notiziario giugno 2011 n°5 - SOLE E SALUTE

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NOTIZIARIO Giugno 2011 N°5

"SOLE E SALUTE"

A cura di:
Giuseppe Di Lascio

 

Con la collaborazione di:

Bagalino Alessia, Bauzulli Doriana, Di Lascio Alessandro, Di Lascio Susanna, Levi Della Vida Andrea, Melilli Simonetta, Pallotta Pasqualino, Sesana Giovanna, Stazzi Claudio, Zimmatore Elena


Le radiazioni solari

La terra riceve circa 1/1.000 milioni della produzione di energia solare che per il 34% viene riflessa nello spazio. Il sole, così, rende possibile e sostiene la vita, fornendo calore, innescando la fotosintesi clorofilliana e i bioritmi e promuovendo sensazioni di benessere. In modo più particolare per l'uomo, la luce solare è indispensabile anche per la sintesi di vitamina "D" nella pelle (vedi notiziario AMEC del febbraio 2010 N° 2) e stimola il rilascio dell'ormone del buonumore, la serotonina.

La luce, forma più familiare dell'energia elettromagnetica e disponibile nei diversi colori dello spettro visibile, è in realtà un flusso di particelle, chiamate fotoni, che si comporta come una serie di onde. Essa viaggia alla velocità di 299,792 mila km/sec per cui un suo raggio in un solo secondo può compiere il giro della terra più di sette volte. Ogni colore è caratterizzato da una diversa lunghezza d'onda, essendo quelle del rosso le più lunghe e le viola le più brevi. Peraltro, poiché tutti i colori viaggiano alla stessa velocità, ne deriva che la lunghezza d'onda è inversamente proporzionale alla frequenza. Le onde, quindi, si differenziano per la frequenza e il trasporto di quantità di energia, essendo tali caratteristiche più basse nelle rosse, rispetto alle viola. Peraltro, la luce visibile è solo un piccola porzione dell'intero spettro elettromagnetico, esistendo onde con lunghezza d'onda più corta delle viola con frequenze e livelli di energia superiori, chiamate raggi ultravioletti o UV non visibili per l'uomo, ma solo per alcuni esseri, come le api. Allo stesso modo, all'altra estremità dello spettro visibile si trovano onde con lunghezze d'onda più lunghe del rosso, con frequenze ancora più basse e con energia inferiore, chiamate infrarosse o IR. Peraltro, oltre la luce visibile, le IR e le UV si trovano onde ancora più corte, con frequenza più elevata e con maggiore energia, e ancora più lunghe, con minor consumo di energia e con frequenza più bassa. Le radiazioni elettromagnetiche emesse dal sole corrispondono alla maggior parte dello spettro e derivano dai raggi gamma, come risultato del processo di fusione nucleare, convertiti in fotoni a energia più bassa, prima di raggiungere la sua superficie ed essere, di poi, diffusi nello spazio. Il picco di produzione dell'energia solare è in realtà contenuto nel campo della luce visibile, anche se in un primo momento ciò può sembrare sorprendente, abbracciando la regione dello spettro visibile un intervallo piuttosto ristretto.

Le radiazioni UVR, ultraviolette, sono onde gamma dai 200 ai 400 nm più lunghe dei raggi X e più brevi della luce visibile (400 - 700 nm) e delle radiazioni infrarosse. Esse si suddividono in UV-C (200 - 290 nm), UVB (290 - 320 nm) e UVA (320-400 nm), ulteriormente suddivise in UVA2 [320 - 340 nm]) e UVA1 [340 - 400 nm]). I raggi UVC possiedono il più alto grado d'energia, ma non penetrano nell'atmosfera terrestre. In tal modo, solo le radiazioni di lunghezza d'onda media UVB, le UVA lunghe, la luce visibile e le infrarosse riscuotono un interesse biologico. La radiazione solare che raggiunge la superficie terrestre è costituita per circa il 95% dalle UVA e per il 5% dalle UVB che in maggior parte sono assorbite dall'ozono della stratosfera, la quale poco o niente interferisce sulle UVA o sulla luce visibile. Peraltro, lo strato di ozono non ha spessore uniforme, concentrandosi e tendendo ad aumentare verso i poli della terra e assottigliandosi in alcune aree. A tale proposito, i clorofluorocarburi, utilizzati come propellenti di aerosol e nella refrigerazione e nella climatizzazione, sono noti per distruggere l'ozono atmosferico, determinando un'ulteriore depauperazione di esso e accentuando la complessità delle condizioni che possono incidere e rivestire un effetto significativo sulla quantità dei raggi UVB che raggiunge la terra. Le UVR attraverso la stratosfera, confinata a 10-50 km sopra il livello del mare, sono diffuse da molecole, come l'ossigeno e l'azoto, per essere poi assorbite e diffuse attraverso la troposfera (localizzata a 0-10 km sopra il livello del mare) da inquinanti, come la fuliggine, che le attenuano e ne riducono l'intensità. Ciò non avviene nella stessa misura per gli infrarossi la cui sensazione di calore che producono si riduce comportando un aumento del rischio del loro potenziale di sovraesposizione. L'intensità delle radiazioni UVB è variabile ed ha una maggiore intensità nei luoghi vicini all'equatore o alle altitudini più elevate. Essa è maggiore in estate e a mezzogiorno, rispetto all'inverno e di mattina o nel tardo pomeriggio a differenza delle radiazioni UVA che hanno una caratteristica relativamente costante per tutto l'arco del giorno e dell'anno. L'effetto dell'esposizione può, peraltro, essere moltiplicato dalla qualità della superficie esposta, come nel caso della sabbia, della neve, del cemento e dell'acqua, che possono riflettere fino all'85% della luce solare. La pelle viene, difatti, colpita dalla radiazione diretta del sole e anche da quella riflessa che non viene percepita perché i raggi UV sono invisibili all'occhio umano. In particolare, l'acqua non rappresenta un buon fotoprotettore poiché le UVR possono penetrarla sino a una profondità di 60 cm, permettendo, pertanto, anche in tale condizione, un'esposizione significativa. Sicuramente, invece, i raggi ultravioletti UVB e quelli UVA raggiungono il nostro pianeta e, quando ci esponiamo al sole, entrano nella nostra pelle. Fino a pochi anni fa solo le UVB erano considerate pericolose, tanto che le protezioni solari contenevano solamente filtri contro di esse. Con i più recenti studi sulle radiazioni UVA, si è riconosciuto il loro danno e si è cominciato a proteggere la pelle anche nei loro confronti. I raggi UVA, in effetti, nonostante siano meno carichi di energia, sono molto più pericolosi degli UVB, responsabili dei danni immediati tipici dell'esposizione solare, quali eritemi e scottature, alla cui produzione partecipano sempre anche gli UVA. Pur tuttavia, queste ultime sono le principali responsabili della formazione dei tumori ed anche del precoce invecchiamento cutaneo. I raggi UVB, peraltro, come detto, si concentrano durante il periodo estivo e soprattutto nella fascia oraria che va dalle undici della mattina alle sedici, mentre gli UVA sono costanti nell'arco di tutto l'anno e superano di cinquanta volte la quantità dei raggi UVB.
Questi ultimi, ancora, stimolano la formazione di nuova melanina, a garanzia di un grado di protezione maggiore rispetto a quella riattivata, mentre gli altri promuovono la riattivazione della melanina preesistente, formatasi con le esposizioni precedenti. Per quanto riguarda più in generale le proprietà biologiche delle radiazioni solari, i dermatologi riferiscono alle UVA gli effetti dell'invecchiamento, alle UVB quelli delle scottature e a entrambi quelli del cancro. Infine, gli UVA possiedono maggiore capacità di penetrazione rispetto agli UVB, sia cutanea, potendo raggiungere il derma, sia nei confronti del vetro, che riescono ad attraversare.


Condizioni che incidono sulla variazione delle radiazioni UV

Da notare che le UVR, pur essendo il sole per la maggior parte delle persone la loro fonte primaria, possono essere ottenute con lampade artificiali, le solari, e strumenti, come quelli di saldatura. In particolare, le lampade solari sono usate da decenni per il trattamento delle malattie della pelle, specialmente per la psoriasi. Sotto tale punto di vista è bene sapere che le UVB, e non gli UVA emessi soprattutto dai lettini abbronzanti e dalle lampade solari, sono bloccati dal vetro delle finestre. Peraltro, l'intensità della radiazione UV dei lettini abbronzanti può superare di ben 10 - 15 volte l'esposizione solare delle ore centrali della giornata. Ne deriva la giusta preoccupazione sulla crescita marcata e progressiva delle pratiche di abbronzatura artificiale che in USA arruolerebbero ben trenta milioni di persone ogni anno con un numero di saloni, a esse adibiti, superiori a quello degli Starbucks o dei McDonald's, come riportato da un recente studio di Lazovich D (Cancer Epidemiol Biomarkers Prev. 2010;19;1557-1568). La pelle, in ultima analisi, organo più esposto alle radiazioni UVR ambientali, subisce sequele ben note, anche gravi. Essa è un organo importante dell'organismo e svolge funzioni quali quella: di ricoprire gli organi interni, proteggendoli dagli eventi nocivi, di costituire una barriera ai germi, di proteggere dalle perdite d'acqua e di altri fluidi, di intervenire nel controllo della temperatura corporea, di proteggere il resto del corpo dai raggi ultravioletti (UV), di produrre vitamina "D".

Essa normalmente si difende dal sole, soprattutto per la presenza dello strato corneo, zona di ispessimento esterno, e con la produzione di melanina che agisce da filtro. Le esposizioni alle radiazioni solari ed anche artificiali producono fenomeni ben noti e più semplici come l'arrossamento o eritema, l'abbronzatura ed anche il distacco dello strato più esterno, quello corneo, costituito da cellule morte. È il cosiddetto fenomeno della spellatura, solitamente nelle parti del corpo maggiormente foto esposte, come la fronte, il naso, le spalle, e tanto più marcato ed evidente quanto più sono state intense e non graduali le prime esposizioni. Peraltro, le parti cutanee più sottili, come il viso e il collo, si proteggono meno bene dai raggi UV. L'abbronzatura, in effetti, comporta dopo giorni di adeguamento anche l'ispessimento della pelle, provvedendo così ad aumentare la protezione naturale. Si tratta, quindi, di eritema e scottature solari, abbronzatura ma anche d'invecchiamento, di fotosensibilità e di cancerogenesi, sino al melanoma. L'eritema e le scottature sono le reazioni acute di vasodilatazione e di aumento del volume sanguigno nel derma per dosi eccessive di UVR. L'eritema minimo, in particolare, è caratterizzato da un lieve colore rosa della pelle per dosi minime di UVR e dipende da diversi fattori locali, quali:

  1. il tipo della pelle,
  2. lo spessore,
  3. il carico di melanina in essa,
  4. la produzione di melanina dopo l'esposizione,
  5. l'intensità della radiazione.

Nel 1975, il dermatologo di Harvard Fitzpatrick TB , a tale proposito, ha fornito un'opportuna classificazione del fototipo di pelle, che va dalla più chiara alla più scura (Journal de Médecine Esthétique 1975; 2:33-34).


I tipi di pelle sulla base della reattività al sole

L'eritema dipende dalla lunghezza d'onda delle UVR, espressa come "spettro d'azione eritema", ovverossia dal tasso di una fisiologica attività, tracciata in funzione della lunghezza d'onda, che si dimostra più efficace utilizzando la sua specifica reazione chimica. Lo spettro d'azione dell'eritema e delle scottature risiede, soprattutto per le UVB, nello stesso range.
L'abbronzatura rappresenta una risposta protettiva all'esposizione solare, pur dovendo segnalare che secondo Woo DK e collaboratori, corrisponderebbe già a un danno del DNA nella pelle (Dermatol Ther. 2010;23(1):61–71). Se immediata, essa risulta dall'ossidazione della melanina da parte delle UVA e della luce visibile, apparendo dopo pochi minuti e sfumando in genere entro uno o due ore. Se tardiva, si verifica, invece, per la formazione di nuova melanina dopo l'esposizione alle UVB, diventando evidente 2-3 giorni dopo l'esposizione, con un picco di 7-10 giorni e possibile persistenza di settimane o mesi.
Comunque, è ormai noto che la cronica esposizione non protetta alle UVR indebolisce l'elasticità della pelle con il risultato del suo scolorimento, delle guance cascanti, delle rughe, più marcate sul viso. L'invecchiamento della pelle, a causa della luce, porta ad alterazioni delle componenti cellulari e della matrice extracellulare. Si realizza un accumulo di elastina e di fibrillina destrutturate e una grave perdita interstiziale di collagene, principale forma proteica del derma. La fotosensibilità chimica è la reazione avversa cutanea ad alcune sostanze chimiche, anche farmaci, applicati topicamente o assunti per via sistemica quando ci si espone alle UVR o alle radiazioni visibili. Essa non dipende da una risposta immunologica e si può verificare già al primo impiego dell'agente. La maggior parte delle sostanze fototossiche si attiva nella gamma delle UVA tra i 320 e i 400 nm. Tra i farmaci più implicati sono inclusi i FANS, le tetracicline, le fenotiazine, lo psoralen, i sulfamidici, i tiazidici e gli esteri dell'acido para amino benzoico. La fotoallergia è l'alterata reattività acquisita della pelle, di solito innescata dall'esposizione ai raggi UVA, dipendente da una reazione antigene-anticorpo o da un'ipersensibilità cellulo-mediata. Essa è la risposta immunologica a una sostanza chimica o a un farmaco, alterati dalle UVR. Creme solari contenenti acido para amino benzoico, profumi, sulfamidici e fenotiazine sono spesso associati alle reazioni foto allergiche con conseguenze fastidiose, anche gravi e mortali. Pertanto, chi assume farmaci o fa uso di agenti topici, notoriamente sensibilizzanti, dovrebbe fare particolare attenzione e limitare l'esposizione o evitare le fonti delle UVA artificiali, indossando indumenti completamente protettivi e applicando metodi a elevata difesa solare nei casi d'impossibilità di evitare le radiazioni stesse. Peraltro, le furocumarine, presenti in alcune piante, come l'anice, il sedano, l'aneto, il finocchio, il fico, il limone, il lime, la senape, la pastinaca, il prezzemolo e i crisantemi possono provocare reazioni fototossiche o fitofotodermatiti per loro ingestione o contatto.

A tale proposito, torna utile l'indice UV, basato su un'equazione matematica, che misura il livello di radiazioni a mezzogiorno su una scala da uno a undici e più. Può essere utilizzato come uno strumento molto simile a un termometro, pratico per chi vuole proteggersi dalla sovraesposizione ai raggi UV. Più alto è l'indice, maggiore è la possibilità del danno alla pelle e agli occhi. In particolare è tassativamente consigliabile di fare particolare attenzione ai valori di 5-6 o superiori.
Infine, le radiazioni ultraviolette (UVR) sono causa di carcinogenesi della pelle nelle tre principali forme del:

  1. carcinoma basocellulare,
  2. carcinoma a cellule squamose,
  3. melanoma maligno.

Purtroppo, a tale proposito bisogna considerare che:

Sta di fatto che il rischio di cancro della pelle aumenta con la sovraesposizione al sole e con l'uso volontario delle sorgenti artificiali delle UVR e secondo lo IARC  (International agency for Research on Cancer), l'eccessiva esposizione ai raggi UV è causa dal 50 al 90% dei tumori della pelle e circa 200.000 casi di melanoma e 46.000 decessi, a esso associati, sono segnalati nel mondo ogni anno. Così pure, 2,8 milioni di casi di carcinoma a cellule squamose e dieci milioni di carcinoma delle cellule basali sono correlati alle eccessive radiazioni UV. Queste ultime due forme non-melanoma, raramente fatali, colpiscono, in genere, aree di cute esposte al sole, quali la testa e il collo, e persone di più tarda età o di pelle chiara. Il cancro della pelle , invece, è più raro negli individui di colore e con maggiore pigmentazione cutanea naturale, mentre aumenta d'incidenza nei casi di soppressione immunitaria, come nel trapianto d'organo o in condizioni genetiche di base, come nella sindrome basocellulare del nevo, nello xeroderma pigmentoso, condizione in cui vi è un difetto geneticamente determinato della riparazione del DNA danneggiato dalle UVR, e nell'albinismo. Il trattamento con le UVR per la psoriasi ne aumenta anche il rischio. Comunque, è ormai accertato che il rischio del cancro della pelle aumenta in proporzione al tempo speso al sole, soprattutto se con danni come bruciature, nel fototipo con pelle chiara, in occasione di storia familiare positiva per la malattia e negli individui sopra i cinquanta anni. Queste neoplasie sono, invece, estremamente rare nei bambini e in assenza delle condizioni predisponenti. Il carcinoma basocellulare è il tumore della pelle più comune, seguito dal carcinoma a cellule squamose, mentre il melanoma è più raro. Nella popolazione adulta degli Stati Uniti, il carcinoma basocellulare e il carcinoma a cellule squamose rappresentano, difatti, la neoplasia maligna più comune con più di due milioni di casi diagnosticati ogni anno. Pur tuttavia, anche se il melanoma conta meno del 5% di tutti i tumori cutanei, esso è il più letale ed incide per circa il 75% delle morti. L'ACS (American Cancer Society) ha riportato per il 2010 più di 68.000 melanomi, di cui 39.000 negli uomini e 29.000 nelle donne, calcolando un decesso ogni ora per tale malattia per un totale di circa 9.000 morti in tutto l'anno. Senza interventi efficaci, si ritiene che a livello mondiale si dovrebbero raggiungere entro il 2030 ventisei milioni di nuove diagnosi e diciassette milioni di morti, con l'interessamento prevalente dei paesi a basso e medio reddito. Tale dato deve far riflettere ancora di più se si considera che il 30-40% dei tumori può essere prevenuto e un terzo curato mediante una diagnosi e un trattamento precoci. Peraltro, il melanoma è una delle principali cause di tumore nei giovani adulti dai venti ai trenta anni, secondo per frequenza nelle femmine e terzo nei maschi. In particolare, Hausauer AK e collaboratori della Fremont School of Medicine, University of California San Francisco hanno ribadito per le giovani donne di età dai quindici ai trentanove anni la sua preoccupante crescita negli ultimi trenta anni (Arch Dermatol [2011] Mar 21), soprattutto nei quartieri più ricchi, con frequenze sei volte maggiori, rispetto a quelli più poveri. L'alto stato socio-economico, col permettere maggiore tempo libero e vacanze al sole e, quindi, alla luce UV, per le consequenzialità dei danni al DNA e la soppressione del sistema immunitario, sembra, infatti, il fattore di rischio messo sempre più in evidenza dagli studi clinici epidemiologici. A tale proposito, Hoerster KD e collaboratori dell'University of California San Diego, California, USA, per mandato dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, hanno etichettato i dispositivi abbronzanti come cancerogeni per l'uomo (Am J Prev Med. 2009; 36(3):243-6) e Lazovich D e collaboratori dell'University of Minnesota, Minneapolis, USA (Cancer Epidemiol Biomarkers Prev. 2010;19;1557-1568) hanno riscontrato più che raddoppiato il rischio di melanoma in chi usa dispositivi che emettono UVB e più che quadruplicato in quelli che usano gli emettenti UVA. Non di meno, in ragione del preoccupante aumento d'incidenza del cancro della pelle sono fiorite e organizzate molte manifestazioni scientifiche e socio culturali, quali il  National Skin Cancer Day  che quest'anno 2011 si è svolto il 9 maggio in Svizzera con l'opportunità per chiunque di ottenere un esame dermatologico gratuito.


Radiazioni solari e prevenzione del rischio

Alla luce di quanto riportato può essere opportuno, pertanto, riassumere che:


Radiazioni solari, colpo di sole e colpo di calore

Altri effetti nocivi del sole, oltre a quelli alla pelle, sono i danni oculari, come la cataratta e la soppressione immunitaria. Sono possibili reazioni di fotosensibilità agli antibiotici o a farmaci ma, in modo più preoccupante, la morte improvvisa cardiaca, soprattutto nelle giornate molto calde. Il colpo di sole e il colpo di calore sono due forme di patologia molto gravi che possono ricorrere con una certa frequenza nei medi estivi, specialmente a carico delle fasce più deboli della popolazione. Il colpo di sole può manifestarsi dopo una prolungata esposizione ai raggi solari per effetto delle radiazioni ultraviolette e infrarosse sul corpo e sulla testa. Si manifesta con un malessere generale improvviso, un forte mal di testa, accompagnato o no da giramenti di testa e vertigini, nausea, pelle secca e molto arrossata e temperatura corporea alta, superiore ai 38°C. Il colpo di calore, che può anche manifestarsi senza sole, tende, invece, a insorgere quando un soggetto soggiorna a lungo in ambiente non ventilato, con temperatura troppo alta ed elevato tasso di umidità, in genere superiore al 60%. L'organismo in tali condizioni, e soprattutto in ambienti chiusi e sovraffollati, non riesce a mettere in atto i meccanismi di adattamento necessari. L'interesse particolare clinico di tali due condizioni è che qualsiasi malattia cronica abbassa la capacità di difesa al calore e alza il rischio di complicazioni gravi, spesso nell'inconsapevolezza del malato. Sta di fatto che nei pronti soccorsi degli ospedali le persone con colpo di calore sono per la maggior parte anziani e con una malattia cardiovascolare o diabete o altra patologia cronica.

Pur tuttavia, queste emergenze e decessi possono essere evitati, valutando tempestivamente il rischio e imparando a proteggersi. Durante il caldo estremo, il nostro organismo tende al migliore obiettivo e mezzo per ridurre la temperatura corporea, per cui il cuore tende a battere più rapidamente per la dispersione di calore, anche senza esercizio fisico, ma complicando le condizioni degli ipertesi e dei malati con aterosclerosi con possibilità di un ictus. Peraltro, il caldo estremo può determinare anche una condizione di disidratazione per mancato compenso delle perdite idriche. In tal caso, le urine diventano di colore più carico, la bocca secca e asciutta, intervengono crampi muscolari, nausea, vomito e palpitazioni cardiache. Se non s'interviene efficacemente e tempestivamente, il flusso cerebrale si riduce sino a condizionare confusione mentale, debolezza, perdita dell'equilibrio e, nel peggiore dei casi, coma, convulsioni, segni d'insufficienza d'organo e anche morte. Bisogna, pertanto, adottare azioni preventive bevendo molta acqua, evitando di camminare e non facendo una rigorosa attività quando il sole è alto. Il colpo di calore si verifica, quindi, quando l'organismo non è più in grado di regolare la sua temperatura corporea, che sale rapidamente senza un efficiente meccanismo di sudorazione. Esso colpisce, soprattutto, i più anziani e chi soffre di una malattia cardiovascolare o diabete o un'altra malattia cronica. Bisogna anche considerare che l'alto tasso di umidità durante la stagione estiva è condizione di maggior pericolo per la salute. Difatti, tale dato tende a rendere il corpo più caldo e ad aumentare la sudorazione, rendendo più difficile il raffreddamento del corpo. Una giornata calda con una temperatura dell'aria di trenta gradi più 60% di umidità è di solito confortevole ma di quarantadue gradi con umidità del 90 per cento potrebbe costituire un pericolo. Per di più le concentrazioni atmosferiche di gas serra, prodotte dall'uomo dopo l'inizio della rivoluzione industriale, hanno notevolmente aumentato i cambiamenti climatici favorevoli alle condizioni prima descritte. Il vento, l'ombra o una breve doccia, con una tazza di acqua, possono in tal caso essere di provvidenziale aiuto. Di poi, nelle città la temperatura in tutto l'anno tende a essere più alta rispetto alle zone rurali, con differenze dagli 0.5°C ai 3°C, in rapporto alle dimensioni del centro abitato. Tale dato di fatto rende gli abitanti delle città più a rischio di mortalità e il fenomeno, denominato  "urban heat island"  trae origine soprattutto dal maggior assorbimento di energia solare da parte delle superfici asfaltate e del cemento degli edifici. In estate, nelle ore più assolate, le strade e i tetti delle case spesso possono, in effetti, raggiungere temperature superiori ai 60-90°C.


Ondate di calore e decessi soprattutto metropolitani

La WMO (World Meteorological Organization), invero, non ha ancora formulato una definizione standard di ondata di calore, per cui essa in diversi paesi si basa sul superamento dei valori soglia della temperatura, stabilita attraverso la valutazione della serie storica dei più alti valori osservati in una specifica area. Un'ondata di calore è, quindi, definita riguardo alle condizioni climatiche di un'area specifica. Ciò, però, non rende possibile la definizione di una temperatura soglia di rischio, valida per tutte le latitudini. Pur tuttavia, di massima, oltre ai valori termici e all'eventuale grado di umidità relativa, le ondate di calore sono definite dalla loro durata temporale. In Italia è in corso di sperimentazione lo  HHWWS  (Heat Health Watch Warning System) per riuscire a prevedere e, quindi, limitare gli effetti nocivi delle ondate anomale di calore che in Europa nel 2003 hanno prodotto gravi danni alla collettività. Il sistema, già utilizzato negli Stati Uniti, partendo dall'analisi dei dati meteorologici, urbanistici e socio – economici a livello di città, permette di ottenere, due o tre giorni prima dell'evento, una previsione del livello atteso di criticità, utile per predisporre le adeguate misure di prevenzione. Peraltro, sono in uso diverse tabelle per meglio comprendere empiricamente la percezione di disagio e il rischio per la popolazione, in funzione della temperatura e dell'umidità relativa.


Le categorie dell'indice di Thom

L'indice di Thom è lo strumento tra i migliori che stima la temperatura effettiva, come singolo valore dell'effetto di temperatura, umidità e movimento dell'aria sulla sensazione di caldo o freddo, percepita dal corpo umano.

Nelle ondate di calore la mortalità, purtroppo, aumenta a volte più del doppio, come accaduto a Chicago nel 1995 e in Europa nel 2003. Changnon SA e collaboratori, a proposito degli impatti e le risposte all'ondata di calore del 1995, affermavano nel loro lavoro che esse erano la causa meteorologica più importante di mortalità umana negli Stati Uniti, per cui rivolgevano un pressante invito ad agire nei meriti (1996 Bull Am Meteorol Soc 77:1497-1506). Altri autori, tra cui Davis RE e collaboratori, dimostravano come nel nord della città degli Stati Uniti la mortalità umana aumentava in modo significativo nei giorni particolarmente caldi e umidi (2003. Int J Biometeorol 47:166-175). Comunque, diversi autori tra cui Larsen U e collaboratori (1990 Int J Biometeorol 34:136-145) hanno puntualizzato che, anche se una parte dei decessi sono direttamente imputabili al calore, la maggior parte di essi sono riconducibili a malattie circolatorie e respiratorie o altre patologie croniche. D'altro canto, molti studi hanno verificato che la mortalità totale con il caldo è associata alla tarda età, come dimostrato anche in Eurasia da Donaldson GC e collaboratori (2003 Environ Res 91:1-7) e da Laschewski G e Jendritzky G. (2002 Clim Res 21:91-103).

Capire l'eziopatogenesi di tali condizioni risulta, pertanto, fondamentale per preparare la collettività a difendersi dal caldo e stimare l'impatto dei cambiamenti climatici sulla salute. A tale proposito, diversi Autori, come Kaiser R e collaboratori (2007; Am J Public Health 97: suppl 1S158–S162), Weisskopf MG e collaboratori (2002 Am J Public Health 92(5):830–833), Anderson BG, Bell ML (2009 Epidemiology 20(2):205–213), Hajat S e collaboratori (2006 Epidemiology 17(6):632–638) hanno dimostrato, con metodologia diversa, gli effetti nocivi del calore prolungato sulla salute. Questi studi, tuttavia, non hanno fatto distinzione tra gli effetti delle ondate di calore individuali, ma piuttosto hanno stimato le risposte sanitarie, assumendo che tutte le ondate di calore di una definizione specifica avevano lo stesso impatto sulla salute. Le ondate di calore sono in genere definite come periodi di caldo estremo, ma non esiste una definizione costante per quanto riguarda la soglia di temperatura, il valore metrico di essa e il numero dei giorni. Ad esempio, Hajat S e collaboratori hanno utilizzato soglie di temperatura media (2006 J Epidemiol Community Health 56(5):367–372), Smoyer KE la temperatura apparente (1998 Int J Biometeorol 42(1):44–50), Robinson, PJ (2001. J Appl Meteorol 40:762–775), Weisskopf MG e collaboratori (2002 Am J Public Health 92(5):830–833) combinazioni di soglie di apparente e di minima temperatura. L'uso delle diverse definizioni delle ondate di calore in diversi periodi ostacola, di certo, il confronto e la sintesi dei risultati degli studi. Peraltro, considerando che le ondate di calore si differenziano per la loro intensità (grado di calore) e la durata e, sebbene la maggior parte degli studi usino misure d'intensità e di durata per definirla, pochi studi hanno valutato l'influenza di queste caratteristiche sull'incidenza della mortalità. In tale ordine, ripetendo l'osservazione fatta da altri autori per quanto riguardava altre città americane, Baccini M e collaboratori hanno dimostrato che gli effetti dei singoli giorni di alta temperatura sono stati in diverse città europee più preminenti all'inizio dell'estate (2008 Epidemiology 19(5):711–719). Kalkstein LS e Smoyer KE nel loro studio internazionale (1993 Experientia 49(11):969–979) hanno dimostrato che a volte la durata modifica gli effetti della mortalità dell'onda di calore. Comunque, altri studi, come quello di Diaz J e collaboratori (2002 Int Arch Occup Environ Health 75(3):163–170), hanno dimostrato che gli effetti della mortalità sono maggiori per le ondate di calore più lunghe. Purtroppo, è anche da notare che le variazioni climatiche globali, legate alle emissioni di origine antropica, suggeriscono fortemente che nel 21° secolo le tendenze del riscaldamento continueranno a influenzare i processi atmosferici e anzi ad aumentare, come riportato da Solomon S e collaboratori (Cambridge University Press, Cambridge, United Kingdom and New York, NY, USA, 996 pp.).

In effetti, gli scenari del cambiamento climatico, presentati nell'ultimo Intergovernmental Panel on Climate Change Assessment Report del 2007 fanno prevedere un aumento della temperatura media della superficie terrestre a livello globale. In Europa, ad esempio, si prevede un aumento della frequenza e dell'intensità delle ondate di calore estive, specialmente nei paesi del centro, del meridione e orientali. Questi cambiamenti contribuiranno, di certo, a gravare maggiormente sui malati cronici e ad aumentare il numero delle morti premature, in particolare nei sottogruppi di popolazione con limitata capacità di adattamento. Peraltro, nei paesi sviluppati, come conseguenza della continua crescita della popolazione anziana, è previsto l'incremento progressivo della frazione dei sottogruppi vulnerabili, che vivono nelle aree urbane. Sta di fatto che in letteratura sono continuamente in corso studi per documentare gli effetti sulla morbilità e mortalità delle temperature elevate. L'Unione Europea, a tal proposito, ha finanziato il progetto PHEWE (Assessment and Prevention of Acute Health Effects of Weather Conditions in Europe), come collaborazione multicentrica per lo studio degli effetti sulla salute a breve termine durante le stagioni calde e fredde nelle città europee, secondo un approccio seriato nel tempo. Si prevede, così, che i risultati dello studio potranno guidare gli operatori sanitari a prevenire o ridurre gli effetti negativi del caldo sulla salute. Michelozzi P del Department of Epidemiology, Local Health Authority Rome e colleghi, sulla base dell'impatto relativamente maggiore sulla mortalità che sulla morbosità (ricoveri ospedalieri) nelle città europee, documentato dalle precedenti analisi sulle ondate di calore, hanno, a tal proposito, voluto valutare l'effetto delle alte temperature ambientali sui ricoveri ospedalieri nel periodo aprile - settembre in dodici città europee (Barcellona, Budapest, Dublino, Lubiana, Londra, Milano, Parigi, Roma, Stoccolma, Torino, Valencia e Zurigo) del progetto PHEWE (American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine Vol 179. pp. 383-389, (2009). Gli autori hanno riscontrato che per i ricoveri respiratori si dimostrava un'associazione positiva, peraltro eterogenea, tra le varie città. Per ogni aumento di 1° C della temperatura massima apparente sopra una soglia, i ricoveri respiratori dei pazienti oltre i settantacinque anni dell'area mediterranea aumentavano del 4,5% (intervallo di confidenza 95%, 1,9-7,3) e del 3,1% (intervallo di confidenza 95%, 0,8-5,5) per quelli delle città del nord e continentali. Al contrario, tendeva a essere senza significatività statistica l'associazione tra la temperatura alta e i ricoveri cardiovascolari e cerebrovascolari. Dal loro canto, Kim Knowlton del Department of Environmental Health Sciences, Mailman School of Public Health, Columbia University, New York, e colleghi hanno voluto individuare l'impatto futuro del cambiamento climatico sui decessi estivi, dovuti al caldo, nella metropoli di New York City (American Journal of Public Health. 2007;97(11):2028-2034). Hanno, così, riscontrato che, anche se esiste una notevole incertezza di previsioni future sulla vulnerabilità della salute e del clima, la gamma di proiezioni suggerirebbe che a metà secolo gli effetti dei cambiamenti climatici di New York City si tradurrebbero in un aumento netto complessivo della mortalità prematura legata al caldo.


Caldo e malattie cardiovascolari

In definitiva, per quanto riguarda le malattie croniche più diffuse, si può affermare che gli ipertesi possono non avvertire alcuna sensazione spiacevole con il caldo, oppure possono accusare un forte senso di spossatezza, talvolta associato ad una difficoltà a mantenere l'equilibrio del corpo. In effetti, il caldo tende a ridistribuire la massa sanguigna con la vasodilatazione cutanea e la possibile disidratazione. I valori pressori, in linea generale, tendono a ridursi anche significativamente sia per quanto riguarda la pressione sistolica sia la diastolica. In casi di valori di massima inferiori ai 100 mm Hg, può ricorrere astenia o vertigini e, in condizioni particolari, svenimento o sincope vaso depressiva, in genere preceduta da malessere generale, nausea, sudorazione. In tali casi è opportuno sdraiare il paziente e correggere prontamente il livello d'idratazione. Da notare che negli ipertesi l'uso degli antipertensivi diuretici può portare più facilmente alla disidratazione, mentre i beta-bloccanti possono ostacolare il processo di raffreddamento del corpo, impedendo al cuore di battere più velocemente. D'altro canto, la riduzione eccessiva della pressione diastolica, consequenziale alla vasodilatazione, associata all'aumentato tono simpatico e, quindi, della frequenza cardiaca, può incidere negativamente sul flusso coronarico.
In tale evenienza, una forma di angina stabile può virare in instabile con pericolo per il paziente, soprattutto se con storia di precedente infarto miocardico. Peraltro, il ricorso ai nitroderivati in tali casi, pur con il vantaggio di risolvere le crisi anginose, può mascherare forme anche gravi di cardiopatia ischemica evolutiva. Inoltre, questi farmaci possono determinare ipotensione e la così detta sincope da nitroderivati, per cui con il caldo devono essere usati con estrema cautela.
I pazienti con scompenso cardiaco, sperimentando già un cuore in equilibrio precario, come da pompa in condizioni di scarse risorse contrattili, soffrono più facilmente il carico di un'ulteriore richiesta energetica, per cui nelle ondate di calore vedono peggiorare la dispnea anche durante attività modeste e addirittura a riposo e nelle ore notturne. È di più facile riscontro anche la presenza di edemi declivi e possono presentare più facilmente complicazioni tachiaritmiche, soprattutto se si associano la disidratazione e i disturbi elettrolitici. A tale proposito, conviene tener presente che l'amiodarone, farmaco antiaritmico ancora molto usato, si accumula anche nella cute, rendendola particolarmente sensibile alle radiazioni solari, anche indirette, per cui il suo uso controindica l'esposizione al sole. Il farmaco può determinare, infatti, fotosensibilizzazione e fotofobia nel 50-75% dei pazienti, pigmentazione grigiastra della cute, fino al 30% dei casi per aumento della concentrazione dermica di lipofucina, eruzioni cutanee, melanodermia delle parti scoperte, alopecia, vasculite cutanea, dermatite esfoliativa, necrolisi epidermica, eritema multiforme, sindrome di Stevens-Johnson, dermatite esfoliativa, neoplasia cutanea, prurito, esacerbazione della psoriasi. La reazione di fotosensibilizzazione con eritema, bruciore e edema, compare dopo alcuni mesi dall'inizio della terapia, è innescata dai raggi ultravioletti di tipo A e può persistere anche per 4-12 mesi dopo la sospensione del farmaco. Pur tuttavia, gli effetti collaterali dermatologici interessano solo il 15% circa dei pazienti e, in genere, non richiedono la sospensione della terapia.


Caldo e diabete mellito, obesità, asma bronchiale

I diabetici, invece, se in fase di scompenso, sono più inclini alle perdite idriche e, quindi, alla disidratazione con le conseguenze relative.
Anche gli obesi, per i loro problemi semplicemente fisici, sono a maggior rischio di un colpo di calore, poiché più grande è il corpo, più è difficile perdere il calore in eccesso. Inoltre, è da tenere in conto, in via aggiuntiva, che i loro sistemi naturali di raffreddamento non sono in grado di funzionare con sufficiente rapidità e il loro cuore è già in stato di maggiore sovraccarico per l'eccesso di massa corporea.
Le persone con asma bronchiale devono, invece, prestare particolare attenzione nei mesi estivi, per ogni sorta di allergeni e inquinanti ambientali di cui è pregna l'aria. Inoltre, alcuni farmaci, usati per trattare tale malattia, possono inibire la sudorazione e, quindi, interferire con il processo di raffreddamento naturale del corpo.


Caldo e sclerosi multipla, LES, rosacea

Inoltre, molte persone con sclerosi multipla verificano un peggioramento dei loro sintomi con il caldo, tanto è vero che uno dei più antichi test per la diagnosi della malattia consisteva nel sottomettere l'individuo sospetto a un bagno caldo che avrebbe dovuto slatentizzare i sintomi neurologici.
Da notare ancora, che circa il 70% delle persone con Lupus eritematoso sistemico soffre di una riacutizzazione dei sintomi con l'esposizione alla luce solare ed è più suscettibile ai danni delle radiazioni e alle fotoallergie. Oltre l'80% dei malati presenta, difatti, fotosensibilità e in essi la dose soglia delle UVR per le reazioni cutanee o sistemiche è molto inferiore a quella per le scottature. Peraltro, il periodo di latenza tra l'esposizione e le eruzioni cutanee può variare da diversi giorni a tre settimane, rendendo difficile il riconoscimento della loro stessa correlazione.
Per quanto riguarda, poi, la vitiligine è noto che una sola ustione solare può innescarne l'esordio e che chi ne è già affetto è bene che faccia uso di una protezione ad ampio spettro.
Nel caso della rosacea, dermatite cronica di cui ancora non sono chiarite le cause, l'esposizione solare in genere ne aggrava le manifestazioni, soprattutto al viso.
Sole e fotosensibilità in malattie rare e genetiche
Infine vanno ricordate le condizioni di fotosensibilità in malattie più rare come l'eruzione polimorfa alla luce (EPL), l'orticaria solare, la dermatite atopica.
Così pure malattie genetiche come le sindromi di Bloom, Chediak-Higashi, Cockayne, Darier, Rothmund-Thomson e l'albinismo oculocutaneo, la dermatomiosite, la fenilchetonuria, la porfiria, lo xeroderma pigmentoso.
Sul versante delle erbe medicinali della medicina alternativa è importante, invece, considerare che alcune possono essere rischiose, come pure l'alcol e le droghe. L'alcol, difatti, disidrata e può interferire con il processo di raffreddamento del corpo. Inoltre, l'alcol e le droghe tendono anche a compromettere la capacità di ragionare in modo chiaro, aumentando le probabilità di rimanere al caldo più a lungo di quanto si dovrebbe.


Caldo e farmaci

Anche diversi farmaci, usati per ogni possibile indicazione, possono aumentare il rischio di malattie legate al caldo, come alcuni farmaci psicotropi, ad esempio l'aloperidolo e la clorpromazina, gli anticolinergici, ad esempio la iosciamina, i β-bloccanti, come il propanololo o il sotalolo, i diuretici, ad esempio l'idroclorotiazide. I nitroderivati vanno usati con estrema cautela, soprattutto in pazienti che non li hanno mai utilizzati, per la possibilità d'ipotensione o addirittura "sincope da nitroderivati". Peraltro, con l'estate conviene conservare attentamente ogni farmaco lontano dalle fonti di calore e dall'irradiazione diretta del sole. Buona norma è la conservazione in frigorifero, anche per i prodotti che prevedono una temperatura non superiore ai 25-30 C°. È importante, quindi, riconoscere i segni derivati dal caldo e dal calore eccessivo, soprattutto in chi lavora sotto il sole o vive all'esterno senza protezione o svolge attività sportiva. Essi sono principalmente:

In tal caso bisogna tempestivamente raffreddare il corpo, bere acqua, succo di frutta o bevande e consultare subito un medico. Se non s'interviene adeguatamente e tempestivamente può aggiungersi febbre, respiro accelerato e corto, arresto della sudorazione, disorientamento, agitazione o confusione mentale e delirio, allucinazioni, convulsioni, perdita di coscienza e morte. Peraltro, i farmaci, somministrati per condizioni completamente diverse, possono aggravare gli effetti del calore. Come nel caso di un disturbo d'ansia che potrebbe deviare l'alto rischio di un colpo di calore. In tal caso, difatti, l'uso di un tranquillante può ostacolare le capacità di raffreddamento efficace. Anche altri fattori possono intervenire nei meriti, come quelli economici e sociali. Difatti, in caso di basso reddito, chi vive in città è più esposto alle ondate di calore, soprattutto se in età avanzata, perché non in grado di rilevare la temperatura con la massima precisione e di ripararsi adeguatamente. Particolare attenzione devono porre nel periodo estivo gli atleti di sport gravosi, come i maratoneti che competono in un ambiente caldo e umido, soprattutto se non acclimatati prima della competizione. Così pure i giocatori del beach volleyball e, comunque, quelli più corpulenti rispetto ai magri devono seguire regole più tassative. Comunque, i principi basilari per prevenire condizioni che possono anche portare al decesso sono:

Può essere utile ricordare che gatti e cani hanno le ghiandole sudoripare solo nei cuscinetti plantari. Per questo motivo vanno in iperventilazione, ossia aumentano la frequenza respiratoria, tenendo la bocca aperta e la lingua fuori. E allora, per prevenire problemi ai nostri amici a quattro zampe, bisogna:

Livelli di rischio delle condizioni meteorologiche e indirizzi utili

In ordine a quanto riportato e per la prevenzione dei danni alla salute descritti, il Dipartimento della Protezione Civile, struttura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, istituita nel 1982, per 27 città italiane, dal lunedì al sabato segnala la situazione del livello delle ondate di calore, utilizzando gli indirizzi di seguito: (www.protezionecivile.it).
Centro di Competenza Nazionale Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale del Lazio Tel. 06/83060458.
Ministero Della Salute (www.ministerosalute.it)

Interessante ancora a riguardo è l'ordinanza del Ministro della salute Ferruccio Fazio del 14 maggio 2011, con valore fino al 30 ottobre 2011, con cui s'impone alle amministrazioni comunali di trasmettere alle ASL gli appositi elenchi delle persone oltre i sessantacinque anni iscritte nelle anagrafi della popolazione residente. Di seguito, le ASL, in collaborazione con la Protezione civile, potranno mettere in atto iniziative per prevenire e monitorare i danni gravi e irreversibili legati alle anomale condizioni climatiche della stagione estiva e le amministrazioni comunali potranno predisporre i servizi di assistenza economica o domiciliare, di telesoccorso, di accompagnamento e di trasporto ai cittadini bisognosi. Tutto ciò sempre perché le ondate di calore possono avere grandi impatti sulla salute umana e perché le calde giornate estive possono rendere le persone malate più ammalate.