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Effetti pleiotropici dei farmaci antiipertensivi: quale valore hanno?

Enrico Bologna

Specialista in Medicina Interna, Gastroenterologia e Patologia generale.
Già Primario Ospedale Fatebenefratelli, Isola Tiberina, Roma.
Libero docente in Patologia Medica, Università di Roma “Sapienza”.


Da numerosi studi clinici controllati recentemente effettuati  in soggetti ipertesi sono emersi risultati che hanno fatto attribuire a varie molecole la capacità di svolgere, accanto a quella antiipertensiva, altre azioni utili a contrastare alcune conseguenze dell’ipertensione o anche ad agire favorevolmente nei confronti di alterazioni che spesso accompagnano l’ipertensione arteriosa, soprattutto nell’ambito della sindrome metabolica. Si tratta di effetti pleiotropici, riguardanti in particolare la funzione endoteliale e la sensibilità all’insulina, che possono indirizzare la scelta dei farmaci nei singoli ipertesi e che quindi meritano di essere considerati e discussi criticamente.

Un primo esempio, risalente  agli anni ’60, riguarda l’osservazione che un antiipertensivo allora nuovo, la metildopa, era capace non solo di ridurre la pressione arteriosa, ma anche di contrastare l’ipertrofia cardiaca in misura indipendente dalla riduzione pressoria (4).  Oggi sappiamo che lo stress emodinamico determinato dall’ipertensione arteriosa e dal sovraccarico di volume comporta l’attivazione del sistema renina-angiotensinogeno-angiotensina (Renin-Angiotensinogen-Angiotensin System,  RAAS), che nel miocardio determina  iperplasia dei miociti, proliferazione dei fibroblasti e deposizione di collagene. L’ipertrofia miocardica così prodotta è un predittore forte e indipendente di morte improvvisa, di coronaropatia, di eventi cardiovascolari acuti e di insufficienza cardiaca congestizia (39).

Gli studi TRANSCEND e ONTARGET hanno confermato che sia l’ACE-inibizione con Ramipril, sia il blocco dei recettori AT1 con Telmisartan riducono l’ipertrofia ventricolare sinistra e, nei pazienti ad elevato rischio, ne prevengono la comparsa (40).

Una recente ricerca multicentrica controllata (30 paesi) condotta su 3.846 soggetti con insufficienza cardiaca classe II-IV NYHA e frazione di eiezione ventricolare sinistra pari o inferiore a 40% ha dimostrato che il trattamento con Losartan determina riduce la frequenza di morte e di ospedalizzazione in misura dose-dipendente (150 vs 50 mg/die). (16).

In anni recenti è stato ripetutamente osservato che l’inibizione del RAAS ottenuta con gli inibitori recettoriali (Angiotensin Receptor Blockers, ARB) riduce la massa ventricolare sinistra in misura nettamente maggiore di quanto ottenuto con Atenololo o con Amlodipina (25; 7; 36; 44; 8.

L'infiammazione cronica è un fattore chiave nell'inizio, nella progressione e nelle conseguenze cliniche delle malattie cardiovascolari, inclusa l'ipertensione essenziale. Il processo flogistico consiste in una complessa interazione tra cellule infiammatorie, che porta all'espressione di molecole di adesione, citochine, chemochine, matrici di metalloproteasi e fattori di crescita. Ormai è certo che in questo processo è coinvolto il  RAAS, soprattutto tramite l'aumentata produzione locale di Angiotensina II (Ang II). L'Ang II aumenta la permeabilità vascolare, partecipa al reclutamento delle cellule infiammatorie ed alla loro adesione all'endotelio attivato, regola la crescita delle cellule e la fibrosi. Un'ipotesi patogenetica possibile è che l'Ang II, attivata dal SNS, provochi prima una vasocostrizione renale seguita poi da infiammazione tubulo- interstiziale, reclutamento di T linfociti, macrofagi, generazione di Ang II locale e le specie reasttive dell’ossogeno (Reactive Oxigen Species, ROS). Ciò porta ad un danno pre-glomerulare e ad una alterazione del bilancio vasocostrizione/vasodilatazione con ritenzione di sodio. I ROS sono implicati in ogni stadio dell'infiammazione, attivando multiple molecole di segnale intracellulari e fattori di trascrizione associati con le risposte infiammatorie, come il Fattore Nucleare kappa B e l'Activator Protein-1. Ma non è solo l'Ang II ad essere implicata nei processi infiammatori vascolari: altri componenti, come l'aldosterone e/o i recettori mineralcorticoidi, inducono la produzione di ROS. È probabile anche un ruolo dell'Endotelina 1 (ET1) come importante mediatore dell'infiammazione cronica e di crescente interesse si sta rivelando il rapporto tra ET1 e ROS. Benché non sia ancora chiaro se l'evento iniziale sia l'ipertensione o lo stress ossidativo, questi dati potranno avere un importante impatto sulle future strategie terapeutiche (2).

La disponibilità di farmaci capaci di inibire a vari livelli il RAAS ha permesso di osservare come questa proprietà farmacodinamica si accompagni ad altre azioni, consistenti soprattutto nella capacità di proteggere l’endotelio e di ridurre l’insulinoresistenza, anomalie queste che rivestono un ruolo centrale nella sindrome metabolica.

Numerosi studi hanno infatti dimostrato che il RAAS è presente, con tutte le sue componenti, non solo nell’apparato cardiovascolare ma anche in molte altre strutture (reni,surreni, pancreas endocrino, sistema nervoso centrale, apparato riproduttivo, tessuti linfatico e adiposo). E’ stato inoltre dimostrato che il legame di Angiotensina II ai recettori AT1, oltre produrre vasocostrizione e ritenzione idrosalina, determina una numerosa serie di azioni  che comportano fra gli altri (Tab. 1) effetti mitogenici e proliferativi sull’endotelio e sulle miocellule vascolari, attività flogogena, stress ossidativo via NADPH (che nei vasi è la principale fonte di ROS) e accelerato l’invecchiamento delle cellule progenitrici endoteliali circolanti (cui spetta il compito di mantenere l’integrità dell’endotelio sostituendone gli elementi danneggiati. (11).

Numerose sono anche le dimostrazioni sperimentali e cliniche dell’effetto benefico del blocco del RAAS nei confronti dell’insulinoresistenza. Le prove più convincenti riguardano gli inibitori recettoriali. I meccanismi ipotizzati per spiegare questo effetto sono numerosi, anche se alcuni necessitano ancora di conferma. Ricordiamo fra quelli più attendibili: modulazione del trasportatore di glucosio GLUT4; miglioramento del flusso ematico e della funzione delle cellule β pancreatiche; riduzione della neoglucogenesi epatica (5; 43), stimolazione diretta del signaling insulinico; regolazione diretta dei PPAR-γ. Quest’ultimo meccanismo, che appare quello più concretamente dimostrato, si basa sulla capacità degli ARB di superare il blocco della differenziazione degli adipociti indotto da Ang II e di favorire in tal modo l’aumento  degli adipociti piccoli e differenziati; a questa azione corrisponderebbe aumentata produzione di Adiponectina e conseguente aumento della sensibilità all’insulina (13,19, 20,),upregulation del trasportatore di glucosio GLUT4 e attivazionedi PPAR-γ (37); riduzione della neoglucogenesi epatica (5), inibizione della angiogenesi indotta dai prodotti finali della glicazione ( AGE)  (43). Il blocco del RAAS, in particolare, agendo sui PPAR-γ attraverso i recettori di Ang II favorisce la differenziazione degli adipociti con conseguente ridotta produzione di TNF-α, MCP-1 e PAI-1, ed aumento di Adiponectina. Quest’ultima promuove la  captazione del glucosio nel fegato e nel muscolo e favorisce la funzione delle cellule pancreatiche β e dell’endotelio (20).

La capacità di agire sui PPAR-γ è caratteristica di tutti gli inibitori recettoriali, ma solo Telmisartan e in minor misura Irbesartan dimostrano di possederla a concentrazioni analoghe a quelle raggiungibili in terapia (37).

Il rimodellamento cardiaco determinato dall’ipertensione arteriosa provoca nel miocardio alterazioni strutturali e funzionali che sono all’origine di disturbi della conduzione, di alterazioni ioniche e di disomogeneità elettrica che favoriscono la comparsa di fibrillazione atriale. I risultati di numerosi studi clinici concordano nel dimostrare che anche l’incidenza di questa complicazione viene significativamente ridotta dal trattamento con ARB rispetto a quello con placebo, con Atenololo o con Amlodipina (10,12, 21, 23, 35, 41).

L’effetto favorevole sul metabolismo esercitato dal blocco di RAAS con antagonisti dei recettori AT1 ha trovato conferma in soggetti ipertesi con iperglicemia a digiuno o con ridotta tolleranza glicidica, nei quali Losartan ha determinato significativa riduzione di HOMA-R e della concentrazione in acidi grassi liberi e altrettanto significativo aumento della isoforma attiva (ad alto peso molecolare) di Adiponectina; modificazioni che non si sono invece osservate quando gli stessi pazienti erano trattati con calcio-antagonisti (29).

Per quanto riguarda l’effetto del blocco dei recettori di Angiotensina II sul danno vascolare indotto dall’ ipertensione, una recente revisione condotta sugli effetti di Olmesartan in soggetti ipertesi ha dimostrato che questo farmaco riduce i segni di microinfiammazione vascolare: il farmaco infatti provoca riduzione di PCR e di TNF-α ad alta sensibilità, di IL-8 di MCP-1 mentre fa aumentare il numero delle cellule progenitrici endoteliali nel sangue circolante; induce aumento della compliance arteriosa e del flusso miocardico e riduzione delle resistenze coronariche al cold pressure test; inoltre riduce lo spessore della parete e il rapporto parete/lume delle arterie di resistenza (11) (Tab. 1)

E’ ben noto che l’adesione dei macrofagi all’endotelio rappresenta una tappa importante nell’inizio e nell’accrescimento dell’ateroma. E’ perciò interessante l’osservazione che colture di macrofagi di topo esprimono tutte le componenti del RAAS, incluso mRNA della renina. Questo fenomeno, che è potenziato da Ang II, viene ridotto da Losartan a valori simili a quelli propri dei macrofagi di animali geneticamente privi di renina (21).

Questi favorevoli effetti sperimentali del blocco farmacologico del RAAS sono stati confermati, nell’uomo, da numerosi studi clinici sulla prevenzione della nefropatia diabetica (Tab, 2)

 

 

In particolare, lo studio MARVAL ha dimostrato che in soggetti diabetici sia ipertesi che normotesi il trattamento con Valsartan provoca una significativa riduzione della proteinuria in misura indipendente dalle variazioni pressorie, riduzione che invece non si osserva nei soggetti trattati con Amlodipina; nello studio AMADEO, condotto in 860 ipertesi diabetici con nefropatia proteinurica, sia Losartan che Telmisartan hanno significativamente ridotto la proteinuria, e tale riduzione è stata più rilevante nei pazienti trattati con Telmisartan..

Una particolare attenzione è stata portata su quest’ultimo farmaco da quando è stato osservato che esso, fra tutti gli inibitori recettoriali di Angiotensina II, possiede la maggiore capacità di attivare i PPAR a bassa concentrazione. Per queste caratteristiche Telmisartan appare particolarmente utile nei soggetti in cui l’ipertensione fa parte della sindrome metabolica, in quanto capace di agire sia sulle componenti vascolari sia sulle alterazioni del metabolismo glicidico e lipidico proprie della sindrome stessa. (17, 36).

La disponibilità del primo inibitore della renina (Aliskiren)  ha permesso di condurre varie ricerche, in base alle quali questo farmaco risulta capace di svolgere, oltre all’effetto antiipertensivo per azione sui vasi di resistenza,  favorevoli azioni sul cuore, con regressione dell’ipertrofia ventricolare sinistra (Studio ALLAY) e con riduzione di BNP in soggetti con insufficienza cardiaca (Studio ALOFT); sull’aorta, con riduzione dell’aterosclerosi sperimentale; sui reni, con riduzione dose-dipendente dell’albuminuria in soggetti già in trattamento con Losartan (Studio AVOID). Sono già in corso altri studi per valutare la capacità di Aliskiren di prevenire il rimodellamento ventricolare sinistro dopo infarto del miocardio (Studio ASPIRE) e di prevenire vari endpoint renali e cardiovascolari (Studio ALTITUDE) (31, 32).

Come già accennato, una importante fonte di infiammazione vascolare è rappresentata dall’attivazione dei recettori dei mineralcorticoidi (Aldosterone e 11β-idrossiglucocorticoidi). Questi recettori sono presenti non solo nel segmento più distale del tubulo renale, ma anche nell’apparato cardiovascolare, nel muscolo, nel fegato e nell’adipe; inoltre l’enzima che nel nefrone è destinato a degradare i mineralcorticoidi (11β-idrossisteroido-deidrogenasi) è molto meno espresso in altre sedi sui recettori dei quali ogni eccesso di aldosterone è in grado di promuovere infiammazione, stress ossidativo,  fibrosi, insulinoresistenza e disfunzione endoteliale (3, 6, 41).

Si stanno accumulando crescenti prove che le alterazioni cardiovascolari e renali associate all’insulinoresistenza sono in buona parte mediate dall’azione di Aldosterone sui recettori dei mineralcorticoidi. Molti dei benefici effetti del blocco di questi recettori ottenuti con Spironolattone  nello Studio RALES e con Eplerenone nello Studio EPHESUS vengono oggi riferiti  all’inibizione dei recettori extrarenali dei mineralcorticoidi, (33,34, 389.

Anche la capacità di ridurre la proteinuria appare più netta nei soggetti trattati con antialdosteronici (Eplerenone) che con ACE-inibitori o ARB (28)

Alcuni importanti studi multicentrici (HOPE, LIFE, ANBP2) hanno dimostrato che la riduzione degli eventi cardiovascolari  ottenuta con l’uso di calcio-antagonisti, ACE-inibitori e inibitori recettoriali di Ang IIa è maggiore di quanto atteso in base alla riduzione pressoria.

La spiegazione di questo fenomeno potrebbe risiedere nella capacità dei farmaci di queste tre classi, a parità di efficacia sulla pressione omerale, di ridurre più nettamente la pressione centrale (aortica e carotidea), vale a dire quella esercitata sul cuore e sul cervello, rispetto ad altri farmaci come i β-bloccanti (in particolare Atenololo) (10,16, 26, 29).

L’onda pressoria sistolica percorre l’albero arterioso e viene riflessa  in sede periferica nelle arterie di resistenza; in ogni segmento arterioso, quindi, la pressione è la somma dell’onda anterograda e di quella retrograda. Quando le grandi arterie sono più rigide entrambe le onde divengono più veloci e quella retrograda si fonde precocemente con l’onda sistolica rendendola maggiore. Varie tecniche non invasive permettono di calcolare la pressione centrale in base all’analisi dei polsi carotideo e radiale e in particolare di ottenere un indice (augmentation index) che, espresso in percentuale rispetto alla pressione differenziale, è associato in modo indipendente a segni e conseguenze del danno cardiovascolare (entità della massa ventricolare sinistra, grado di aterosclerosi coronarica, diametro dell’aorta ascendente, danno micro vascolare cerebrale, frequenza eventi cardiovascolari. Questo aspetto potrebbe spiegare perché i β-bloccanti risultino meno efficaci di altri farmaci nel prevenire gli eventi cardiovascolari maggiori, in particolare l’ictus cerebrale; è stato anche posto il quesito se questo sia un effetto di classe proprio anche dei β-bloccanti con proprietà vasodilatatrici  (1)

Una recente ricerca, che ha messo a confronto Atenololo con Nebivololo, ha dimostrato che, a parità di riduzione pressoria, quest’ultimo riduce l’onda retrograda in misura significativamente maggiore rispetto ad Atenololo (24)

In conclusione, vi sono numerose e concordanti dimostrazioni sperimentali e cliniche che alcuni antiipertensivi posseggono la capacità aggiuntiva di modificare favorevolmente vari meccanismi coinvolti  nella patogenesi di condizioni che conseguono o si accompagnano all’ipertensione arteriosa.

Ma questa pleiotropia, che riguarda farmaci di diverse classi e che sembra non essere necessariamente espressione di un effetto di classe, è in grado di modificare favorevolmente la prognosi dei pazienti ipertesi?

Nel 2001 furono pubblicati i risultati di una metanalisi, relativa a circa 58.000 ipertesi adulti e anziani, che metteva a confronto gli effetti del trattamento con vecchi antiipertensivi (cioè diuretici tiazidici e β-bloccanti) con i più recenti antiipertensivi (cioè ACE-inibitori, calcio-antagonsti e α-bloccanti): gliendpoint primari presi in considerazione (costituiti da morte cardiovascolare, ictus cerebrale e infarto del miocardio) risultarono dipendenti solo dall’entità della riduzione pressoria, non  dal farmaco utilizzat. (14).

Pochi mesi fa sul British Medical Journal sono stati pubblicati i risultati di una metanalisi relativa a ben 464.000 soggetti parte dei quali senza precedenti cardiovascolari, altri con coronaropatia ed altri ancora con pregresso ictus cerebrale. Le conclusioni degli autori (un epidemiologo, uno statistico medico e un docente di Medicina preventiva) sono le seguenti: “Ad eccezione di una maggiore efficacia protettiva dei β-bloccanti nell’immediato postinfarto e di una modesta prevenzione dell’ictus nei soggetti trattati con calcio-antagonisti, l’efficacia preventiva  dei vari farmaci appare correlata unicamente con l’entità della riduzione della pressione arteriosa” (18).

Ma allora, gli effetti pleiotropici che molti antiipertensivi mostrano di possedere sono o no in grado di influenzare il destino degli ipertesi? Il netto contrasto fra i risultati delle metanalisi e quelli delle osservazioni sperimentali e cliniche impedisce attualmente di formulare una conclusione. Va però osservato che le proprietà ancillari degli antiipertensivi e la stessa riduzione farmacologica della pressione arteriosa possono avere conseguenze più o meno benefiche secondo la fase di malattia  in cui il trattamento viene iniziato; questo beneficio, inoltre, è dipendente dalla durata della terapia e del relativo periodo di osservazione dei soggetti trattati.

Infatti la capacità dei vari farmaci di modificare la progressione del danno subclinico degli organi e di prevenire gli eventi cardiovascolari può influenzare la morbilità e la letalità solo quando le conseguenze dell’ipertensione non sono troppo avanzate e – aspetto questo troppo spesso dimenticato - solo quando il trattamento è effettuato e controllato per tempi molto più lunghi di quelli considerati nella grandissima maggioranza degli studi clinici. 

 

Tab. 1
Effetti del legame di Angiotensina II ai recettori AT1

Affinità di NADPH ossidasi graffa Stress ossidativo
Specie reattive dell’ossigeno
Perossidazione di LDL
Tono arterioso graffa Disfunzione endoteliale
Produzione di PAI-1
aggregazione piastrinica
Permeabilità vascolare graffa Infiammazione
Infiltrazione leucocitaria
Mediatori dell’infiammazione
VCAM-1, ICAM-1, IL1, IL6, IL8, TNF, fattori di crescita
Proliferazione delle miocellule graffa Rimodellamento tessutale
Deposizione di matrice
Attivazione di metallo proteinasi
Dedifferenziazione degli adipociti freccia Insulinoresistenza

 

Tab. 2

 Studi che dimostrano l'efficacia del blocco di RAAS nella prevenzione della nefropatia diabetica  
HOPE Ramipril Yusuf S &al, N Engl J Med 2000:232,14
IDNT Irbesartan Rodby R & al, Nephrol Dial Transplant 2000:15,4875
IRMA Irbesartan Parving H & al, N Engl J Med 2001:345,870
RENAAL Losartan Brenner B & al, N Engl J Med 2001:345,861
MARVAL Valsartan Viberti G & al, Circulation 2002:106,672
IRMA-pRAcs Valsartan Lehenert H & al, MMW Fortschr Med 2003:9,145
BENEDICT Trandolapril Ruggenenti P & al, N Engl J Med, 2004:351, 1941
INNOVATION Telmisartan Mekino H & al, Int Med Res, 2005:33, 677
TRENDY Ramipril, Telmisartan Schmieder R & al, Diabetes Care 2007:30, 1351 
ONTARGET Ramipril, Telmisartan Mann JF, Lancet 2008:372,547
DETAIL Enalapril, Telmisartan Ruilope L & al, Medscape J Med: 2008, 10, s05
VIIVALDI Telmisartan, Valsartan Galle J & al, Nephrol Dial Transplant: 2008, 23,3174
AMADEO Telmisartan Birchu P & al, Vasc Health Risk Manag:2009,5,129

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