notiziario Dicembre 2013 N.11 NUTRIZIONE, MARKETING E SALUTE CARDIOVASCOLARE

Stampa

logo amec

NOTIZIARIO Dicembre 2013 N°11

 

NUTRIZIONE, MARKETING E SALUTE CARDIOVASCOLARE

 

 

 

 

A cura di:
Giuseppe Di Lascio §
Susanna Di Lascio #

 

Con la collaborazione di:

Doriana Bauzulli *, Alessandro Di Lascio**
Andrea Levi Della Vida §, Simonetta Melilli §
Claudio Stazzi §, Elena Zimmatore §
 
§ Medico specialista in Medicina Interna
* Coordinatrice degli Infermieri, ** Fisioterapista
# Psicologa

I modelli di nutrizione e di dietetica nella promozione della salute

I modelli di nutrizione e dietetica continuano da qualche tempo a essere insistentemente alla ribalta del dibattito politico e socio sanitario per il loro importante ruolo nella promozione della salute e nella prevenzione delle malattie. Pur tuttavia, anche se sono stati individuati i principi di dietetica più adeguati per la salute, ancor oggi s’incontrano notevoli difficoltà nel cambiare le complesse abitudini alimentari delle popolazioni che rimangono salde nell’eredità delle consuetudini antiche. Per questo, il raggiungimento di aderenza agli stili di dieta salutare rimane ancora una difficile sfida per i sistemi sanitari di tutti i paesi del mondo. A tal proposito, è bene considerare che, di là dai principi interni del comportamento umano, quando si tratti di cibo e di altre scelte, le evidenze dei numerosi studi suggeriscono che interviene un complesso mix di fattori legati alle influenze ambientali sulle singole scelte alimentari. Sono verosimilmente questi fattori che devono essere chiamati in causa nei casi della scarsa aderenza alle linee guida nutrizionali. Pur tuttavia, la comprensione di tali condizioni può essere d’aiuto nello sviluppo delle strategie più efficaci per la promozione dei cambiamenti delle scelte e abitudini alimentari degli individui e della popolazione.
I vari fattori, invero, hanno influenze non separate, ma interconnesse. I fattori individuali, difatti, s’intersecano con quelli familiari e con quelli della comunità, della scuola, della ristorazione. Infine, s’intrecciano con l’ambiente macroscopico pubblico, quello politico, industriale, di comunicazione, tecnologico, dei media e dei trasporti. In conformità a quanto riportato, si comprende come le raccomandazioni dello stile di vita debbano, quindi, essere adattate e raggiungere gli individui reali, tenendo bene in conto dove e come vivono. Le linee guida devono, quindi, essere pratiche, semplici, misurate alle varie realtà della vita. Bisogna anche necessariamente procedere a una segmentazione dei messaggi per adattarli ai gruppi di differente età, sesso, etnia, istruzione e stato economico. Non ultimo bisogna considerare lo stato di rischio per le malattie cardiovascolari, per il diabete, o per le altre malattie croniche, nonché l'interesse, l'impegno e la volontà di esercitare i nuovi comportamenti per la sana alimentazione.


Nutrizione e marketing

È oggi ritenuto fondamentale riconoscere che per l’attenta ed efficace correzione degli errori della nutrizione si devono promuovere sforzi per il miglioramento dello stile di vita sano, risolvendo le numerose problematiche di tutte le età. In tale campo molto si può fare agendo sui processi del marketing con soluzioni semplici che possono salvare la vita di tanti individui. In effetti, il marketing, concepito con riguardo al consumo più efficace per le aziende alimentari, ma anche per la migliore salute dei consumatori, va perseguito e gratificato. In effetti, il marketing non costituisce semplicemente un’abile campagna pubblicitaria di un prodotto alimentare, ma è configurabile in un complesso di azioni aziendali molto più ampio. Esso è il risultato di tutti gli sforzi per incoraggiare e consentire alle persone di mangiare un particolare tipo di nutriente. Allo stato dei fatti, sebbene sia stata da qualche tempo evidenziata e insistentemente ribadita l'enorme importanza della nutrizione nella nostra vita, è stata purtroppo da più parti riportata la scarsa o assente efficacia degli sforzi per incoraggiare il consumo degli alimenti salutari.
         Brian Wansink dell’University of Illinois ha offerto nel suo libro un’ampia panoramica delle ragioni e dei comportamenti sull’alimentazione delle persone (Marketing Nutrition: Soy, Functional Foods, Biotechnology and Obesity. Champaign, IL: University of Illinois Press; 2005). L’Autore, con innovativa ricerca d'avanguardia e con le migliori pratiche a livello mondiale, svelando i misteri del marketing nutrizionale, ha approfondito le problematiche inerenti questi argomenti. Ha fornito, così, nell’era in cui viviamo i motivi di riflessione per la promozione e il mantenimento di una vita sana. 
Così che, l’obiettivo del suo libro è stato quello di ampliare e approfondire la comprensione di tutti i punti di vista, in modo da aiutare operatori sanitari, funzionari governativi, brand manager, ricercatori nella promozione dell'adozione e il consumo degli alimenti migliori per la salute. In effetti, i consumatori sono l’obiettivo verso cui tutte queste figure professionali rivolgono la loro attenzione, ma sotto punti di vista differenti.
I dietologi li considerano clienti.
I funzionari governativi, invece, li assimilano a chi si trova in zone di calamità o svantaggiate, come i paesi in via di sviluppo.
I brand manager li considerano come chi sta passando a un prodotto più sano.

 

I ricercatori, infine, li associano a quel gruppo di persone intermedio più rappresentativo che permette le conclusioni di uno studio.
Wansink suggerisce tre principi di comportamento umano, non modificabili, che riguardano anche le scelte alimentari. In effetti, le persone nel consumo alimentare sono alla ricerca di convenienza, di varietà e scelta e di valore.
Il libro consta, di fatto, di cinque sezioni.
            Nella prima, i segreti del cibo e delle persone, l’Autore esamina per prima il divario tra il sapere e il fare. In effetti, la conoscenza nutrizionale è potere perché, influenzando il consumo di alcuni prodotti al posto di altri, permette di superare le abitudini alimentari. Segue la considerazione che i gusti dei consumatori, chiaramente molto suggestionabili e importanti, possono a volte modificarsi semplicemente cambiando l'etichetta della confezione del prodotto. Così pure, il nome descrittivo dei cibi può rendere le persone più inclini a pregustare il prodotto stesso. Ciò vale anche per influenzare arbitrariamente le persone sulle calorie di un alimento.
La seconda, gli strumenti del targeting, si fonda sull’equivoco fondamentale che in buona parte si crea per la disconnessione tra educazione alimentare e cambiamento del comportamento, dovuto anche al targeting inefficace. Alcune persone sono, in effetti, più facilmente suggestionabili al rispetto della nutrizione, riguardo ad altre. In tale ordine di fatti, piuttosto che considerare tutti gli individui in forma globale, è bene accostarsi al problema valutando alcuni gruppi, più predisposti di altri, ad alcuni messaggi e interventi. Pur tuttavia, mentre per i consumatori il concetto di base della segmentazione e del targeting non è nuovo, l’Autore in questa parte del suo lavoro dimostra come i gusti possono essere segmentati e come l’educazione alla nutrizione e le salutistiche campagne di marketing possano essere più efficienti con il tenere in dovuto conto i diversi gusti. Esamina, così, le tecniche utilizzate per identificare le preferenze del gusto e la verosimile adozione tra un numero di segmenti. Mostra di seguito il profilo del consumatore ideale per capire e indirizzare meglio una persona ai cambiamenti nutrizionali. Di conseguenza, si può consentire il targeting per il gusto migliore. L’utilizzo delle mappe mentali può permettere la comprensione delle ragioni del come e perché agiscono. In effetti, quando si cerca di incoraggiare le persone a mangiare un cibo particolare, si possono acquisire, attraverso la comprensione del perché i frequenti consumatori di un cibo dimostrano tanto piacere per esso, preziose informazioni. Questi individui, di certo, hanno una mappa mentale di associazioni e benefici del cibo scelto che aiuta a spiegare le ragioni del tanto piacere. L’identificazione e l’illustrazione di queste mappe mentali permettono, quindi, di conoscere in che modo si possono trasformare da occasionali ad abituali i consumatori di un cibo. Gli sforzi del marketing nutrizionale dovrebbero, quindi, essere incentrati su chi è più probabilmente influenzabile o su quelli che hanno più probabilità di influenzare gli altri.
            La terza sezione, la salute delle nazioni, affronta quattro delle maggiori criticità legate all'alimentazione per cui si lotta nei Paesi sviluppati:

La gente oggi vuole, ogni volta che fa comodo, una varietà di cibi gustosi, di alto valore e disponibili in larghe quantità. Questa è una delle ragioni dei favori ottenuti dai Mc Donalds, che convincono i bambini con l’offerta di cibo in eccesso e in forma molto più facile da mangiare regolarmente, rispetto ad altri cibi, come le verdure. Tutto ciò ha fatto segnare nei paesi occidentali il crescente grave problema dell'obesità in forma epidemica.
            La quarta sezione, l’etichettatura, fondandosi sul tema generale del libro, secondo il quale i diversi tipi d’informazioni influenzano le varie persone in modi differenti, si sofferma sul problema della comunicazione che può generare il maggior impatto sul consumatore. In effetti, le migliori etichette e le più suggestive indicazioni nutrizionali possono rendere il prodotto molto più convincente. Peraltro, per tutto questo la comunicazione dei benefici per la salute è altamente significativa.
Nella maggior parte dei casi, purtroppo, i risultati delle etichette sono promettenti solo nel breve periodo, ma deludenti nel lungo termine.     
            La quinta sezione, il marketing nutrizionale, mostra come i paesi e le culture possano essere inclini ad adottare i vari alimenti, mettendo in luce il problema degli aiuti alimentari per le risorse limitate.
            In definitiva, Brian Wansink conclude che la vera sfida che l’uomo deve considerare per il marketing nutrizionale non è nel reinventare la ruota, ma è nel prendere lezione dai successi e fallimenti degli altri, applicandola nel proprio contesto per migliorare il cambiamento delle preferenze dei consumatori. In effetti, gli stessi strumenti e intuizioni, che hanno contribuito a rendere popolari i prodotti meno nutrienti, costituiscono le migliori opportunità per riportare la gente a uno stile di vita salutare.


Il progetto inglese di etichettatura nutrizionale a colori

Il ministro della Salute pubblica inglese Anna Soubry ha lanciato il nuovo pacchetto di etichettatura nutrizionale il 19 giugno 2013 per dare maggiore sicurezza alle scelte alimentari più sane della popolazione.
In effetti, secondo la Soubry la responsabilità della sanità pubblica mira a sfruttare il potenziale delle imprese e di altre organizzazioni per dare un contributo significativo al benessere dei cittadini, aiutando a creare un ambiente adeguato. Gli obiettivi dal 2011 sono stati:
• oltre il 70% dei pasti fast food e dei takeaway venduti doveva avere l’etichettatura delle calorie chiaramente leggibile,
• tutti i principali supermercati dovevano impegnarsi a rimuovere i grassi trans artificiali,
• tutti i principali supermercati e più della metà dei principali ristoratori dovevano impegnarsi a ulteriori riduzioni del sale in oltre ottanta categorie di alimenti, come pane, zuppe, cereali e sughi per la pasta,
• oltre l'80% di tutte le bevande alcoliche in esposizione doveva avere un'etichettatura chiara sulle unità, sulle linee guida dello NHS e sui messaggi di gravidanza,
• trentuno principali aziende alimentari e di bevande, tra cui Coca-cola, Mondelez International (ex Kraft Foods UK), Nestle, Subway e tutti i principali rivenditori dovevano ridurre le calorie dei prodotti e fare alcune forti promozioni per incoraggiare le persone a mangiare cibi più sani,
• trentaquattro grandi aziende di alcol dovevano rimuovere un miliardo di unità di vendita.
Con l’azione recente, che ripete quella già presente in altri paesi come la Danimarca e la Romania, il ministero della sanità inglese ha voluto codificare a colori, con un semaforo rosso, ambra e verde, le informazioni nutrizionali per dimostrare quanti grassi in totale, grassi saturi, sale e zucchero e calorie ci sono nei prodotti alimentari. Il provvedimento è stato, a detta del ministro Soubry, condizionato da diversi fattori. Il Regno Unito ha già il maggior numero di prodotti con un fronte di etichetta della confezione in Europa, ma le persone sono indotte in confusione dalle molte varietà utilizzate. Bisogna, quindi, utilizzare le formule più accettate e preferite dalla popolazione in modo che possano essere utilizzate le informazioni per le scelte più sane. Oggi giorno è imperativo affrontare la sfida dell’obesità in cui bisogna coinvolgere anche l'industria alimentare. Facendo piccoli cambiamenti alla dieta delle persone si possono ottenere importanti risultati, evitando malattie gravi, ma anche riducendo drasticamente i costi del servizio sanitario nazionale.

Secondo il ministro, le persone saranno in grado di utilizzare i colori per capire il valore dei nutrienti che stanno mangiando. Le etichette non sono progettate per demonizzare i cibi con un sacco di rossi, ma per rendere più consapevoli le persone su cosa mangiano.
La nuova etichettatura include in modo coerente per porzione di cibo le informazioni seguenti:
• la quantità di calorie in chilocalorie e kilojoule, di grassi, di grassi saturi, di sale e di zucchero. Tutto questo sarà presentato come RI (Reference Intakes), prima noto come GDA (Guideline Daily Amounts), e mostrerà quanta parte della dose massima giornaliera rappresenta una porzione.
• un sistema di una determinazione uniforme in codice di colore rosso, giallo o verde (da notare che la base di questo è per 100 gr non per porzione, se l'importo in una è superiore al 30% dello RI)
Le analisi costo-benefici hanno dimostrato che l'etichettatura dei pacchi potrebbe costituire un intervento efficace contro l'obesità, sia clinico sia di risparmio economico. Le evidenze, comunque, riportano che un sistema combinato di codifica a colori sulle informazioni nutrizionali è preferito dai consumatori ed è il sistema di etichettatura che essi possono più facilmente utilizzare per scegliere gli alimenti più sani.


Componenti di una dieta cardioprotettiva

Il peso globale delle CVD (cardiovascular diseases), del DM 2 (diabetes mellitus) e dell'obesità è in preoccupante aumento. Si stanno producendo, a tal proposito, enormi perdite di vite e di anni di vita con disabilità sia nei paesi economicamente sviluppati e sia in quelli in via di sviluppo. Peraltro, la maggior parte di questi oneri, che possono essere evitati, si sta verificando anche nei più giovani. Le cause di tutto ciò si ravvedono, ormai soprattutto, negli stili di vita non salutari che includono una cattiva alimentazione, un apporto calorico in eccesso, un'inattività fisica e il fumo. In tutto il mondo esistono, in effetti, notevoli differenze nelle abitudini alimentari, così come nei tassi di prevalenza delle malattie croniche. In ragione di tutto ciò, si stanno sviluppando notevoli sforzi nel campo della salute pubblica e scientifica per identificare il ruolo dei fattori dietetici nel determinismo delle malattie e pure per il maggiore potenziale di riduzione di esse. La scienza della dieta, applicata alle malattie croniche, è sorta alla metà del secolo scorso e si è ingigantita nel tempo. I progressi scientifici hanno ormai offerto le evidenze sostanziali sugli effetti cardiometabolici degli specifici fattori dietetici. L’interesse peculiare di alcune sostanze selettive e le abitudini alimentari globali, piuttosto che i soli nutrienti individuali, la rilevanza dei carboidrati e della qualità dei grassi, così come pure la quantità, gli effetti e le implicazioni del consumo del sodio, l'importanza del bilancio energetico, il ruolo degli integratori alimentari, rappresentano alcuni risultati chiave d’interesse attuale. (vedi notiziario Novembre 2013 N.10)
            Dariush Mozaffarian dell’Harvard School of Public Health; Boston e collaboratori hanno fornito un rapporto utile per gli operatori sanitari e per i decisori politici per comprendere le problematiche contemporanee legate agli effetti della dieta sulle CVD (Circulation. 2011; 123: 2870-2891). Gli Autori si sono avvalsi delle recensioni complete effettuate per politiche o attività simili, comprese quelle dell’American Heart Association 2020 Impact Goals Committee (DM , LJA ), dell’AHA Nutrition Committee (D.M., L.J.A., L.V.H.), dell’US Dietary Guidelines Advisory Committee (L.J.A., L.V.H.), del World Health Organization Expert Consultation on Fats and Fatty Acids in Human Nutrition (D.M.), del World Health Organization Global Burden of Diseases, Risk Factors and Injuries Nutrition and Chronic Diseases Expert Group (D.M.) e dell’Institute of Medicine Report on Strategies to Reduce Sodium Intake (L.J.A.). Seguiva, comunque, la precisazione che le opinioni e le conclusioni espresse nel loro rapporto erano del tutto personali e non necessariamente derivate da quelle delle commissioni di cui si erano serviti.
            Gli RCT (Randomized, controlled trials) sui fattori di rischio cardiometabolico e gli studi di coorte prospettici degli end point delle malattie fornivano una forte concordante evidenza sugli effetti cardiovascolari di diversi alimenti specifici. In contrasto con i nutrienti considerati isolatamente, gli effetti sulla salute degli alimenti rappresentavano probabilmente la sinergia di effetti compositi e le interazioni di molteplici fattori, tra cui la qualità dei carboidrati, il contenuto di fibre, di acidi grassi e di proteine ​​specifiche, i metodi di preparazione, la struttura degli alimenti stessi e la biodisponibilità dei connessi micronutrienti e sostanze fitochimiche. I modelli alimentari basati su particolari cibi / componenti hanno, in effetti, stabilito i benefici cardiometabolici e sono caratterizzati da più alte quote di fibre, di acidi grassi sani, di vitamine, di antiossidanti, di potassio, di altri minerali e sostanze fitochimiche. Sono, invece, a più basso valore salutare i carboidrati raffinati, gli zuccheri, il sale, gli acidi grassi saturi (SFA), il colesterolo e i grassi trans.

            Le diete che enfatizzavano il consumo di frutta e verdura producevano, in effetti, sostanziali miglioramenti sui diversi fattori di rischio, tra cui la BP (blood pressure), i livelli dei lipidi e dei biomarcatori infiammatori, l’insulino-resistenza, la funzione endoteliale e il controllo del peso.
I benefici, però, non sembravano riproducibili con quantità equivalenti di minerali e integratori di fibre, né erano dipendenti dalla composizione dei macronutrienti della dieta, come grassi, proteine ​​o carboidrati. Questa evidenza suggeriva che i benefici potessero essere derivati ​​da:

In studi osservazionali a lungo termine il maggiore consumo di frutta e verdura si associava individualmente con una minore incidenza della CHD (coronary heart disease), mentre il maggiore consumo di frutta con una minore incidenza d’ictus. I risultati, comunque, degli RCT sulle misure fisiologiche e sui potenziali esiti di malattia delle coorti, fornivano insieme una concordante, forte evidenza che il consumo di frutta e verdura riduceva il rischio delle CVD (vedi not. maggio 2013 N.5).
            Nei riguardi dei cereali integrali bisogna annotare che, anche se non esiste un'unica definizione accettata di grano intero, essi comprendono generalmente la crusca, il germe e l’endosperma del cereale naturale. La crusca contiene fibre alimentari solubili e insolubili, vitamine del gruppo B, minerali, flavonoidi e tocoferoli. Il germe contiene numerosi acidi grassi, antiossidanti e sostanze fitochimiche. L’endosperma fornisce, a sua volta, gran parte di amido con carboidrati polisaccaridi e proteine di deposito. Il tipo e l'entità della preparazione sembrano poter modificare gli effetti sulla salute del grano e del consumo dei carboidrati. Ad esempio, la rimozione della crusca e del germe riduce le fibre alimentari che producono importanti benefici, tra cui l'abbassamento della pressione arteriosa e dei livelli del colesterolo. Inoltre, aumenta la biodisponibilità e la rapidità della digestione dell’endosperma, il che aumenta le risposte glicemiche ed elimina i minerali, i micronutrienti e altre sostanze fitochimiche che possono avere ulteriore beneficio indipendente sulla salute.
Negli RCT il consumo dei cereali integrali migliorava l'omeostasi del glucosio-insulina e la funzione endoteliale, riduceva eventualmente anche l'infiammazione e migliorava la perdita del peso. Inoltre, il consumo di cereali integrali riduceva le LDL senza effetto sulle HDL e senza alzare i trigliceridi. Coerentemente con i benefici fisiologici, il maggiore consumo dei cereali integrali si associava con una minore incidenza di CHD, di DM e possibilmente d’ictus. Le fibre alimentari dei cereali integrali contribuivano, di certo, a questi benefici. Negli RCT, infatti, un aumento delle fibre alimentari riduceva i livelli sierici dei trigliceridi, delle LDL, della glicemia e della BP. Ancora, prove emergenti sostenevano i contributi supplementari indipendenti per la salute per merito delle altre caratteristiche dei cereali integrali, tra cui la digestione più lenta con risposte glicemiche più basse e il più alto contenuto di minerali, di sostanze fitochimiche e di acidi grassi. Così che, in modo simile alla frutta e alla verdura, gli effetti sulla salute dei cereali integrali potevano risultare dagli effetti sinergici di più componenti difficilmente derivati dalla sola supplementazione della fibra, dall’aggiunta della crusca, o da micronutrienti isolati. Allo stesso modo non erano egualmente efficaci le sostituzioni dietetiche per carboidrati e amidi più altamente raffinati/ trasformati che a loro volta potevano indurre effetti cardiometabolici avversi.
            Il pesce e i frutti di mare contengono diversi componenti salutari, tra cui specifiche proteine​​, grassi insaturi, vitamina D, selenio e PUFA (polyunsaturated fatty acids) che comprendono l'EPA 20:05 omega -3 (eicosapentaenoic acid) e il DHA; 22:06 omega - 3 (docosahexaenoic acid). Negli esseri umani questi ultimi due composti sono sintetizzati in particolare in quantità basse, pari a meno del 5%, dal loro precursore, l'acido α - linolenico 18:03 omega -3 di derivazione vegetale. Pertanto, i livelli tissutali di EPA e DHA sono fortemente influenzati dal loro diretto consumo alimentare. Il loro contenuto medio nelle diverse specie di pesce varia anche più di dieci volte. Pesci  grassi, come le acciughe, le aringhe, il salmone selvatico e di allevamento, le sardine, la trota e il tonno bianco tendono ad avere le più alte concentrazioni. Studi sperimentali in animali e in vitro hanno suggerito che l'olio di pesce aveva effetti antiaritmici diretti, ma le prove in pazienti con aritmie preesistenti hanno fornito risultati inconsistenti. Nell’uomo i trial hanno evidenziato che l'olio di pesce riduceva i livelli dei trigliceridi, la pressione sistolica e diastolica, la frequenza del polso a riposo. Poteva anche diminuire l'infiammazione, normalizzare la variabilità della frequenza cardiaca, migliorare la funzione endoteliale, il rilasciamento e l'efficienza miocardica e a dosi elevate contrastare l’aggregazione piastrinica. Coerentemente con questi vantaggi fisiologici, il consumo abituale di pesce si associava a una minore incidenza di CHD e d’ictus ischemico e, soprattutto, al rischio di morte cardiaca in una popolazione di sani. Rispetto a chi non ne consumava l’uso alimentare di 250 mg / die di EPA e DHA di derivazione dal pesce si associava a una più bassa mortalità CHD, pari al 36%. Da notare che il pesce e l’olio di pesce sono tra i fattori alimentari per i quali sono stati effettuati entrambi gli studi RCT e sugli eventi cardiovascolari osservazionali a lungo termine (vedi anche not. luglio 2012 N°7).
            Le noci contengono diversi componenti bioattivi che potrebbero migliorare la salute cardiometabolica, compresi gli acidi grassi insaturi, le proteine ​​vegetali, come la l- arginina, precursore dell'ossido nitrico, le fibre, l’acido folico, i sali minerali, gli antiossidanti e i fitochimici. Negli RCT il consumo di noci riduceva il colesterolo totale, il colesterolo LDL, l'iperglicemia postprandiale dopo pasto ad alto contenuto di carboidrati, in modo variabile i biomarker dell’ossidazione, dell’infiammazione e della disfunzione endoteliale. Negli studi osservazionali il consumo di noci era anche associato con una minore adiposità e con la perdita di peso. Il consumo di noci, anche modesto, si associava con una minore incidenza di CHD. Da notare che gli studi epidemiologici e clinici hanno valutato prevalentemente le noci propriamente dette e le arachidi.
            I legumi, come piselli, fagioli, lenticchie e ceci, possono anche fornire benefici cardiovascolari. In una meta-analisi di RCT, il consumo di alimenti contenenti soia produceva tendenza verso l'abbassamento della pressione sistolica di 5,8 mm Hg e della diastolica di 4,0 mm Hg BP, ma senza raggiungere significato statistico. Le proteine ​​di soia o gli isoflavoni (fitoestrogeni) sembravano avere effetti più modesti, producendo solo alcune riduzioni della pressione diastolica di 2 mm Hg e di colesterolo LDL del 3%. Peraltro, i legumi forniscono un pacchetto complessivo di micronutrienti, sostanze fitochimiche e fibre che potrebbero plausibilmente ridurre il rischio cardiometabolico.
            Diversi componenti delle carni rosse potrebbero, invece, aumentare il rischio cardiometabolico e tra essi gli SFA, il colesterolo, il ferro dell’eme. Tale condizione è più evidente per le carni lavorate in cui si riscontrano più alti livelli di sale e di altri conservanti (vedi notiziario di Aprile 2013 N. 4).
            Gli RCT sui potenziali benefici del consumo dei prodotti lattiero-caseari sono stati in parte incoerenti e inconcludenti. L'assunzione giornaliera di basso contenuto dei grassi dei latticini abbassava significativamente la BP, i livelli dei lipidi e la resistenza insulinica e migliorava la funzione endoteliale, indipendentemente dai cambiamenti del peso. Tuttavia, in linea con i benefici fisiologici, il maggiore consumo dei latticini si associava anche con un minor rischio d’ictus e di DM in coorti osservazionali a lungo termine.
L’acido linoleico coniugato e il calcio sono stati proposti come i potenziali mediatori dei benefici dei prodotti lattiero caseari (vedi not. N.6 giugno 2013, luglio 2013 N.7, settembre 2013 n.8).


           
Le bevande zuccherate, per loro conto, nei trial di comparazioni ecologiche e delle coorti potenziali dimostravano associazioni positive con l’adiposità. In particolare, i rilievi negli Stati Uniti tra il 1965 e il 2002, corrispondenti al rapido aumento del sovrappeso / obesità, segnalavano per queste bevande una percentuale aumentata dallo 11,8 al 21,0% delle calorie totali della dieta o intorno alle 222 calorie / die per persona. La maggior parte di questo incremento era dovuto per il 60% alle bevande zuccherate, come quelle gassate / coca cola, succhi di frutta zuccherati, bevande sportive, seguite per il 31% dall'alcol e per il 9% dai succhi di frutta al 100%. Le calorie derivate da altre bevande, come il latte, non erano, invece, aumentate. L’adolescente americano medio, se ragazzo beveva circa 700 gr / die, pari a 300 kcal, di bevande zuccherate, se ragazza circa 450 gr / die, pari a 200 kcal. Peraltro, l’assunzione della maggior parte delle bevande dolcificate da parte dei bambini avveniva in casa e non a scuola. A tale riguardo, bisogna considerare che i cibi liquidi rispetto a quelli solidi tendono ad avere un valore meno saziante e, quindi, porterebbero ad aumentare l’assunzione totale di calorie giornaliere, spiazzando, peraltro, le bevande più salutari, come il latte.  Peraltro, diversi studi randomizzati avrebbero dimostrato come da una parte la ridotta assunzione di bevande zuccherate migliorasse la perdita di peso o ne riducesse l'aumento e dall’altra come la maggiore assunzione fosse associata a una più marcata incidenza di diabete mellito, sindrome metabolica e malattia coronarica.
            L'uso dell’alcol correlava con esiti cardiovascolari sia positivi sia negativi. La sua massiccia assunzione abituale si rivelava cardiotossica con evidenza in molti paesi di cardiomiopatie dilatative non ischemiche. La disfunzione ventricolare conseguente era spesso irreversibile con evidenza di alta mortalità. Sia gli smodati occasionali consumi di alcol e sia la sua maggiore assunzione abituale erano associati con un rischio più elevato di fibrillazione atriale. Al contrario, in studi controllati l'uso moderato di alcol, in assenza di aumento del peso corporeo, aumentava le HDL, riduceva l'infiammazione sistemica e migliorava la resistenza insulinica. Coerentemente con questi effetti, rispetto ai non bevitori, le persone che bevevano moderatamente alcol, fino a circa due bevande / die per gli uomini e circa una per le donne, sperimentavano una minore incidenza di malattia coronarica e di diabete mellito. In questi studi osservazionali, però, i benefici del consumo moderato di alcol avrebbero potuto ottenere una sopravvalutazione per aver compreso nei gruppi di confronto degli astemi ex bevitori o altre persone che evitavano l'alcol a causa delle cattive condizioni di salute o per altre limitazioni specifiche di studio. In effetti, studi sperimentali hanno suggerito che alcuni componenti non alcolici, come il resveratrolo del vino, potrebbero produrre potenziali benefici. In definitiva, però, l’uso dell’alcol non appare consigliabile in una strategia di riduzione del rischio di CVD. Per gli adulti che già bevono alcolici, è consigliabile mantenersi nei limiti dell’uso moderato, tenendo a mente che bisogna evitare l'aumento del peso corporeo dato che una porzione media di alcol contribuisce a offrire circa 120-200 kcal e che ha un effetto meno saziante, rispetto ai cibi solidi.
            Un imponente e ampio corpo di evidenze ha dimostrato il potere di migliorare la salute e prevenire CVD con i modelli alimentari globali, spesso derivati ​​da approcci di ricerca diversi, ma condivisi in alcune caratteristiche chiave, tra cui l'accento sulla frutta, sulla verdura, su altri alimenti vegetali come i fagioli e le noci, i cereali integrali e il pesce. I prodotti lattiero-caseari sono stati limitati, oppure suggeriti occasionalmente, ma le carni rosse, specialmente se lavorate, sono state indicate con i maggiori contenimenti con i carboidrati raffinati e altri prodotti alimentari trasformati. Negli RCT l’adesione a tali modelli alimentari, quali il DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension), la Dieta Mediterranea, la Vegetariana, la Giapponese migliorava sostanzialmente i molteplici fattori di rischio cardiovascolare (vedi not. ottobre 2013 N.9).               
La DASH, in particolare, ribadisce il valore della frutta, verdura e latticini a basso contenuto di grassi. Include i cereali integrali, il pollame, il pesce e le noci. La carne rossa, i dolci e le bevande zuccherate sono molto limitati. La dieta DASH originale era a basso contenuto di grassi totali, pari al 27% dell’energia, contro il 55% dei carboidrati.
            Pur tuttavia, l'importanza della qualità dei carboidrati ha rappresentato una delle più importanti nuove intuizioni legate al valore cardiometabolico della dieta. Difatti, anche se i carboidrati sono tradizionalmente classificati in semplici, come i monosaccaridi e i disaccaridi e in complessi, come l’amido e il glicogeno, si sono aggiunte diverse rilevanti caratteristiche nel determinismo degli effetti cardiometabolici, come i contenuti di crusca e germi, di fibra alimentare, di struttura del cibo, ad esempio intatto, minimamente trasformato, raffinato, o liquido e le potenziali risposte glicemiche o l’induzione di lipogenesi epatica de novo dopo ingestione. In effetti, anche se le più rilevanti dimensioni della qualità dei carboidrati, oltre alla tassonomia corrispondente, possa rimanere incerta, risulta oggi chiaro che molti aspetti della qualità di queste sostanze possono influenzare la salute cardiometabolica. D’altro verso, gli effetti delle fibre alimentari sono meglio stabiliti, compreso l'abbassamento dei trigliceridi sierici, del colesterolo LDL, della glicemia e della pressione sanguigna.
Emergenti e convincenti evidenze suggeriscono, d’altro canto, che gli alimenti con le risposte glicemiche più alte possono influenzare negativamente il controllo della glicemia e dei trigliceridi e forse anche dei livelli di colesterolo LDL, dei biomarker dell’infiammazione, della funzione endoteliale e della fibrinolisi.
Peraltro, altre evidenze suggeriscono che gli effetti della qualità dei carboidrati possono essere più adatti al periodo post-prandiale immediato e tra gli individui più predisposti all'insulina resistenza.
            Per quanto riguarda i grassi della dieta, bisogna considerare che tradizionalmente sono stati consigliati a più bassa assunzione, soprattutto per la loro maggiore densità calorica, rispetto alle proteine ​​o ai carboidrati. Tuttavia, il tipo sembra essere di gran lunga più rilevante per la salute cardiometabolica che la loro percentuale di calorie consumate in totale. Comunque, i grassi trans prodotti dagli oli vegetali parzialmente idrogenati hanno forti relazioni negative con il rischio di CHD e, quindi, il loro consumo deve essere il più vicino possibile allo zero. Al contrario, gli ​​omega- 3 PUFA derivati dai frutti di mare hanno una forte relazione inversa con la mortalità per CHD tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha raccomandato per gli adulti un consumo di almeno 250 mg / die di EPA e DHA marini. Alcune evidenze supportano, anche  se in forma più debole, i benefici cardiovascolari dei grassi omega-3 di origine vegetale.

In definitiva, la sostituzione degli SFA (saturated fatty acids) con i PUFA (polyunsaturated fatty acids) e dei carboidrati raffinati/amidi e zuccheri con sostanze meno raffinate ad alto contenuto di fibre permette di ottenere rilevanti effetti contro il rischio cardiometabolico.
In effetti, il consumo dei PUFA ha dimostrato di migliorare i livelli dei lipidi e delle lipoproteine nel sangue​​, associandosi negli studi di coorte prospettici ai tassi più bassi degli eventi cardiovascolari. Si riducono in questo modo anche gli eventi clinici quando i PUFA s sostituiscono agli SFA.
Il consumo degli acidi grassi monoinsaturi ha dimostrato anche di influire positivamente nei confronti dei livelli dei lipidi e delle lipoproteine del sangue. Migliora anche l’insulino-resistenza riducendosi il rischio CVD. Pur tuttavia, nei primati si è dimostrato un aumento dell’aterosclerosi non umana, per cui vanno raccomandati con una certa cautela.
            A proposito del sale nella dieta, diversi studi e metanalisi confermano che il suo alto consumo aumenta la pressione arteriosa, stimata causa di quasi due terzi degli ictus e della metà di tutti gli eventi di CHD (vedi not. novembre 2013 N°10).
            L’uso degli integratori alimentari, consigliato spesso ad alte o farmacologiche dosi, è un luogo comune, nonostante l'assenza di convincenti evidenze sui benefici per la salute o anche sulla possibilità di danno.
            Il bilancio energetico tra le calorie assunte, rispetto a quelle spese, è, comunque, il determinante principale dell'aumento del peso corporeo e dell’adiposità. A tale riguardo, alcune persone possono avere un relativo elevato consumo di calorie con un equilibrio energetico neutro o negativo per una spesa alta. Al contrario, altre possono consumare relativamente poche calorie, ma con un bilancio energetico positivo a causa della bassa spesa.


Le fibre alimentari riducono il rischio delle malattie cardiovascolari

Da alcuni anni si segnala in alcuni paesi europei e anche negli Stati Uniti un calo dell'incidenza delle malattie cardiovascolari e coronariche.  Pur tuttavia, le malattie cardiovascolari rappresentano con il 48% ancora quasi la metà di tutte le morti in Europa e con il 32,8% un terzo di tutte le morti negli Stati Uniti. Già nel 1970 fu proposto il legame di protezione tra le fibre alimentari sotto forma di cibi integrali e la cardiopatia ischemica. Così che molti studi osservazionali e sperimentali hanno esaminato la relazione tra le fibre alimentari o gli alimenti con loro alto contenuto e il rischio cardiovascolare totale o i fattori, quali l'ipertensione, l'obesità centrale, la sensibilità all'insulina e l’ipercolesterolemia.  L’effetto protettivo della fibra alimentare sul rischio di malattia cardiovascolare e coronaropatia è, in effetti, biologicamente plausibile e ci sono molti potenziali meccanismi attraverso i quali i singoli fattori di rischio possono essere influenzati. I tipi solubili di fibre viscose possono influenzare l'assorbimento dell'intestino tenue con la formazione di un gel che attenua la glicemia e l’elevazione dei lipidi postprandiali. La formazione del gel rallenta anche lo svuotamento gastrico, mantenendo i livelli di sazietà e contribuendo a ridurre l’aumento di peso. La fibra solubile e le molecole resistenti di amido sono inoltre fermentate dai batteri nell'intestino crasso, producendo acidi grassi a catena corta che aiutano a ridurre i livelli di colesterolo circolante. Oltre alla fibra, ci sono molti altri composti potenzialmente benefici all'interno di cibi ricchi di fibre. Per esempio, composti cereali, come antiossidanti, lignani ormonalmente attivi, fitosteroli, inibitori dell’amilasi e le saponine, hanno tutti dimostrato di influenzare i fattori di rischio della cardiopatia ischemica.  
            Diane E Threapleton dell’University of Leeds – UK e collaboratori hanno compiuto una revisione con lo scopo di rivedere i dati della letteratura a partire dal 1990 nei riguardi dell'assunzione delle fibre alimentari e il rischio cardiovascolare e di aggiornare i rapporti pubblicati dal comitato del Regno Unito sugli aspetti medici delle politiche alimentari (BMJ 2013; 347:f6879).
Gli Autori hanno, così, selezionato ventidue studi di coorte. L’assunzione totale di fibre alimentari risultava inversamente associata con il rischio di malattia cardiovascolare con risk ratio 0,91 a 7 g / die e intervalli di confidenza al 95%= 0,88-0,94 e della malattia coronarica (risk ratio 0,91, IC 95%= 0,87-0,94). Non c'era evidenza di alcune eterogeneità tra gli studi aggregati per le malattie cardiovascolari [ I2 = 45 % (0 % al 74 %)] e la malattia coronarica [ I2 = 33 % (0 % al 66 %)]. La fibra insolubile e quella da fonti di cereali e di ortaggi erano inversamente associate al rischio di malattia coronarica e cardiovascolare. L’assunzione delle fibre della frutta era inversamente associata al rischio di malattia cardiovascolare.
            In conclusione la maggiore assunzione delle fibre alimentari si associava a un minor rischio sia di malattie cardiovascolari sia coronariche. I risultati erano in linea con le raccomandazioni generali per aumentare l'apporto di fibre nelle diete.


Agenda 2014 Siprec per mantenere stabile il proprio benessere psicofisico

La Siprec (Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare) ha messo anche quest’anno a disposizione nelle farmacie italiane la sua Agenda 2014. Ogni mese sono pubblicizzate ricette e consigli per smettere di fumare e suggerimenti per mantenere stabile il proprio benessere psicofisico e, in particolare, per contrastare le malattie cardiovascolari. Sono compresi suggerimenti che spaziano dalla buona alimentazione, corredata da sane e gustose ricette, all’attività fisica e ai suoi benefici con un vero e proprio consulente tra le mura domestiche, reso disponibile dal mese di gennaio 2014 in tutte le farmacie che hanno aderito all’iniziativa. La Siprec ha voluto, così, diffondere la cultura della prevenzione attraverso progetti che promuovano corretti stili di vita che possano combattere efficacemente le malattie cardiovascolari responsabili di circa il 40% di tutti i decessi nei Paesi sviluppati. Purtroppo, nonostante il consistente miglioramento negli ultimi decenni, derivato dalla riduzione dei tassi del tabagismo e dal miglioramento dei regimi dietetici, raramente si fa oggi ricorso alla prevenzione. Bruno Trimarco dell’Università degli Studi di Napoli Federico II ha ripetuto la necessità dell’informazione e conoscenza delle problematiche connesse perché già parte della soluzione. Bisogna, quindi, mettere a disposizione del cittadino i suggerimenti per difendere la salute del proprio cuore. Bisogna educare la popolazione alla prevenzione. Il che vuol dire trasformare i medici delle malattie in medici della salute. Il progetto è supportato dalla Rottapharm Madaus e si propone di offrire a tutti i cittadini la possibilità di un nuovo anno all’insegna della prevenzione cardiovascolare.
            Per agevolare la diffusione della propria campagna di prevenzione, la Siprec ha messo a disposizione un download gratuito dell’Agenda in formato PDF sul proprio sito internet www.siprec.it (area cittadino).


I gravosi costi delle malattie cardiovascolari

Secondo una nuova dichiarazione dell’AHA (American Heart Association), nei prossimi venti anni oltre il 40% della popolazione degli Stati Uniti dovrebbe essere affetta da una qualche forma di malattia cardiovascolare.

Tutto ciò, che si può tradurre come condizione di esempio per tutte le nazioni economicamente sviluppate, porterà a triplicare il totale dei costi sanitari diretti di cura per l'ipertensione, la malattia coronarica, l’insufficienza cardiaca, l’ictus e le altre forme di malattie cardiovascolari. Si dovrebbe passare dagli attuali 273.000 milioni dollari a più di 800 miliardi. In effetti, le stime di prevalenza delle malattie cardiovascolari conducono a presumere che esse, senza alcuna modifica alle tendenze di prevenzione e trattamento, aumenteranno di circa il 10% nei prossimi venti anni. Infatti, se alcuni fattori di rischio, come il diabete e l'obesità, continueranno a crescere così rapidamente, la prevalenza delle malattie cardiovascolari e i costi connessi potrebbero aumentare ancora di più, hanno affermato Paul Heidenreich del Veteran Affairs Palo Alto Health Care System CA e collaboratori nel rapporto del 24 gennaio 2011. Allo stato attuale, le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte negli Stati Uniti e determinano il 17% della spesa sanitaria complessiva.  

In particolare, le spese mediche delle malattie cardiovascolari sono aumentate con un tasso medio annuo del 6% e la crescita dei costi è stata associata a un aumento della speranza di vita, dando dimostrazione indiretta che sono in gran parte prevenibili. Le ultime stime di prevalenza per il 2030 per l'ipertensione, malattia coronarica, insufficienza cardiaca e ictus sono desunte ​​dal NHANES 1999-2006 (National Health and Nutrition Examination Survey) e dal Census Bureau. La proiezione dei costi medici, associati con la malattia cardiovascolare, ha utilizzato il Medical Expenditure Panel Survey 2001-2005. Entro il 2030 la prevalenza delle malattie cardiovascolari è prevista in aumento del 9,9%. In particolare, la prevalenza dell’infarto e dell’ictus sarà aumentata di circa il 25%. I costi totali diretti, secondo le stime AHA, saliranno a 818 miliardi di dollari entro il 2030 e il costo indiretto totale in termini di perdita di produttività per gli Stati Uniti sarà circa di $ 275.000.000.000.
I dati mostrano che l’ipertensione ha la previsione del maggior costo sanitario, in parte verosimilmente a causa dell'invecchiamento demografico. Peraltro, l'aumento dei tassi dell’obesità sta contribuendo, di certo, al crescere di quelli dell’ipertensione. L'AHA ha osservato che le spese mediche a valle della pressione alta, comprendendo anche il suo impatto sulle malattie cardiovascolari e sull’ictus, quasi raddoppiano i costi. Tale dato di fatto va considerato attentamente nella selezione degli obiettivi di cura con interventi precoci per modificare i futuri costi totali delle malattie cardiovascolari.  
            Il CARDIA (Coronary Artery Risk Development in Young Adults), in effetti, è lo studio che ha suggerito la prevenzione delle malattie cardiovascolari quanto prima nella vita. Nel CARDIA, difatti, i livelli dei fattori di rischio in individui di età inferiore ai trenta anni sono risultati predittivi dell’aterosclerosi subclinica quindici anni più tardi. I dati, peraltro, hanno mostrato che anche modesti miglioramenti nei precedenti fattori di rischio producevano un impatto di sostanziale maggiore riduzione più tardi nella vita. Bisogna, quindi, incoraggiare nel campo della salute pubblica politiche più efficaci, basate sulle evidenze in combinazione con i sistemi e gli approcci ambientali.  Bisogna, insomma, applicare tassativamente la prevenzione, la diagnosi precoce e la gestione dei fattori di rischio delle malattie cardiovascolari. Attraverso una combinazione di una migliore prevenzione dei fattori di rischio e del loro trattamento, si potrà ridurre la proiezione dell'impatto sanitario ed economico delle malattie cardiovascolari nel mondo intero.


Mortalità cardiovascolare in diminuzione dall'ultimo decennio

Come riportato da Medscape, l'AHA (American Heart Association) ha indicato una nuova serie di obiettivi da raggiungere entro il 2020 per migliorare del 20% la salute cardiovascolare di tutti gli americani e per ridurre sempre del 20% le morti. Questi obiettivi introducono un nuovo concetto di salute cardiovascolare definita in:

Con questo concetto di salute cardiovascolare l’AHA ha voluto concentrare l’attenzione sulla prevenzione cardiovascolare, promuovendo gli sforzi per la rimozione dei comportamenti errati, non sani e per sollecitare il controllo per tutta la durata della vita dei livelli dei biomarcatori legati alla salute cardiovascolare.  
                  In particolare, Alan S. Go dell’University of California, San Francisco e collaboratori nel loro rapporto hanno riportato che nel 2010 uno su tre decessi degli americani adulti era stato causato da malattie cardiovascolari con il totale di circa 2.150 morti ogni giorno, corrispondenti a un americano morto ogni quaranta secondi (Circulation. 2014;129).
Per altro verso, dal 2000 al 2010 i decessi per le malattie cardiovascolari segnavano una diminuzione del 31% con il 16,7%. di morti annui. Così che, nel 2010 il numero dei decessi per malattie cardiovascolari era 235,5 per 100.000 persone con il peggiore rilievo di 369,2 a carico dei maschi afroamericani. In particolare, uno su sei morti era dovuto a malattia coronarica con circa 380.000 persone nel 2010, corrispondendo a un evento coronarico ogni trentaquattro secondi e una morte coronarica ogni ottantatré secondi. Inoltre, dal 2000 al 2010 anche il numero dei decessi attribuiti all’ictus era diminuito del 35,8%, pur rimanendo sempre preoccupante la quota degli 800.000 nuovi o ricorrenti casi ogni anno.

Nel 2010 l’ictus negli Stati Uniti aveva causato circa un morto ogni diciannove e in media un americano ne era stato colpito ogni quaranta secondi con un decesso ogni quattro minuti.
Secondo l’AHA, sforzi di controllo sull'ipertensione sembrano aver avuto un effetto sostanziale sulla diminuzione della mortalità dell’ictus. Inoltre, il controllo del diabete mellito e dell’ipercolesterolemia e programmi per smettere di fumare, in combinazione con il trattamento dell’ipertensione, sembra anche di aver contribuito al calo della mortalità per l’ictus.
Pur tuttavia, anche se c'è stato un miglioramento nel controllo dell'ipertensione il 33 % degli adulti, o meglio settantotto milioni di americani risultavano affetti dall'ipertensione. Peraltro, la prevalenza negli afro-americani era del 44%. Altro dato preoccupante era che quasi venti milioni di americani erano diabetici, corrispondendo allo 8.3% della popolazione, numeri che dovrebbero essere nettamente superiori se si considera che circa 8,2 milioni non ricevevano la diagnosi di diabete. Per quanto riguarda l’ipercolesterolemia, la stima corrispondeva al 14 % degli americani. Non a caso, il numero di procedure ospedaliere cardiovascolari è risultato in aumento negli Stati Uniti. Tra il 2000, con 5,9 milioni di procedure eseguite, e il 2010, con 7,6 milioni c'è stato un aumento del 28%. Così che il costo totale diretto e indiretto delle malattie cardiovascolari e dell’ictus è stato stimato a più di 315 miliardi dollari, superiore a quello del cancro di $ 201.000.000.000.
            Peraltro, anche Laura C. Maclagan dell’Institutes for Clinical Evaluative Sciences, Toronto – ON e collaboratori per esaminare in modo completo la salute cardiovascolare dei canadesi, hanno sviluppato l’indice di salute CANHEART (Cardiovascular Health in Ambulatory Care Research Team). Gli Autori hanno analizzato le tendenze comportamentali e i fattori per monitorare la salute cardiovascolare della popolazione canadese (CMAJ 2013. DOI:10.1503). Hanno utilizzato per questo i dati del Canadian Community Health Survey 2003-2011 [escluso il 2005] con tassi di risposta del 70% -81 % per esaminare le tendenze della prevalenza dei sei fattori di salute cardiovascolare e dei comportamenti, come fumo, attività fisica, consumo di frutta e verdura, sovrappeso / obesità, diabete, ipertensione, tra gli adulti canadesi di età compresa di venti anni o oltre.

Hanno definito i criteri ideali per ognuno dei sei parametri di salute e il loro numero ha definito l'indice di salute CANHEART per valori corrispondenti a zero per il peggiore e a sei per il migliore o ideale. Un indice CANHEART separato è stato sviluppato per l'età giovanile dai dodici ai diciannove anni. Questo indice ha incluso quattro fattori di salute e comportamenti, quali il fumo, l’attività fisica, il consumo di frutta e verdura e il sovrappeso / obesità. Hanno, quindi, determinato la prevalenza della salute cardiovascolare ideale e il punteggio dell'indice medio di salute CANHEART, stratificato per età, sesso e provincia. Durante il periodo di studio l'attività fisica e il consumo di frutta e verdura negli adulti canadesi erano aumentati, mentre il fumo diminuito. Invece, la prevalenza del sovrappeso / obesità, dell’ipertensione e del diabete era aumentata. Nel 2009-2010 il 9,4% degli adulti canadesi era in salute cardiovascolare ideale, il 53,3% in intermedia con 4-5 fattori o comportamenti ottimali, e il 37,3% in cattive condizioni con 0-3 fattori o comportamenti ottimali. Le donne erano in salute cardiovascolare ideale nel doppio percentuale rispetto agli uomini con il 12,8 vs il 6,1%. Tra i giovani la prevalenza del fumo era diminuita, mentre quella del sovrappeso / obesità era aumentata. Nel 2009-2010 il 16,6% dei giovani canadesi era in salute cardiovascolare ideale, il 33,7% in intermedia con tre fattori o comportamenti ottimali e il 49,7% in cattive condizioni di salute cardiovascolare con 0-2 fattori o comportamenti ottimali.
            In definitiva, meno di uno su dieci adulti e di uno in cinque giovani canadesi erano in salute cardiovascolare ideale nel periodo 2003-2011. Questi dati stimolavano a intensificare e ampliare l’attività di promozione della salute per soddisfare gli obiettivi dell’Heart and Stroke Foundation of Canada mirati a migliorare la salute cardiovascolare dei canadesi del 10% entro il 2020, secondo le misure dell'indice di salute CANHEART.