studio stesso.
Bibliografia1. Haas SK (2002) Venous thromboembolic risk and its prevention in hospitalized medical patients. Semin Thromb Hemost 28:577-584. |