Notiziario agosto 2010 N°8

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NOTIZIARIO Agosto 2010 N°8

A cura di Giuseppe Di Lascio

 

Con la collaborazione di:

Bagalino Alessia, Bauzulli Doriana, Di Lascio Alessandro, Di Lascio Susanna, Levi Della Vida Andrea, Melilli Simonetta, Pallotta Pasqualino, Sesana Giovanna, Stazzi Claudio, Zimmatore Elena


I DISTURBI D’ANSIA II^ parte

 Susanna Di Lascio – psicologa
e-mail: susanna.dilascio@gmail.com 

 

CONSEGUENZE METABOLICHE DEL POST TRAUMATIC STRESS DISORDER (PTSD) CRONICO

Diverse ricerche hanno indicato che lo stress e le risposte post adattamento hanno, a lungo termine, conseguenze negative sulla salute. Studi sui superstiti di catastrofi, sui veterani prigionieri di guerra e su altri individui esposti a gravi traumi hanno rivelato tassi aumentati di morbilità e mortalità, con maggiore richiesta di risorse sanitarie. Studi epidemiologici hanno dimostrato che il PTSD cronico può favorire effetti secondari negativi sulla salute, di tipo cardiovascolare, metabolico ed autoimmune che Chrousos GP e coll. hanno posto in connessione con le risposte di cattivo adattamento neuro-endocrino-immunitario (Ann N Y Acad Sci 1998, 851:311-335). Recenti ricerche si sono concentrate sulla sindrome metabolica, come possibile conseguenza dell’adattamento fisiopatologico allo stress cronico. Brunner EJ e coll. hanno trovato, peraltro, una maggiore attivazione dei marcatori neuroendocrini e autonomici correlati allo stress, come un abbassamento della variabilità della frequenza cardiaca, una maggiore produzione di cortisolo ed alti livelli di IL-6, proteina C-reattiva e viscosità del sangue nei casi con sindrome metabolica, rispetto ai controlli (Circulation 2002, 106:2659-2665).
Chandola T. e coll., più recentemente, hanno suggerito una relazione dose- risposta tra lo stress e la presenza di sindrome metabolica, in modo che coloro che sono esposti cronicamente allo stress di lavoro avrebbero il doppio delle probabilità di avere la sindrome, dopo aggiustamento per età, sesso e i comportamenti di stile di vita (BMJ 2006, 332:521-525).
Blanchard MS e coll., nel loro studio di 2189 veterani della I^ guerra del Golfo, hanno rilevato una più alta e significativa prevalenza di sindrome metabolica in quelli con malattie croniche multi sintomatologiche, come faticabilità ed astenia, dolore muscolo scheletrico, disturbi cognitivi od anomalie del comportamento della durata di almeno 6 mesi (Am J Epidemiol 2006, 163:66-75).
Violanti JM e coll. hanno segnalato la probabilità di sindrome metabolica tre volte maggiore nei funzionari di polizia con gravi sintomi di PTSD, rispetto a quelli con più bassa gravità della sindrome (Int J Emerg Ment Health 2006, 8:227-237). 
Babic D e coll. hanno trovato che il 31-35% dei campioni di lotta con PTSD presentavano concomitante sindrome metabolica (Psychiatr Danub 2007, 19:68-75). 
Heppner Pia S e coll. dell’University of California, San Diego, sulla base del cumulo di prove di un collegamento tra l'esposizione al PTSD (post traumatic stress disorder) e la diminuzione dello stato di salute, hanno esaminato un campione di 253 anziani, 92% maschi, 76%, caucasici, di età media di 52 anni, nel 71% in pensione dell’US Army, nel 70% veterani del Vietnam, con l’obiettivo di valutare l'associazione tra la gravità del PTSD e la presenza di sindrome metabolica (BMC Medicine 2009,7:1).

I dati della ricerca hanno rilevato che 139, oltre la metà di questi veterani, equivalente al 55%, presentava una moderata, grave PTSD e 163 di essi, il 64%, ha incontrato i criteri per disturbo depressivo maggiore (MDD). 101dei veterani, circa il 40%, rientrava nei criteri della sindrome metabolica, risultata più prevalente nel solo PTSD (34,3%) rispetto al solo MDD (28,8%) ma ancora di più nel PTSD ed MDD insieme (46,2%).


PRINCIPI DI CURA DELL’ANSIA E DELL’ATTACCO DI PANICO

Le diverse strategie di cura dell’ansia e dell’attacco di panico oggi disponibili, con il sostegno anche di una famiglia e di amici acculturati che possono dissipare l’irrazionale, immediata e incoercibile paura, permettono di ottenere risultati positivi nella maggior parte dei pazienti.

L’ottimale ed efficace trattamento, avendo, peraltro, dimostrato di compensare i costi delle cure mediche sino al 94%, prevede anche d’interessarsi di altri problemi emotivi di accompagnamento, qualora presenti, come la depressione, l'alcolismo e la tossicodipendenza. La ristrutturazione cognitiva, la terapia cognitiva, l’esposizione auto percettiva, i farmaci, i gruppi di sostegno e le tecniche di rilassamento sono i principi di terapia dettati dall’American Psychological Association nel 2007 e le attuali linee guida raccomandano più di tutto la pratica cognitivo-comportamentale combinata con uno degli interventi psicofarmacologici. Nella lista dei farmaci, gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), in particolare la paroxetina e la venlafaxina, hanno sino ad ora dimostrato una superiorità d’azione e vengono, quindi, considerati gli agenti di prima scelta, seguiti dai triciclici (imipramina, clomipramina, desimipramina, ecc.), dalle benzodiazepine (BDZ) ad alta potenza (alprazolam, clonazepam) e dagli IMAO, inibitori delle Mono-Amino-Ossidasi (fenelzina, tranilcipromina). I betabloccanti sono indicati soprattutto per controllare l’irregolarità del battito cardiaco e per modulare la condizione simpatico mimetica. Da notare che le benzodiazepine, pur dimostratesi utili sui sintomi, producono, però, inconvenienti tanto da doverle sostituire quasi regolarmente con gli SSRI, soprattutto negli attacchi di panico ricorrenti e nella profilassi a lungo termine. Al contrario, gli antidepressivi, in particolare i triciclici, dimostrano maggiori vantaggi anche perché provvisti di una pur debole proprietà anti-ansia. Pur tuttavia, a carico degli SSRI si sono documentati sintomi di astinenza e, soprattutto all'inizio del trattamento, casi di esacerbazioni dei sintomi e addirittura attacchi di panico in soggetti sani.

A tale proposito è bene ricordare che g SSRI esercitano una differente inibizione selettiva verso gli isoenzimi del CYP. In particolare la fluoxetina è potente inibitore del CYP2D6 e moderato del CYP2C9 e del CYP3A4, la paroxetina lo è fortemente del CYP2D6, la fluvoxamina fortemente del CYP1A2, del CYP2C19, del CYP2C9 e moderatamente del CYP3A4, la sertralina debolmente-moderatamente del CYP2D6, il citalopram/escitalopram debolmente degli isoenzimi del CYP. Inoltre, gli SSRI dimostrano basso potenziale d’interazioni farmacodinamiche con altri farmaci serotoninergici, ma sempre possibile. Bisogna, difatti, tenere in considerazione la sindrome serotoninergica e il maggior rischio di sanguinamento che si può avere se combinati con i FANS, anche con i bassi dosaggi di aspirina, anticoagulanti orali e antipiastrinici. La duloxetina, che frena la ricaptazione della serotonina e della noradrenalina, è un inibitore moderato del CYP2D6 e, pur dimostrando un basso potenziale d'interazione farmacodinamica con altri farmaci similari, può contribuire alla determinazione della sindrome serotoninergica. Questa rara complicanza del trattamento con questi farmaci è caratterizzata da almeno quattro disturbi associati, generalmente gravi, di tipo motorio, come tremore, mioclonie, convulsioni, di tipo autonomino, come ipertemia, cefalea, sudorazione profusa, tachicardia, ipertensione/ipotensione, diarrea, crampi gastrointestinali, di tipo psichico, come agitazione, confusione, disorientamento, ipomania e logorrea. Si tratta di sintomi non specifici e derivanti da cause differenti come influenza e infezioni gastrointestinali e possono essere presenti in ogni combinazione, sviluppandosi nel giro di 24-48 ore. Agitazione, ipertemia e mioclonia sono i segni essenziali e le alterazioni della coscienza e gli altri segni di alterata funzione autonomica confermano la diagnosi.

Peraltro, a tale proposito, Gianluca Trifirò e collaboratori (Clin Pharmacol Ther 2009; 85: 89-93) del Dipartimento di Informatica medica del Centro medico Erasmus di Rotterdam, sulla base che i disturbi d'ansia colpiscono fino al 20% degli anziani, come riportato da Pollock BG e collaboratori (2), hanno ribaditoche l'introduzione degli SSRI negli anni '80ha notevolmente cambiato la gestione di particolari patologie sempre più invalidanti e letali. Gli Autori, ripercorrendo le ipotesi formulate circa una possibile associazione di tali farmaci con l’ictus ischemico, hanno, così, condotto uno studio caso-controllo su persone di sessantacinque anni e più dell’Integrated Primary Care Information database (1996-2005)dimostrando un rischio significativamente aumentato con il loro uso, soprattutto prima dei sei mesi di terapia, mentre si dimostrava nulla l’associazione con i triciclici e gli altri farmaci. I triciclici, d’altro canto, interagiscono con il CYP2D6 (con azione principale sull’idrossilazione) e con il CYP1A2, CYP2C19 e CYP3A4 (con azione principale sulla demetilazione) e sono suscettibili all’induzione enzimatica di diversi anticonvulsivanti. Questo tipo di farmaci dimostra, di poi, alto potenziale d’interazioni farmacodinamiche, in particolare con gli anticolinergici e i farmaci d’interazioni farmacodinamiche, in particolare con gli anticolinergici e i farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale e su quello cardiovascolare. Essi, nonostante la dimostrata efficacia della clomipramina e dell’imipramina, sono meno utilizzati rispetto agli SSRI perché, alle dosi efficaci, promuovono spesso effetti collaterali mal tollerati, destinati, però, a sfumare e a ridimensionarsi nettamente durante il proseguimento della terapia. Ronald J. Comer, nella sesta edizione del 2010 del suo testo “Fundamentals of Abnormal Psychology”, precisa, difatti, che gli antidepressivi sono efficaci nel prevenire o ridurre gli attacchi di panico funzionando a livello dei recettori cerebrali della noradrenalina. Con essi si raggiungono il recupero completo o massimale nel 50% dei casi e almeno qualche miglioramento nell’80%. Questi farmaci richiedono, però, un monitoraggio periodico per evitare le recidive e spesso è anche utile l’associazione di alcune benzodiazepine (in particolare l’alprazolam) per agire nei loro tempi di latenza. Le monoaminossidasi danno un elevato rischio d’interazioni farmacodinamiche, potenzialmente fatali, in particolare con i cibi ricchi di tiramina, i farmaci simpaticomimetici e gli altri antidepressivi.

Le raccomandazioni vigenti, sulla base delle evidenze scientifiche, consigliano come primo agente, per il rapido controllo della sintomatologia ansiosa, una benzodiazepina a breve tempo di dimezzamento, seguita da un serotoninergico portato lentamente a dose terapeutica. In conformità a tale intenzione è bene ricordare che l’alprazolam, somministrato a dosi di 0,5-6 mg, ha un tempo di dimezzamento di 12-15 ore, il bromazepam a 3-15 mg di 12, il diazepam a 5-30 di 24- 72, il clordiazepossido a 10-50 di 24-100, il clobazam a 20-30 di 20, il clonazepam a 1- 8 di 34, il clorazepate a 15-60 di 60, il lorazepam a 1-4 di 11-13, il medazepam a 10-30 di 29, l’oxazepam a 30-90 di 4-20, il tofizopam a 50-300 di 6, il buspirone a 20-30 di 2-11, l’idroxizine a 300-400 di 12-20. A ogni buon conto, gli elevati dosaggi di tali farmaci richiesti nell’attacco di panico, soprattutto dopo loro uso prolungato, provocano solitamente il rischio di sedazione, di alterazioni cognitive e psicomotorie, di dipendenza, soprattutto psicologica, e, in alcuni casi, di abuso. La letteratura medica offre, pertanto, dati controversi sulla terapia benzodiazepinica nel disturbo di panico e alcuni esperti le raccomandano nella strategia a lungo termine, mentre altri ritengono che esse siano da evitare a causa dei rischi di tolleranza e dipendenza. A tale proposito, il National Institute for Clinical Excellence ha concluso che la classe delle benzodiazepine non è efficace nel trattamento del disturbo di panico a lungo termine, raccomandandole solo a breve termine mentre la World Federation of Societies of Biological Psychiatry le suggerisce solo nei casi resistenti e non come farmaco di prima linea. Di recente si è resa disponibile la venlafaxina, con forte inibizione sulla ricaptazione della serotonina e della noradrenalina e debole sulla dopamina, non priva, però, di effetti indesiderati, come disgeusia, perdita dell’appetito e di peso, agitazione incontrollabile di parte del corpo, dolore o bruciore o intorpidimento o formicolio locali, rigidità muscolare, contrazioni, sbadiglio, sudorazione, vampate di calore, minzione frequente, difficoltà a urinare, mal di gola, brividi o altri segni d’infezione, ronzio alle orecchie, cambiamento della libido e delle prestazioni sessuali, pupille dilatate, sonnolenza, debolezza, stanchezza, vertigini, mal di testa, incubi, ansia, nausea, vomito, mal di stomaco, stipsi, diarrea, meteorismo, pirosi, eruttazione, bocca asciutta.

Sulla base delle incertezze di efficacia e di sicurezza dei farmaci è aumentato il valore della CBT (terapia cognitivo-comportamentale), forma provata di psicoterapia psicodinamica nel disturbo di panico con o senza agorafobia. In effetti, un certo numero di studi clinici randomizzati ha dimostrato che la CBT permette di raggiungere lo stato indenne da panico nel 70-90% dei pazienti, anche in un periodo relativamente breve, da sei a otto settimane, migliorando l'efficacia dei farmaci, riducendo il rischio di recidiva per chi li ha interrotti, proponendosi, così, come alternativa ai non responder ai farmaci stessi. L'obiettivo della CBT è di aiutare un paziente a riorganizzare i processi di pensiero e i pensieri ansiosi, per quanto riguarda l'esperienza che provoca il panico. La terapia autopercettiva, in particolare, ha dimostrato anche successo nell'87% dei pazienti in uno studio clinico controllato, simulando i sintomi di panico in un ambiente controllato [Psychiatric Times. Feb 2008,25 (2): 40]. La chiave per l'induzione è che gli esercizi devono imitare i sintomi più stimolanti l’attacco. Dopo ripetute prove, il paziente assimila, attraverso l'esperienza, che le sensazioni interne non hanno bisogno di essere temute, diventando, così, meno sensibile o insensibile a esse. Conformemente il cervello (ippocampo e amigdala) impara a non temerle e il simpatico sfuma l'attivazione del sistema nervoso. Per i pazienti il cui disturbo di panico comporta agorafobia, l'approccio tradizionale di terapia cognitiva consiste nell'esposizione in reale, per cui il malato viene a poco a poco accompagnato da un terapeuta alla concreta situazione che provoca panico. La psicoterapia psicodinamica è un'altra strategia, dimostratasi efficace in studi clinici controllati, che si concentra sul ruolo di dipendenza, ansia da separazione e rabbia nel causare il disturbo di panico. La terapia prevede preliminarmente di esplorare i fattori di stress che portano agli episodi e, di poi, di sondare la psicodinamica dei conflitti sottostanti il disturbo e dei meccanismi di difesa che contribuiscono agli attacchi, con attenzione ai problemi di transfert e dell'ansia di separazione implicati nella relazione terapeuta-paziente. D’altro canto, secondo studi clinici comparativi le tecniche di rilassamento muscolare e gli esercizi di respirazione non hanno dimostrato efficacia ma possibile aumento del rischio di ricaduta. In sostanza un adeguato trattamento da parte di un professionista esperto può prevenire gli attacchi di panico o, almeno, ridurli in modo sostanziale nella gravità e frequenza, offrendo un sollievo notevole. Pur tuttavia, la recidiva è sempre possibile ma, proprio come l'episodio iniziale, sempre efficacemente trattabile.

Vladen Starcevic del Nepean Hospital and University di Sydney ha condotto un esame dei recenti progressi nel trattamento dei disturbi di panico con l’obiettivo di trovare un equilibrio tra le opzioni psicologiche e psicofarmacologiche (Current opinion in psychiatry. 2006; 19: 79-83), per la rapida scomparsa degli attacchi, l’attenuazione dell'ansia generale e di quella anticipatoria, la diminuzione o scomparsa dell’evasione fobica, l’aumento delle proprie capacità, la migliore qualità di vita, la diminuzione della vulnerabilità alle recidive, notoriamente a tassi elevati, l’efficacia a lungo termine, il mantenimento dei guadagni raggiunti dopo la cessazione della cura, la minima induzione alla dipendenza, la buona tollerabilità, la paucità degli effetti collaterali, la facilità di somministrazione, l’attitudine alla compliance. Tra i principali vantaggi degli interventi farmacologici verso la CBT, Starcevic ha annotato l’esordio terapeutico più pronto (in particolare con le benzodiazepine), la prevenzione/soppressione più affidabile degli attacchi di panico con riduzione dell'ansia, la maggiore probabilità di prevenzione e/o trattamento delle complicanze psichiatriche e delle psicopatologie secondarie, come il disturbo depressivo maggiore, il protocollo di trattamento più facile da rispettare, il protocollo di trattamento più accessibile, più semplice da gestire e a costo inferiore.
Tra i principali svantaggi degli interventi farmacologici verso la CBT, ha invece rilevato l’efficacia minore nel ridurre l’evasione agorafobica, gli effetti collaterali associati, a volte intollerabili, la mancata promozione di coping attivo e l’incoraggiamento di un’eccessiva dipendenza dai farmaci, psicologica e/o fisiologica, la vulnerabilità alla ricaduta con minor grado di essere influenzata e più probabile con l’interruzione del trattamento.
In definitiva anche Starcevic conclude che le benzodiazepine sono indicate nei disturbi di panico, da moderati a gravi, per accelerare i risultati terapeutici iniziali e per ridurre gli effetti collaterali che possono verificarsi con gli altri farmaci, mentre non sembrano efficaci se aggiunti per l’effetto a lungo termine, né sembrano favorire il paziente, di là dalle prime settimane di trattamento. Peraltro, anche se dotate di rischi minori, bisogna sempre considerare la possibilità del loro eccesso d’uso e le complicazioni dopo la loro sospensione. Il trattamento farmacologico unito alle tecniche cognitivo-comportamentali può, invero, essere utile per dilatare i risultati a lungo termine e abbassare il rischio di ricaduta dopo la sua interruzione.
In conclusione, la paura e l'ansia sono normali reazioni a eventi stressanti della nostra vita, ma il panico è una grave condizione che colpisce senza motivo o preavviso, causando attacchi improvvisi neuropsichici, così pure sintomi fisici, come sudorazione e sensazione di cuore in gola. La persona, colta da un attacco di panico, presenta una paura di risposta sproporzionata alla situazione, spesso senza l’imminenza di un pericolo e, nel tempo, sviluppa una costante angoscia di avere un altro attacco, con detrimento funzionale quotidiano e della qualità generale della vita. Il panico occorre, spesso, insieme con altre gravi condizioni come la depressione, l'alcolismo o la tossicodipendenza. L’attacco di panico non può essere impedito. Tuttavia, ci sono alcuni espedienti che possono ridurne lo stress e i sintomi, come evitare categoricamente il consumo di prodotti che contengono caffeina, come caffè, tè, cola e cioccolato. Opportuno e necessario, a tale proposito, consultare il medico o il farmacista prima di assumere qualsiasi farmaco o rimedio a base di erbe da banco (OTC), contenendo molti di questi prodotti sostanze chimiche che possono aumentare i sintomi dell'ansia. Non bisogna, peraltro, dimenticare norme comportamentali salutari e corrette, come il praticare un esercizio fisico regolare e lo adottare una dieta sana ed equilibrata.


EFFETTI METABOLICI E CARDIOVASCOLARI DEGLI ANTIPSICOTICI

Dan W. Haupt e coll. della Washington University School of Medicine, in St. Louis, Missouri, sulle premesse che prove concrete hanno dimostrato che gli antipsicotici possono aumentare il rischio di malattie cardiovascolari, influenzando il metabolismo del glucosio, dei lipidi e del peso corporeo, ricordando che l’American Association of Clinical Endocrinologists e la North American Association for the Study of Obesity hanno raccomandato il controllo della glicemia a digiuno e dei lipidi nel sangue all’inizio e dopo 12 settimane di trattamento con antipsicotici, che l’US Food and Drug Administration (FDA) ha confermato, in tali circostanze, il periodico controllo dei sintomi e degli effetti negativi metabolici e lo studio dei pazienti a rischio, visto il crescente ed esteso uso di antipsicotici di seconda generazione, in particolare nei pazienti più giovani, per esempio l’aripiprazolo ed il risperidone approvati per la schizofrenia degli adolescenti ed il disturbo bipolare, considerato l'aumentato uso degli off-label in questa classe di farmaci, hanno analizzato i dati di pazienti di età inferiore ai 65 anni con prescrizione di aripiprazolo, olanzapina, Quetiapine, risperidone, o ziprasidone, acquisiti dal database PharmMetrics nel periodo 2000-2006 (Am J Psychiatry 2009; DOI:10.1176). Già uno studio del 1998-2003, in una coorte di Medicaid, aveva rivelato che meno del 20% dei pazienti all’inizio della terapia con un antipsicotico di seconda generazione aveva avuto determinazione di glicemia basale e meno del 10% aveva ottenuto quella basale dei lipidi, essendo i bambini e gli adolescenti nell’ancora meno probabilità di essere sottoposti a tali test. Lo studio ha compreso 2 coorti di pazienti in età da meno di 12 anni a 64 anni, maschi nel 47%. La coorte pre-linee guida ha incluso 5.787 pazienti dal 1° luglio 2000 al 30 settembre 2003 e la coorte post-linee guida 17.832 dal 1° marzo 2004 al 30 novembre 2006, senza riscontro di alcun test di controllo di base ed alla 12^ settimana. Nel complesso, solo una piccola percentuale di pazienti hanno ottenuto il controllo della glicemia e dei lipidi nel 2° periodo di tempo, anche se in fase post- linee guida la percentuale è risultata leggermente maggiore.

Poiché i malati mentali hanno una più alta prevalenza di fattori di rischio cardiometabolici, come il sovrappeso e l'obesità, l’iperglicemia, la dislipidemia, l’ipertensione ed il fumo, con una speranza di vita ridotta, in gran parte legata alla prematurità delle malattie cardiovascolari, è particolarmente importante stimolare a migliorare in essi il monitoraggio dei livelli di glucosio e di lipidi nel sangue.

Wayne A. Ray e coll. della Division of Pharmacoepidemiology, Department of Preventive Medicine (W.A.R., K.H.), Clinical Center, Nashville, sulle premesse che l’uso degli antipsicotici tipici aumenta il rischio di gravi aritmie ventricolari e morte cardiaca improvvisa, essendo meno chiara la sicurezza cardiaca degli atipici, che hanno ampiamente sostituito i vecchi agenti nella pratica clinica, hanno voluto calcolare l'incidenza aggiustata di morte cardiaca improvvisa in 44218 e 46089 consumatori di farmaci tipici ed atipici, confrontandoli con 186.600 controlli (New Engl J Med 2009; 360: 225-35 e 294). Il rapporto del tasso d’incidenza per la morte cardiaca improvvisa è risultato più elevato nei pazienti trattati con i farmaci [1,99 (IC 95% 1,68-2,34) e 2,26 (IC 95%, 1,88-2,72) rispettivamente]. L'incidenza dei tassi di rapporto per gli utilizzatori dei farmaci antipsicotici atipici rispetto ai tipici è stato 1,14 (IC 95%, 0,93-1,39), mentre gli ex consumatori non hanno presentato alcun aumento significativo del rischio (tasso di incidenza 1,13, IC 95%, 0,98-1,30). Peraltro, in tutti i pazienti trattati si è registrato un simile aumentato rischio di morte cardiaca improvvisa, dose-correlato. In conclusione, gli antipsicotici atipici, dopo essere entrati nella pratica clinica dal 1989, pur considerando la loro efficacia in patologie particolari come la schizofrenia e la depressione bipolare, secondo i dati di tale studio, vanno considerati pericolosi come quelli tipici. Essi, pertanto, vanno usati attentamente e dopo uno studio elettrocardiografico per monitorare eventuale presenza o comparsa di Q-T lungo, evitandone l’uso, soprattutto nei bambini e negli anziani.


GLI EFFETTI COMPULSIVO-COMPORTAMENTALI NELLA CURA DEL PARKINSON

La malattia di Parkinson, secondo le nostre attuali conoscenze, è considerata una fusione di disturbi della circolazione, di compromissione dell’attività intellettuale e di comorbidità psichiatriche. La principale sfida terapeutica degli ultimi anni è rivolta in modo particolare al miglioramento della qualità della vita e del livello funzionale dei malati e recentemente si è soffermata sulla disamina degli effetti collaterali comportamentali ossessivo-compulsivi connessi ai farmaci, rilevati sino dal 1990, come l’ossessione per le pulizie, per il riordinare ed il problema del gioco d'azzardo, segnalati come potenziali effetti collaterali dei farmaci agonisti della dopamina, Uno dei primi report di collegamento tra Parkinson ed il gioco d'azzardo è stato prodotto da un gruppo di neurologi spagnoli, che, nel 2000, comunicarono che 12 pazienti, dopo aver iniziato la terapia sostitutiva della dopamina, avevano iniziato il gioco d'azzardo o avevano dimostrato un suo marcato aumento. Da allora, sono state pubblicati numerosi casi simili. Il gioco d'azzardo patologico, classificato nel DSM-IV come un disturbo compulsivo, è definito come incapacità a resistere al gioco d'azzardo, nonostante gli impulsi negativi dei familiari. In indagini di grandi gruppi di pazienti, trattati per il morbo di Parkinson, la prevalenza di problemi di gioco d'azzardo è, ovunque, da due a quattro volte quella osservata nella popolazione generale e arriva al 9 per cento dei pazienti in un solo campione. Da notare, come accennato, che anche altri impulsivi problemi di controllo come l’ipersessualità, lo shopping compulsivo, il mangiare senza limiti possono emergere nel corso del trattamento. Alcuni pazienti possono essere colti da attività ripetitiva, senza alcuno scopo o da scrittura rituale, da forme di canticchiare, di scarabocchiare, trascurando la necessità di dormire o di alimentarsi. Gli esperti hanno cominciato a riconoscere i pazienti maggiormente a rischio per lo sviluppo di problemi impulsivi ed il gioco d'azzardo appare più frequente nei pazienti più giovani, spesso con esordio precoce della malattia. Molti offrono a considerare anche una storia personale o familiare di abuso d’alcol. Le caratteristiche essenziali del gioco d'azzardo patologico sono attualmente definite come:

(1) la continuativa o periodica perdita di controllo, 
(2) una progressione nella frequenza e negli importi scommessi, nella preoccupazione per il gioco d'azzardo stesso e per ottenere il denaro con cui giocare,
3) una continuazione della partecipazione, nonostante le avverse conseguenze.
La sua incidenza nella popolazione generale varia dallo 0,3 all’1,6%. L’aumento della partecipazione ad esso comporta preoccupazioni sulla salute mentale, sul benessere sociale, sui risultati finanziari, coinvolgendo i singoli individui, le famiglie e la comunità. Studi più recenti hanno indicato, come riferito, che l’uso della dopamina comporta la sua funzione patologica, per cui sarebbe doveroso, in occasione di trattamento con tale farmaco, avvertire il paziente ed i familiari sulle possibili conseguenze di anomalie comportamentali.

Ramin Zand dell’International Institute of Health Studies, Ottawa, Ont., Canada, ha condotto una completa revisione sugli studi in tale campo (Eur Neurol 2008;59:183–186).

 

Dall’esame dei primi otto studi Ramin Zand ha potuto concludere che il pramipexolo, prescritto in due terzi dei casi, è l’unico farmaco altamente selettivo per il recettore della dopamina D3, mentre la pergolide ed il ropinirolo sono relativamente selettivi ma con potenza inferiore. Questi fattori possono suggerire una correlazione tra i recettori D3 ed il comportamento verso il gioco d'azzardo. Negli ultimi tre studi, invece, non si è riscontrata alcuna associazione tra farmaci e GP portando a considerare che sarebbero opportuni ulteriori studi epidemiologici sull’argomento. In attesa di chiarimenti maggiori, la maggior parte dei ricercatori raccomandano, comunque, riduzioni di dose dei farmaci od il passaggio ad altri in condizioni di verifica dei disturbi compulsivi riportati. . Ma questo approccio può aggravare altri sintomi del Parkinson, in modo molto svantaggioso per i pazienti, per cui si richiede un attento monitoraggio ed il controllo specifico dello specialista.

H M M Smeding e coll. del Department of Neurology, Academic Medical Centre, University of Amsterdam, Olanda hanno descritto un paziente, con malattia di Parkinson avanzata e con anamnesi negativa per tale impulso comportamentale, che aveva sviluppato un gioco d'azzardo patologico entro un mese dopo il successo di stimolazione dello STN (nucleo bilaterale subtalamico), (Journal of Neurology, Neurosurgery, and Psychiatry 2007;78:517-519). I test neuropsicologici dimostravano, invero, lieve declino cognitivo un anno dopo l'intervento chirurgico. Il gioco d'azzardo patologico è svanito dopo l'interruzione della pergolide ed il cambiamento della stimolazione ventrale con quella dosale dello STN. Alla luce di tale risultato gli AA. concludono che il gioco d'azzardo patologico non sembra essere associato con il processo decisionale, ma sembra essere correlato ad una combinazione di stimoli bilaterali dello STN e del trattamento con agonisti della dopamina.


MESSAGGIO PER IL PAZIENTE (modificato da F. Galassi, M. Ciampelli. “La terapia integrata del disturbo di panico” E-pub 2004)

A tale proposito è interessante proporre al paziente un termometro dell’ansia quale quello rappresentato in figura come aiuto a mantenere tutti i concetti sopra espressi.