Notiziario Ottobre 2010 n°10

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NOTIZIARIO Ottobre 2010 N°10

A cura di Giuseppe Di Lascio

 

Con la collaborazione di:

Bagalino Alessia, Bauzulli Doriana, Di Lascio Alessandro, Di Lascio Susanna, Levi Della Vida Andrea, Melilli Simonetta, Pallotta Pasqualino, Sesana Giovanna, Stazzi Claudio, Zimmatore Elena


SONNO E SALUTE

i disturbi del sonno

Giuseppe Di Lascio – Susanna Di Lascio


Le relazioni tra sonno e salute

L’OMS ha definito la salute come un benessere rispondente non semplicemente ad assenza semplice di malattia o infermità ma più compiutamente a uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, in ragione anche dell’ambiente in cui si vive, riconoscendo il suo godimento come uno dei fondamentali diritti dell’uomo.

A tale proposito il sonno, che permette al cervello di sincronizzare tutti i bioritmi essenziali, costituisce un determinante essenziale della salute a tutti ilivelli, sia somatico, in particolare neurovegetativo, sia emotivo-affettivo, sia cognitivo. Pressione arteriosa, frequenza cardiaca, temperatura corporea, ritmo sonno-veglia, bioritmi ormonali e loro circadianità, tono muscolare risentono della regolarità del sonno, che contribuisce anche a ridurre i livelli degli ormoni dello stress, dell’adrenalina e del cortisolo, sostanze che consentono di affrontare gli stati di emergenza e che, se si stabilizzano su livelli elevati, desincronizzano l’ipotalamo, la centralina che coordina tutti i nostri bioritmi, e portano a vivere in una condizione di allarme permanente. Durante l’età fertile, inoltre, il sonno sincronizza la circadianità, la circamensilità e la circannualità, ossia l’andamento quotidiano, mensile, annuale dei bioritmi endocrini e neurochimici, finalizzati anche alla riproduzione. Esso, costituito da un’architettura complessa, presenta fasi diverse, a cui corrispondono diverse funzioni specifiche. Peraltro, una variegata molteplicità di disturbi suole derivare dalla sua complessità, secondo quattro principali categorie: le alterazioni quantitative, le alterazioni qualitative, le parasonnie e altre di minore importanza. I farmaci, così detti cronobiotici, oggi giorno permettono di contrastare molte di queste disfunzioni. Interessante è ricordare che sono ormai note particolari relazioni tra sonno, da un lato, e invecchiamento, sessualità,  regolarità mestruale, gravidanza e normalità funzionale dei vari organi ed apparati dall’altro. Il sonno, ancora, svolge una fondamentale azione stabilizzatrice sul tono dell’umore, riducendo i livelli d’ansia e di irritabilità. Contribuisce, così, al benessere che alimenta il desiderio della vita, in termini di assertività esistenziale e anche sessuale. In caso, invece, di sonno disturbato aumentano la stanchezza generale e l’aggressività, sino a configurare, nei casi più gravi, un vero e proprio disturbo della personalità. Anche il desiderio e l’energia vitale si riducono drammaticamente fino alla franca depressione. Il sonno, in particolare nella fase del sogno, detta anche fase REM (Rapid Eyes Movements), si caratterizza, appunto, per movimenti veloci degli occhi al di sotto delle palpebre chiuse per seguire l’andamento dei sogni. In questa fase il cervello trasforma le tracce di memoria a breve termine in tracce a lungo termine, garantendo, così, non solo l’integrità dei processi psichici superiori, legati all’intelligenza e alle sue espressioni, ma anche le basi stesse dell’identità personale e relazionale. Infatti, il sapere chi siamo è legato al ricordare chi siamo stati e al riconoscimento delle persone, dei luoghi e degli avvenimenti per noi significativi ed essenziali della nostra memoria. Questo evento straordinario avviene tre o quattro volte per notte e dimostra come il sonno sia fondamentale, soprattutto per chi studia, dal momento che la memoria è il principale alleato della capacità di apprendere. In effetti, molte volte la malinconia e la depressione adolescenziali, attribuite superficialmente e troppo frettolosamente all’esplosione ormonale dell’età, potrebbero essere, invece, determinate da una mancanza di sonno.

Interessante è menzionare che Gennaro, L. D del Department of Psychology, University “Sapienza” of Rome, e collaboratori, di recente, sfruttando l'elevata risoluzione delle più recenti tecniche di neuro immagine, hanno studiato 34 soggetti sani dai 20 ai 70 anni d’età, chiedendo agli stessi di compilare un diario dei sogni al risveglio del mattino per due settimane attraverso la registrazione su audiocassetta. Gli AA, con l'analisi di regressione multipla, hanno valutato, quindi, la relazione tra le misure anatomiche e quelle quantitative e qualitative dei sogni segnalati.

Hanno, così, dimostrato che i parametri volumetrici e ultrastrutturali dell’amigdala e dell’ippocampo, che svolgono un ruolo decisivo nella regolazione delle emozioni e nella formazione della memoria durante lo stato vigile, predicono gli aspetti qualitativi del sogno di ogni individuo (Hum Mapp Brain, 2010. © 2010 Wiley-Liss, Inc.).

 Durante il sonno, inoltre, il cervello ripara i danni subiti dalle cellule nervose e attiva nuove connessioni tra i neuroni, aumentando così la capacità associativa, prerequisito per la qualità del pensiero, la prontezza dell’intelligenza e la creatività. Il sonno, dunque, consente al cervello di svolgere numerose funzioni per la salute e di recuperare, in particolare, la stanchezza e l’usura, accumulate durante il giorno, sul piano sia psichico sia metabolico e, quindi, biologico. La controprova osservabile di questo lavoro silenzioso, ma tanto prezioso e indispensabile, è il consumo cerebrale di ossigeno, che aumenta marcatamente proprio durante la notte.

Inoltre, il sonno regolare è essenziale per la regolare attività e funzione immunitaria, come dimostrato da numerose ricerche sulla riduzione  delle difese in caso di sua insufficienza o disturbo.

In definitiva possiamo ripetere con Arthur Schopenhauer ‘’il sonno è per l’uomo ciò che la carica rappresenta per un'orologio’’. Il filosofo, uno dei più rappresentativi dell'ottocento, dimostrava, infatti, di aver intuito che questo stato misterioso della vita dell’uomo, nel quale si trascorre circa un terzo della vita, è indispensabile per sostenere le funzioni e la salute dell'intero organismo, oltre che per il riposo della mente e del cervello.

Di fatto, c’è da notare che ancor oggi ci sono prove limitate sull’associazione dei disturbi del sonno e senso di fatica, incidenti e riduzione delle prestazioni.

Così pure sono disponibili scarse evidenze sulla responsabilità del rumore notturno, spesso causa dei disturbi del sonno, sui cambiamenti dei livelli ormonali e delle condizioni cliniche come le malattie cardiovascolari, depressione e altre malattie mentali. Infatti, a riguardo dovrebbe essere confermata la disponibilità di un modello biologico plausibile con sufficienti elementi di prova per i costituenti della catena causale.In generale, si è dimostrato che gli steroidi sessuali svolgono un ruolo nell’eziologia dei disturbi del sonno nelle donne, sia per avere un effetto diretto sui processi di tale condizione sia attraverso il loro effetto sull'umore e sullo stato emotivo. Gli steroidi sessuali, in effetti, influenzano il sonno EEG, ossia il comportamento dei suoi diversi stadi e fasi durante il periodo luteale, aumentando la frequenza delle onde EEG e la temperatura corporea. La mancanza di estrogeni, che con l’età contribuisce alla determinazione dei sintomi vasomotori, tra cui le vampate di calore, causa in tal modo anche i disturbi di sonno e l’insonnia.

Per quanto riguarda l'adolescenza bisogna ribadire che essa rappresenta un periodo cruciale, caratterizzato da evidenti cambiamenti nella crescita biologica e nello sviluppo cognitivo e psico-sociale. I mutamenti che occorrono nel comportamento del sonno includono la tendenza a sviluppare modelli di sonno irregolare, non dormendo a sufficienza e determinando consequenziale maggiore sonnolenza diurna e l’andare a letto tardi, ritardando le fasi e anticipando il risveglio.Si registra anche una maggiore vulnerabilità ai disturbi del sonno come l’insonnia, gli incubi cronici e i disturbi del sonno circadiani. Studi epidemiologici in alcuni casi porterebbero a considerare che il 14-33% degli adolescenti abbia disturbi del sonno e che il 10 -40% di studenti di scuola superiore sperimenta privazione del sonno moderata o transitoria. Alcuni dei cambiamenti citati possono, peraltro, essere correlati ai cambiamenti biologici associati con l'insorgenza della pubertà, come un allungamento e ritardo della fase dei ritmi circadiani endogeni. Ma anche i fattori psicosociali devono svolgere un ruolo importante insieme alla diminuzione del controllo parentale e all’aumento del tempo trascorso con i coetanei per le attività extrascolastiche e i compiti, per gli impegni di lavoro, per l’uso eccessivo d’internet e, in generale, per gli stress della vita. I disturbi del sonno si associano negli adolescenti a effetti negativi sulla loro capacità di pensare e di concentrarsi a scuola, sul rendimento scolastico, sul comportamento e sull'umore durante le ore diurne, aumentando il rischio d’infortuni e incidenti, la possibilità di depressione maggiore, di uso di droga e di alcol. I disturbi del sonno in studi clinici ed epidemiologici hanno rivelato anche una maggiore propensione al comportamento suicidario. In particolare, studi elettroencefalografici (EEG) hanno documentato alterazioni del sonno nei pazienti psichiatrici con comportamento suicidario, tra cui la latenza del sonno più lungo, l'aumento del tempo REM e dell'attività fasica REM. Si è anche esaminata la relazione tra la secrezione plasmatica di cortisolo prima e dopo il sonno degli adolescenti depressi con i tentativi di suicidio, portando a ipotizzare una disregolazione dell'asse ipotalamo- ipofisi-surrene, combinata con la disfunzione dei meccanismi d’insorgenza di sonno alla base della vulnerabilità per la ricorrenza del disordine e dei tentativi di suicidio futuro stessi.


Disturbi del sonno e suicidio negli adolescenti

Tina R. Goldstein e collaboratori del Western Psychiatric Institute and Clinic, University of Pittsburgh Medical Center, considerando, in effetti, la preoccupante frequenza di suicidio nell’età adolescenziale, hanno voluto esaminare i disturbi del sonno precedenti la morte in un campione di adolescenti che avevano compiuto il suicidio, rispetto a un campione di controllo (J Consult Clin Psychol. 2008 February; 76(1): 84).  I disturbi del sonno venivano, così, valutati in 140 vittime di suicidio adolescenziale con un protocollo di autopsia psicologica e in 131 controlli con una simile intervista semistrutturata psichiatrica. Di poi i tassi dei disturbi del sonno venivano confrontati tra i gruppi. I risultati indicavano che chi aveva compiuto il suicidio avevano, in generale, tassi più elevati di disturbi del sonno, insonnia, ipersonnia, supportando un rapporto significativo e temporale tra i problemi di sonno e il suicidio compiuto dagli adolescenti. Su tale base, viene da considerare che i disturbi del sonno dovrebbero essere attentamente valutati negli sforzi di prevenzione e d’intervento sugli adolescenti a rischio di suicidio.


Gravidanza, disturbi del sonno ed errori del metabolismo glucidico

Chunfang Qiu e collaboratori del Center for Perinatal Studies, Swedish Medical Center, Seattle, Washington, USA, considerando che è abbastanza nota, ma non in gravidanza, l’associazione tra sonno insufficiente e di scarsa qualità con l’obesità, la ridotta tolleranza glucidica e il diabete, hanno studiato una coorte di 1.290 gestanti iniziali,dai 18 anni in su, raccogliendo informazioni sulla durata del sonno e il russamento (BMC Women's Health 2010, 10:17).

Circa il 5,3% della coorte di studio sviluppava diabete mellito gestazionale (68 su 1.290) e, dopo aggiustamento per età materna e razza/etnia, il rischio di GDM, diabete gestazionale, risultava aumentato tra le donne con sonno di ≤ 4 ore rispetto a quelle con 9 per notte (RR = 5,56, IC 95% 1,31-23,69).

I RR corrispondenti erano per le donne magre (<25 kg/m2) 3.23 (IC 95% 0,34-30,41) e 9,83 (IC 95% 1,12-86,32) per quelle in sovrappeso (≥ 25 kg/m2). Nel complesso, il russare si associava a un rischio 1,86 volte maggiore di GDM (RR = 1,86, IC 95% 0,88-3,94). Il rischio di GDM era, poi, particolarmente elevato tra le donne in sovrappeso che russavano. Rispetto alle donne magre che non russavano, quelle in sovrappeso e russatrici avevano un rischio 6,9 volte maggiore di GDM (IC 95% 2,87-16,6).


Postmenopausa, ormoni e qualità del sonno

Gregory J Tranah e collaboratori del CPMC Research Institute, San Francisco, CA, USA, considerando che i disturbi del sonno e l’insonnia sono comunemente riferiti dalle donne in postmenopausa, in assenza di ampio studio per una definizione sulla loro relazione con la terapia ormonale (HT), utilizzando i dati del SOF, multicenter Study of Osteoporotic Fractures, hanno testato il rapporto tra HT e il ritmo sonno-veglia, stimato dall’actigrafia in 3.123 donne di età compresa tra gli 84 ± 4 anni con range 77-99(BMC Womens Health. 2010; 10: 15).

Erano disponibili 424 misure actigrafiche attuali, 1.289 antecedenti e 1.410 per quante non in cura con HT. Le donne, in trattamento HT attuale, presentavano un WASO (Wake After Sleep Onset) più breve (76 vs 82 minuti, P = 0,03) e minori episodi di lungo risveglio (≥ 5 minuti) (6,5 vs 7,1, P = 0,004), rispetto a chi non lo era.Le donne, in cura HT in passato, presentavano il tempo totale di sonno più lungo di quelle mai in trattamento (413 vs 403 minuti, p = 0,002). Queste ultime avevano, anche, probabilità elevate di SE (sleep efficiency)<70% (OR 1,37, IC 95%, 0.98-1 0,92) e significativamente più alta probabilità di WASO ≥ 90 minuti (OR 1,37, IC 95%, 1.02-1 .83) e ≥ 8 episodi lungo risveglio (OR 1,58, IC 95%, 1.18-2 .12), rispetto a quelle con uso corrente di HT.


Effetti dell'invecchiamento e della menopausa sull’architettura del sonno

Lukacs JL del General Clinical Research Center and Reproductive Sciences Program, University of Michigan, per meglio distinguere gli effetti dell’invecchiamento, di per sé, da quelli dovuti alla influenza degli steroidi sessuali, hanno esaminato l'architettura del sonno sia in soggetti giovani sia di mezza età (J Womens Health (Larchmt). 2004 Apr;13(3):333-40).I ricercatori hanno arruolato cinquantuno soggetti suddivisi in quattro gruppi di volontarie: 15 OC, dai 40 ai 50 anni, con ciclo ovulatorio, 14 YC, dai 20 ai 30 anni, con ciclo ovulatorio, 12 OVX, dai 40 ai 50 anni, ovariectomizzate e in cura sostitutiva di estrogeni e 10 P M, dai 40 ai 50 anni, spontaneamente in post-menopausa. Pur con concentrazioni di estrogeni simili al gruppo YC (28 ± 4 pg / ml) e OC (34 ± 6 pg / ml), le donne OC avevano una ridotta efficienza del sonno (79% ± 2%) vs YC (87% ± 3 %, p = 0,009) e nei gruppi OVX e PM, con concentrazioni di estrogeni nettamente diverse, l'efficienza del sonno risultava anche ridotta rispetto al gruppo YC (YC OVX vs, 79% ± 3% vs 87% ± 3%, p = 0.05; PM vs YC, il 75% ± 3% vs 87% ± 3%, p = 0,007).Il risveglio era più lungo nei tre gruppi di anziane (103 ± 10 minuti, 101 ± 12 minuti, 123 ± 12 minuti per OC, OVX, PM, rispettivamente) vs l’YC (63 ± 13 minuti, p <0,05). Il numero dei viraggi di stadio si associava, inoltre, positivamente con l'avanzare dell'età (p rho = 0.3, <0,03) ma non con la concentrazione di estrogeni. In conclusione, tale studio sembra dimostrare che il deficit di sonno, connesso con l'invecchiamento in risposta a un fattore stressante sperimentale, si verifica nelle donne di mezza età precedentemente alla menopausa.


Il CARDIA Sleep Study

Kristen L. Knutson e collaboratori del Department of HealthStudies, University of Chicago, 

sulla base che diversi studi epidemiologici avevano evidenziato una correlazione positiva tra durata del sonno autoriferita breve e ipertensione, hanno voluto esaminare in 578 afro-americani e bianchi dai 33 ai 45 anni, di età media di 40,in uno studio accessorio del CARDIA (Coronary ArteryRisk Development in Young Adults), le associazioni trasversali e longitudinali tra durata del sonno, misurata oggettivamente, e la pressione  arteriosa (Arch Intern Med. 2009;169(11):1055-1061).

Dopo aver escluso quanti assumevano farmaci antipertensivi e dopo aggiustamento per età, razza e sesso, la durata più breve di sonno e il più basso mantenimento di esso predicevano significativamente i più elevati livelli di pressione sistolica e diastolica, come pure i cambiamenti sfavorevoli dei livelli pressori oltre i 5 anni (tutti p <.05).La durata breve del sonno prediceva anche un aumento significativo dell’incidenza d’ipertensione (odds ratio, 1.37; intervallo di confidenza 95% 1,05-1,78).

Studi di privazione del sonno a breve termine in laboratorio avevano già suggerito, di fatto, un nesso causale tra la perdita di sonno e ipertensione, secondo possibili meccanismi di aumento dell'attività simpatica, stimata con le misure di variabilità della frequenza cardiaca. Nella deprivazione cronica di sonno l’aumento dell'attività nervosa simpatica potrebbe causare, di certo, l'ipertensione. Inoltre, l’osservazione che si osservavano livelli più elevati di pressione sanguigna negli uomini, soprattutto di colore, rispetto alle donne, suggeriva ai ricercatori la possibilità intrigante che i valori più alti ben documentati negli afro-americani e gli uomini potevano essere in parte collegati alla durata del sonno. Pertanto, l’'individuazione di un nuovo fattore di rischio per l’ipertensione nello stile di vita potrebbe portare a nuovi interventi per prevenirla o ridurla. 


La deprivazione del sonno

La società moderna caratterizza modi di vita sempre più dinamici che invitano a dormire il meno possibile. Difatti, il gran tanto da fare porta a condannare il sonno come una perdita di tempo. Invece, esso rappresenta in vari modi un intervallo essenziale di riposo e di ringiovanimento per la mente e il corpo in proiezione delle loro prestazioni. Il sonno ripaga con benefici consistenti il nostro stato d'animo, la memoria e la concentrazione, aiutando a organizzare i ricordi, a solidificare l'apprendimento. Il sonno regolare, in particolare quello in cui si attivano i sogni (sonno REM), regola anche l'umore.

Variando da 3-5 a 8 ore e più i riferimenti sul cumulo soddisfacente assoluto di ore di sonno giornaliero, in quanto non pienamente determinata la sua funzione, la privazione di sonno è meglio definita dalla compromissione delle funzioni che essa suole provocare.

Quando si continua a non mantenere la quantità di sonno di cui si ha bisogno, si comincia a pagare con la sonnolenza diurna, la difficoltà di concentrazione, l’irritabilitàe l’irascibilità, l’aumento del rischio di cadute e d’incidenti e la riduzione di produttività, le alterazioni dell’emotività dell’interazione sociale e del processo decisionale.

La privazione del sonno influisce anche sulle capacità motorie tanto da portare nei casi di grave deprivazione ad assumere nella guida dei veicoli un comportamento simile a quello dello stato di ebbrezza.

A tale proposito, la National Highway Traffic Safety Administration ha riportato che tale stato provoca, difatti, oltre 100.000 infortuni e 1.500 morti ogni anno. Ma il sonno apporta benefici anche al sistema immunitario e nervoso e allo sviluppo e alla crescita. Senza sonno adeguato, il sistema immunitario s’indebolisce e l’organismo diventa più vulnerabile alle infezioni e alle malattie. Il sonno, difatti, rappresenta il periodo di riposo e di riparazione fisiologico per i neuroni e, in generale, per la crescita cellulare. Studi recenti hanno suggerito che durante l’inattività del cervello legata al sonno i neuroni, molto attivi da svegli, possono ricaricare le riserve di energia consumate e permettere la funzione cellulare e la riparazione dei danni provocati dall’intenso metabolismo, favorendo anche la formazione di nuove cellule nervose. Molti ormoni vengono rilasciati durante il sonno, o poco prima di dormire, come l’ormone somatotropo, vitale per la crescita dei bambini ma anche per i processi di riparazione cellulare, come quella del muscolo.

La privazione del sonno porta, pertanto, al così detto debito di sonno, che può accumularsi per varie notti, con possibilità, se non eccessivo, di compensazione con un giorno o due di sonno normale. Va, comunque, sconsigliata l’abitudine di programmare ore più lunghe di sonno alla fine della settimana per dormire meno nei giorni feriali, in quanto si può compromettere la qualità generale del sonno stesso. È buona norma, invece, andare a dormire e svegliarsi sempre più o meno alla stessa ora di ogni giorno.Nel caso di privazione cronica di sonno, potrebbe in alcuni casi essere necessario un tempo più lungo per esaurire il debito di sonno, usufruendo, per esempio, della possibilità di una vacanza, dormendo per un paio di giorni e per tutto il tempo necessario.

Gli studi PET con glucosio marcato hanno mostrato nella deprivazione del sonno che, dopo 24 ore di vigilanza continua, l'attività metabolica del cervello si riduce in maniera significativa fino al 6% per l'intero cervello e fino all’11% per specifiche aree corticali e gangliari basali.  

Nell’uomo si determina anche una riduzione della temperatura corporea, della funzionalità del sistema immunitario e del rilascio di ormone della crescita. La mancanza di sonno appare anche causa di aumento della variabilità della frequenza cardiaca. Con la diminuzione del sonno, le attività cognitive di ordine superiore sono subito compromesse in modo sproporzionato, così che le prove che richiedono velocità e precisione si  rivelano notevolmente rallentate e comincia a fallire la velocità prima dell’accuratezza. La riduzione del sonno totale, comunque,  riduce la velocità del tempo di reazione nei compiti semplici e nella soluzione dei problemi matematici richiesti da un programma di computer più esigente. In simulazioni di guida gli incidenti aumentano progressivamente con la durata della deprivazione. Gli  studi PET con glucosio marcato dimostrano che i soggetti, privati del sonno per 24 ore, presentano una diminuzione del metabolismo nelle aree associative prefrontale e parietale, considerate le più importanti per il giudizio, il controllo degli impulsi, l'attenzione e l'associazione visiva, rispetto alle aree primarie sensoriali e motorie, necessarie per la ricezione e che reagiscono agli input ambientali. La privazione del sonno, come già detto, è, comunque, un concetto relativo, così che le scarse perdite possono non essere riconosciute dai singoli, mentre le più severe limitazioni possono determinare anche gravi deficit cognitivi simili a quelli osservati in alcuni pazienti colpiti da ictus.

Comunque, il suo effetto negativo su attenzione e memoria di lavoro è supportato ampiamente dalla letteratura esistente sia nella condizione acuta totale sia nella  cronica parziale. Le persone anziane dimostrano, peraltro, una minore compromissione cognitiva rispetto ai più giovani e le donne sembrano, in termini di performance cognitive, più resistenti nel sopportare lo stato di veglia prolungata rispetto agli uomini, mentre fisiologicamente il loro recupero appare più lento. Pur tuttavia, la tolleranza alla deprivazione del sonno può dipendere anche da caratteristiche individuali ed i meccanismi che inducono le differenze tra i gruppi di età ed il sesso o individui diversi sono ancora per lo più poco chiare. Difatti, diversi motivi possono essere coinvolti, come meccanismi fisiologici e fattori sociali e ambientali. Peraltro, l’ampia diversità di selezione dei soggetti e dei metodi, adottati negli studi scientifici, rende ulteriormente difficile la  comparazione dei risultati.