notiziario gennaio 2011 N°1 - DANNI DA FARMACI

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NOTIZIARIO Gennaio 2011 N°1

A cura di Giuseppe Di Lascio

 

Con la collaborazione di:

Bagalino Alessia, Bauzulli Doriana, Di Lascio Alessandro, Di Lascio Susanna, Levi Della Vida Andrea, Melilli Simonetta, Pallotta Pasqualino, Sesana Giovanna, Stazzi Claudio, Zimmatore Elena


I danni da farmaci

Il problema del danno da farmaci e della sicurezza delle terapie costituisce una priorità sempre più attuale e impellente. Al momento, nel ciclo produttivo e distributivo, sia da parte della comunità scientifica sia da parte dell’autorità regolatoria, è molto sentito il bisogno della valutazione e della pubblicizzazione del rapporto rischio/beneficio del farmaco, in modo organizzato, trasparente e integrato.

Grande importanza assume, pertanto, un progetto funzionale di risk management che deve iniziare con un programma di analisi di farmacovigilanza focalizzata sul rischio, rivolta a colmare le conoscenze ineluttabilmente presenti, specialmente nelle prime fasi di commercializzazione di un prodotto. Per l’appunto, una strategia per minimizzare il rischio risiede nel rilievo e nell’integrazione dei dati in maniera incrementale, giacché il livello di sicurezza di una sostanza è intrinseco e immutabile. Peraltro, non sono nuovi gli strumenti idonei al ricavo dei dati e alla valutazione del rischio stesso. Pertanto, il valore della fonte dei risultati, in funzione del loro corrispettivo potere predittivo, assume, nell’ambito delle specifiche categorie di esso, particolare importanza nella stima del rischio.

Suddividendo, così, le categorie del rischio e indirizzando i dati sotto ciascuna di esse, si può, di conseguenza, progettare un piano di Risk Managment trasparente, integrato nel ciclo produttivo e di utilizzo del farmaco, in grado di mantenere una rivalutazione continua del rapporto Rischio/Beneficio.
In quest’ultimo processo, una corretta strategia deve iniziare con la stima delle proprietà biologiche, chimico-fisiche del prodotto per passare poi ad altri parametri, quali la frequenza e la gravità degli eventi dannosi causati, l’analisi delle variabili e come queste incidono sul suo profilo primario.
Non di ultimo interesse è l’impatto del rischio sul piano terapeutico e come esso si bilancia con la valutazione del benessere e con l’implementazione di misure di risk mitigation per posizionare il prodotto nei maggiori margini di sicurezza terapeutica.

Tutto ciò deve derivare dalla:

  1. causalità o meno di un’ADR,
  2. frequenza/gravità di essain una data popolazione,
  3. variabilità del rischio, come comorbidità e/o uso di altri farmaci,
  4. impatto sul trattamento o sul benessere,
  5. valutazione del rapporto rischio/beneficio e della risk mitigation
    per il migliore posizionamento del farmaco.

Com’è noto, ogni farmaco ha un suo destino nel nostro organismo:

Di solito, il farmaco blocca i recettori cellulari ostacolandone la funzione, mentre in altra condizione entra nella cellula e ne modula l’attività o la riproduzione. Infine, dopo un tempo variabile da farmaco a farmaco, avviene la sua eliminazione locale nella cellula oppure per opera di altri tessuti, come il fegato e/o i reni. Peraltro, in rapporto alle diverse circostanze, è possibile misurare la concentrazione sanguigna o urinaria del prodotto chimico, traendo nozioni che permettono di spiegare da una parte la mancata efficacia dovuta a insufficiente assorbimento e dall’altra l’effetto tossico per le sue quantità eccessive.

Un farmaco, comunque, somministrato per un effetto terapeutico, può promuovere nel nostro organismo numerose conseguenze con effetti indesiderati, sotto la variante più lieve di effetti collaterali o sotto forma di una reazione allergica. In tutti i casi, la distinzione tra effetto curativo/indesiderato è in qualche modo discutibile perché il curativo di oggi potrebbe sempre divenire l'effetto cercato in futuro. Gli antistaminici, ad esempio, con effetto collaterale di sonnolenza, sono stati poi usati come sedativi e così pure l’aspirina ha trovato ampia diffusione d’uso nella prevenzione della malattia  cardiovascolare per i suoi effetti collaterali sull’aggregazione piastrinica.

Negli ultimi quindici anni, molti farmaci, appartenenti a diversi gruppi terapeutici, sono stati ritirati dal commercio per ragioni di sicurezza. Questo è stato il risultato di effetti collaterali, conseguenze prevedibili e indesiderabili dose-dipendenti durante un piano terapeutico. In altri casi si è dimostrata una tossicità da sovradosaggio, prevedibile per dosi sopra il range terapeutico per un determinato paziente. In quest’occasione, invero, vi può essere una sovrapposizione con la precedente forma, soprattutto nell’uso di agenti con limitato indice terapeutico. Peraltro, la gravità del quadro clinico, spesso determinata dalle malattie di base, come la grave insufficienza epatica e/o renale, è abitualmente dose-dipendente.
Le allergie ai farmaci, invece, non dose-dipendenti, sono abbastanza frequenti e ricorrono in casi di alterata reattività dopo un precedente uso del farmaco, che assume, quindi, il ruolo di antigene o allergene. Il quadro clinico, indipendente dalle proprietà farmacologiche della sostanza, è dominato dalla reazione antigene-anticorpo. Pur tuttavia, con un’attenta e diligente anamnesi, seguita da test appropriati, si possono riconoscere i casi a rischio, tanto da poter considerare le allergie sufficientemente prevedibili e prevenibili.
Le reazioni avverse inaspettate e peculiari, ricorrenti in una piccola percentuale d’individui, chiaramente non di natura allergica,non legate alle proprietà farmacologiche, definiscono, invece, l’idiosincrasia. Essa è considerata una genetica, anomala reattività a un farmaco e propone continuità di studi rivolti a chiarirne sempre meglio la natura.
In conformità a quanto riportato, è bene ricordare che nelle reazioni di tipo I gli allergeni si combinano con le IgE specifiche, legate ai recettori di membrana sulle mast-cellule tissutali e sui basofili ematici, conseguendone una reazione antigene-anticorpo. Si verifica, quindi, un rapido rilascio di potenti mediatori vasoattivi e infiammatori in parte preformati, come l’istamina e la triptasi, oppure di nuova sintesi dai lipidi di membrana, come i leucotrieni e le prostaglandine. Anche le citochine pro infiammatorie, come l’interleuchina 4 e l’interleuchina 13 vengono rilasciate in poche ore dalle mast-cellule e dai basofili, causando vasodilatazione, aumento della permeabilità capillare, ipersecrezione ghiandolare, contrazione della muscolatura liscia e infiltrazione nei tessuti di eosinofili e di altre cellule infiammatorie. Nelle reazioni di tipo II citotossiche, invece, l’anticorpo reagisce con le componenti antigeniche della cellula o dei tessuti, oppure con un antigene o un aptene, legati a una cellula o a un tessuto. La reazione antigene-anticorpo può attivare le cellule killer T o i macrofagi, determinando la citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente e inclusiva, quasi sempre, dell'attivazione del complemento che può provocare l'adesione opsoninica, mediante il rivestimento della cellula con l'anticorpo. Ne consegue l’attivazione dei componenti del complemento per mezzo del C3, con fagocitosi della cellula o con l'attivazione di tutto il sistema complementare, risultandone la citolisi o il danno tissutale.
Nelle reazioni di tipo III gli IC (immunocomplessi) solubili, circolanti si depositano nei vasi o nei tessuti, attivando il complemento e innescando, così, una reazione infiammatoria acuta che porta alla migrazione dei polimorfonucleati e al rilascio di enzimi proteolitici lisosomiali e dei fattori di permeabilità nei tessuti. L’eccesso di anticorpo fa precipitare rapidamente gli IC, dove è localizzato l'antigene, oppure si ha la loro fagocitosi da parte dei macrofagi con rimozione del danno. In presenza, invece, di un lieve eccesso di antigene, gli IC tendono a essere più solubili, con capacità di determinare, per la loro deposizione nei tessuti, reazioni sistemiche.
Infine, le reazioni di tipo IV d’ipersensibilità cellulare, cellulo-mediate, ritardate o di tipo tubercolinico, sono prodotte dai linfociti T, sensibilizzati dal contatto con un antigene specifico. In questo caso, però, il danno tissutale non si produce necessariamente. Per la presenza degli anticorpi circolanti, questa forma di reazione può essere trasmessa dagli individui sensibilizzati ai non, tramite i linfociti del sangue periferico, ma non attraverso il siero. I linfociti T, sensibilizzati, innescati o attivati dal contatto con un antigene specifico, possono indurre il danno immunologico con un effetto tossico diretto o attraverso la liberazione di sostanze solubili, le linfochine. I T linfociti, attivati nelle colture tissutali, dopo la sensibilizzazione, distruggono le cellule bersaglio per contatto diretto e, per la liberazione di diverse citochine, influenzano l'attività dei macrofagi, dei neutrofili e delle cellule killer linfoidi.
Una buona conoscenza delle proprietà dei farmaci è la base per evitare quanto più possibile le ADR (Adverse Drug Reactions), che rappresentano un rilevante problema di salute pubblica. Secondo diverse fonti, circa il 5-10% dei pazienti in trattamento farmacologico è colpito da una reazione avversa. Questo evento, peraltro, causa circa il 5% dei ricoveri ospedalieri della popolazione totale e oltre il 15%nei pazienti anziani. La loro incidenza, poi, in ospedale è stimata superiore al 10%, con quote non basse di casi particolarmente gravi, tanto da poter portare al decesso. Una recente stima negli USA ha classificato le ADR tra la quarta – sesta causa di morte, con un impatto rilevante sui costi, corrispondenti a 30 - 130 miliardi di dollari in un anno, superiori a quelli determinati dal diabete.
L’errore in medicina nell’uso dei farmaci risulta, di poi, spesso connesso alle ADR che rappresentano l’evento avverso sempre più frequente nella sanità. In una recente analisi ospedaliera la prescrizione, in particolare, si presentava come la critica fase responsabile di circa il 60% di errore, con un consequenziale risultato di aumento delle degenze e dei costi aggiuntivi sino al 2%. Eppure, la reazione avversa, spesso definita inevitabile, potrebbe essere prevenuta con un monitoraggio più puntuale e aggiornato della farmacocinetica e farmacodinamica dei farmaci, riconoscendo tempestivamente le condizioni predisponenti, valutando il pericolo riguardante il meccanismo d’azione delle singole sostanze e delle loro potenziali interazioni. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha fornito la seguenteclassificazione eziologica delle ADR:

Da notare che i tipi A e B sono stati proposti negli anni ’70, mentre gli altri successivamente, per integrazione necessaria dei primi due.

Di un indubbio interesse è il dato che alcune interazioni sono dovute al sistema di enzimi del citocromo P-450, utilizzati dall’organismo per rimuovere un farmaco secondo interazioni, anche complesse, con aumento o riduzione della sua attività. È il caso della teofillina e della ciprofloxacina che determinano un’up-regulation della via del citocromo, che cancella anche gli estrogeni e la fenitoina. In tal modo, i contraccettivi orali e gli anticonvulsivanti possono fallire la loro azione per una loro rapida eliminazione, senza che si possa realizzare un loro livello adeguato nel sangue. D’altro canto, gli inibitori delle monoamino ossidasi possono provocare ipertensione fatale nei pazienti che hanno consumato cibi contenenti alte concentrazioni di tiramina, come il vino Chianti, alcuni pesci affumicati e formaggi stagionati.


Farmacologia istituzionale e medicina alternativa e complementare

Anche i preparati a base di piante, o loro derivati, sono dotati di attività nell’organismo. Essi, quindi, pur non traducendosi sempre in efficacia clinica, possono essere, responsabili della comparsa di effetti collaterali e alterare l'efficacia dei farmaci convenzionali.

La CAM (complementary and alternative medicine) è riferita a un qualsiasi sistema di cure utilizzato oltre il trattamento convenzionale. La medicina complementare, solitamente non insegnata e praticata nelle scuole e ospedali occidentali, costituisce un gruppo di discipline diagnostiche e terapeutiche integrative della medicina convenzionale, come l’aromaterapia per ridurre il disagio postoperatorio. La medicina alternativa è, invece, praticata al posto della medicina convenzionale, come nel caso di diete particolari nella cura del cancro.

Secondo il National Center for Complementary and Alternative Medicine del National Institutes of Health (NIH), le medicine complementari e alternative (CAM) sono:
l’agopuntura, la tecnica alexander, l’aromaterapia, l’ayurveda, il biofeedback, la chiroterapia, la dietoterapia, la fitoterapia, l’infermieristica olistica, l’omeopatia, l'ipnosi, la massoterapia, la meditazione, la naturopatia, la terapia nutrizionale, la terapia osteopatica manipolativa (OMT), il qi gong, la reflessologia, il reiki, la guarigione spirituale, il tai chi, la medicina tradizionale cinese (MTC), lo yoga. Nel corso degli anni, invero, sono aumentate le comunicazioni d’interazioni tra farmaci convenzionali ed erbe medicinali, che usate per secoli per trattare tutti i tipi di malattie, costituiscono un frainteso rimedio della salute naturale.

Margaret Grieve nel 1931 classificò ben 800 erbe e altre piante, ma in occidente solo 60, o meno, sono quelle usate comunemente come erbe curative.

Pur tuttavia, l'uso delle piante medicinali è anteriore ai documenti, relativi alla storia dell’umanità, tramandati per iscritto. Nello Shanidar-4°, sito di sepoltura Neanderthal nel nord dell'Iraq di 60.000 anni fa, sono stati scoperti grandi quantità di polline di 8 specie di piante, di cui 7 utilizzate oggi come prodotti di erboristeria. Così, i Sumeri 5.000 anni fa hanno descritto l’uso consolidato, come medicine, dell’alloro, del cumino e del timo. Vi è testimonianza anche presso gli antichi egizi del 1000 a.c., i quali utilizzavano, come farmaci, l'aglio, l'oppio, l’olio di ricino, il coriandolo, la menta, l'indaco. Così pure, alcune citazioni dell’Antico Testamento riportano l'uso di erbe e coltivazioni di mandrake, veccia, cumino, frumento, orzo e segale. In seguito, anche gli antichi greci e i romani hanno lasciato documentazioni sull’uso delle piante medicinali. È bene, comunque, ribadire che, con il tempo, nei riguardi di queste cure non convenzionali, si sono formalizzati diversi miti, molto spesso sulla base di principi sbagliati pericolosi anche per la vita di un paziente. In effetti, una credenza comune, ma da sfatare, è quella che considera ogni derivato dalle piante naturali un composto non dannoso, senza riflettere che alcuni dei più potenti veleni conosciuti hanno una derivazione proprio dal mondo vegetale. Inoltre, se il consumo di erbe medicinali si aggiunge a quello dei farmaci convenzionali, s’instaura, durante il trattamento di una malattia, la possibilità di un’interazione, possibile causa di risultati negativi, dal semplice fastidio alla morte.

Bisogna, difatti, pensare che il derivato vegetale possa benissimo determinare una riduzione dell'assorbimento che riduce l'efficacia del farmaco, oppure un’accelerazione che ne aumenta l’attività con il risultato di una vera e propria overdose. In molti casi vengono, peraltro, interessati gli enzimi epatici implicati nella demolizione del farmaco, che rimane, in tal modo, più concentrato nel flusso sanguigno.

Vi sono, oramai, evidenze di numerose piante ed erbe in grado di interagire con farmaci e integratori dietetici comuni, sia prescritti convenzionalmente sia OTC (over-the-counter). L'erba di San Giovanni, di diffuso uso in USA per il controllo della depressione o come anti-infiammatorio, come sedativo e recentemente anche come anti-virale, associata agli anticoncezionali, può provocare metrorragie e anche una gravidanza indesiderata. Peraltro, associata alla sertralina, farmaco antidepressivo inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina (SSRI), può produrre un rapido aumento della serotonina, causando allucinazioni, confusione, vomito ed anche coma. Combinata poi alla digossina, ne altera l'efficacia con aggravamento dello scompenso cardiaco. L’echinacea, di comune uso nel raffreddore e nelle infezioni delle alte vie respiratorie, abbinata all’acetaminofene per la cefalea o alla simvastatina o all’atorvastatina, può determinare una grave insufficienza epatica, mentre con l'aspirina o con un qualsiasi FANS un sanguinamento incontrollato. Peraltro, diversi studi hanno dimostrato scientificamente che l’echinacea ha proprietà antibiotiche e anti-virali, poiché stimola la produzione dei globuli bianchi, esaltando l’attività del sistema immunitario.

Il ginkgo biloba, usato senza chiare evidenze scientifiche per migliorare le prestazioni cognitivo-mnemoniche e scongiurare i segni della senilità, può provocare, dalla sua parte, attacchi epilettici se associato agli antidepressivi o alla ciprofloxacina. Inoltre, in caso di uso di antidiabetici si ottengono alterazioni dei valori glicemici. L'aglio, ricco di antiossidanti, utilizzato in molte culture per migliaia di anni, sia come alimento sia come medicinale, è riconosciuto possedere proprietà di prevenzione dell’ipercolesterolemia, dell’ipertensione, con effetti positivi sul sistema immunitario, proteggendo, così, dal cancro e potenzialmente dall’accumulo di placca nelle arterie dovuto all’età. Questo ingrediente, comune nell’uso alimentare, però, può esagerare l'attività dei farmaci che inibiscono l'azione delle piastrine, come l’aspirina, l'indometacina, il dipiridamolo, il clopidogrel. Ci sono state, anche, segnalazioni di una possibile interazione tra aglio e warfarin con aumento del rischio di sanguinamento in soggetti che assumono questo farmaco. Inoltre, l'aglio può ridurre i livelli ematici degli inibitori delle proteasi usati nella cura dell'immunodeficienza umana (HIV), come l’indinavir, il ritinavir e il saquinavir.
La kava, un'erba con proprietà ansiolitica, antidolorifica, rilassante muscolare e anticonvulsivante, è consumata in varie occasioni sociali e cerimoniali nella maggior parte delle isole del Pacifico, ma è anche utilizzata in alcuni altri paesi come erba medicinale. Nei primi anni del decennio 1980 la kava è stata portata nell'Est Arnhem Land nel Northern Territory come sostituto dell’alcool e la sua combinazione con l’alcol o altre sostanze psicoattive si è rivelata particolarmente pericolosa. Comunque, essa va proscritta durante: la gravidanza, l’allattamento, la guida di autoveicoli o l’uso di macchinari, la somministrazione di farmaci, la minore età, le cardiopatie, le malattie polmonari o epatiche. L’uso della kava a lungo termine può causare, peraltro, un’ampia gamma di gravi problemi a livello di diversi organi e apparati. Comunque, alcol, barbiturici, antidepressivi e antipsicotici vanno assolutamente evitati in combinazione con tale prodotto.

Bisogna, peraltro, registrare che, nell’era della globalizzazione che stiamo vivendo, i pazienti sono sempre più portati a utilizzare prodotti di derivazione vegetale per scopi preventivi e terapeutici su indicazioni di diverse culture anche molto distanti.

Tachjian della Mayo Clinic, Rochester, Minnesota e collaboratori hanno di recente pubblicato una loro analisi riguardante i punti più importanti che riguardano l'uso delle erbe, venendo alla conclusione che: 1) il loro uso è molto diffuso, soprattutto tra certi sottogruppi di persone, come i pazienti che già assumono farmaci di prescrizione medica; 2) la comunicazione ai propri medici curanti dell’uso della medicina complementare e alternativa da parte dei pazienti è bassa, 3) le interazioni erbe-farmaco potenzialmente pericolose possono essere non riconosciute (J Am Coll Cardiol 2010;55:515–25).
Nei riguardi di tale argomento, dalla National Health Interview Surveys si rileva che l'uso di medicine complementari e terapie alternative, da parte degli adulti statunitensi, appare stabilizzato nel periodo tra il 2002 e il 2007. Difatti, sebbene l'uso di poche forme di medicina complementare e alternativa abbiano fatto segnare una crescita in tale intervallo, ciò non ha riguardato l’utilizzo delle erbe medicinali. Comunque, i dati hanno rivelato che circa 15 milioni di adulti sono ricorsi nel 1997 alle erbe o supplementi di vitamine ad alto dosaggio in contemporanea con i farmaci di prescrizione convenzionale.

In particolare, le interazioni che possono derivare da queste associazioni sono imputabili per oltre il 50% all’interessamento del citocromo P450 (CYP) 3A4, che può rendere conto delle conseguenze cliniche che ne possono conseguire.
Questo dato interessa, quindi, i farmaci che sono esclusivamente, o principalmente metabolizzati dal CYP 3A4, come la sertralina e la fluoxetina. Peraltro, estremo interesse, per le possibili gravi conseguenze sul risultato delle cure, assumono gli effetti nell’uso dei derivati vegetali sul sistema cardiovascolare o emocoagulativo, sia di tipo diretto sia indiretto attraverso le interazioni con i farmaci cardioattivi.

Presentano, difatti, proprietà negative sul sistema cardiovascolare l’erba di S. Giovanni, il ginseng, il gingko biloba, l’aglio, il succo di pompelmo, il biancospino, la serenoa repens, il danshen, l’echinacea, il tetrandrine, l’aconito, la yohimbina, la gynura, la liquirizia, il cohosh nero. In particolare possono potenziare il rischio di sanguinamento:
l’alfalfa, il bilberry, la salvia miltiorrhiza, il dong quai, il fieno greco, l’aglio, il ginkgo biloba, il ginseng, il leonurus sibiricus, la serenoa repens.
Possono, invece, potenziare il rischio di aritmia per un prolungamento del QT:
l’aloe vera, l’arancio amaro, l’echinacea, il ginkgo biloba, il ginseng, la paullinia cupana, il biancospino, l’epimedio, la liquirizia, la convallaria, il cereus grandiflorus o regina della notte, l’oleandro, la rodiola, l’iperico. Da più parti si commenta purtroppo che la maggior parte dei consumatori di erbe medicinali ritiene improbabile la responsabilità dei loro problemi di salute a un supplemento naturale e, quindi, per loro sicuro. Si è, così, riluttanti a denunciare gli effetti negativi di un’automedicazione, anche perché raramente messa in relazione con i suoi gravi effetti negativi dai mass media ed anche dagli organi istituzionali. Di particolare interesse a tal proposito bisogna ricordare che nel periodo 1990 - 1994 meno di 10 delle 2.500 segnalazioni di effetti avversi giunte alla FDA, riguardavano prodotti a base di erbe.

Peraltro, il Department of Health and Human Services, Office of Inspector General Adverse Event Reporting for Dietary Supplements nel “An Inadequate Safety Valve” del 6 gennaio 2008 rivelava che meno dell’1% delle reazioni avverse, causate da integratori alimentari, erano state segnalate alla FDA.


ADR nell’uso della CAM in bambini

Alissa Lim e collaboratori del Department of General Medicine, Royal Children's Hospital, Melbourne - Australia, nell’intento di determinare i tipi di eventi avversi associati con l'uso della medicina complementare e alternativa (CAM) che ricorrono all’osservazione dei pediatri australiani, hanno condotto un progetto di studio mensile di sorveglianza attiva tra il gennaio 2001 e il dicembre 2003 (Arch Dis Child doi:10.1136/adc.2010.183152). Hanno, così, verificato 39 segnalazioni di eventi avversi associati all'uso di CAM con quattro decessi, evidenziando diverse aree d’interesse, compresi i rischi associati con il mancato utilizzo della medicina convenzionale, i rischi connessi ai cambiamenti dei farmaci programmati dai professionisti CAM e i pericoli significativi di restrizione dietetica. In oltre tre quarti dei casi, corrispondente al 77%, gli eventi avversi sono stati considerati probabilmente o sicuramente correlati alla CAM, mentre in quasi la metà, il 44%, il pediatra giudicava il danno per un mancato utilizzo del trattamento convenzionale in favore delle terapie CAM. Quasi due terzi dei casi riportati, il 64%, sono stati classificati come gravi con pericolo di vita o fatali. Gli eventi avversi riportati variavano dalla costipazione al sanguinamento, al dolore, alle reazioni allergiche, alle ulcere alla bocca, alle convulsioni, al vomito, al ritardo della crescita, alle infezioni, alla malnutrizione e alla morte. Alcuni d questi eventi avversi erano associati a dosi eccessive di medicinali CAM, che i genitori spesso non consideravano dannose nella convinzione che i prodotti essendo naturali dovevano di conseguenza essere innocui. I decessi segnalati, verificatisi in soggetti sino ai 16 anni, erano associati, come detto, con un mancato utilizzo della medicina convenzionale a favore di una terapia CAM. Ad esempio, un bambino con epilessia era morto dopo essere stato trattato con terapie alternative, invece di anticonvulsivanti. Un altro bimbo di 8 mesi, ricoverato in ospedale in stato di malnutrizione e con shock settico, aveva ricevuto, per curare una costipazione, un trattamento naturopatico con latte di riso fin dai 3 mesi di età, degenerato in una congestione fatale. Un altro bambino di 10 mesi aveva sviluppato uno shock settico dopo essere stato trattato con l'omeopatia e una dieta ristretta per un eczema cronico. In conclusione, l’uso della CAM avrebbe dimostrato la potenzialità di causare una significativa morbidità con esiti avversi anche fatali. Da tutto quanto riportato, si evince, quindi, che l’interazione tra erbe medicinali, farmaci e integratori rappresenta una questione estremamente seria da considerare attentamente a livello di organi istituzionali e nella pratica professionale degli operatori sanitari. Si evince, quindi, la necessità di implementare programmi di precisa informazione e educazione sugli argomenti trattati, perseguendo l’obiettivo di una formazione continua, cui le associazioni scientifiche competenti sono chiamate a rispondere in modo preciso e rigoroso. Sta di fatto che, secondo il rapporto ISTAT del 2005, circa 7 milioni e 900.000 italiani, corrispondenti al 13,6% della popolazione residente, hanno dichiarato di essere ricorsi a metodi di cura non convenzionali nei tre anni precedenti l’intervista. La maggiore frequenza si è registrata negli alti strati sociali e nel Nord del Paese. L’omeopatia con il 7% della popolazione è risultata la più diffusa, seguita con il 6,4% dai trattamenti di manipolazione dell’apparato osteo-articolare, quali l’osteopatia e la chiropratica, con il 3,7% dalla fitoterapia e con lo 1,8% dall’agopuntura. L’indagine ha anche evidenziato la tendenza a integrare i rimedi omeopatici o fitoterapici con i farmaci convenzionali nel 73,5% dei casi. In merito a quanto commentato, bisogna segnalare un’attenzione e diligenza di programmi di educazione e informazione da parte degli organi istituzionali preposti nel nostro Paese.