notiziario 03/2015 N.3 | Inquadramento di rilievo storico epidemiologico-dell'OSA

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Il continuum clinico degli SDB
(sleep-disordered breathing)

Gli esseri umani spendono quasi il 30% della loro vita dormendo e il sonno è ormai considerato un momento di attività dell’organismo necessario per la salute e non di semplice inerzia. A tale proposito, dal 1970 la medicina ha iniziato a riconoscere molte delle conseguenze negative dei disturbi del sonno prodotte dai modelli della respirazione anormale, o dai così detti SDB (sleep-disordered breathing). Essi, che comprendono un ampio spettro eterogeneo di condizioni patologiche, sono ormai riconosciuti associati a notevole morbidità.

Le maggiori categorie dei disordini del sonno

Quelle riguardanti un aumento delle resistenze delle vie aeree superiori includono il russare, l’UARS (upper airway resistance syndrome) e l’OSAHS (obstructive sleep apnea-hypopnea syndrome).
Si tende, per l’appunto, a considerare gli SDB di questo gruppo come uno spettro di malattie in cui la prima manifestazione è definita dalla roncopatia che, in tal caso, non è più considerata una condizione di normalità.

Un paziente non trattato, quindi, può attraversare gradualmente un “continuum!, soprattutto in associazione con l'aumento del peso corporeo e con l'eventuale sviluppo della sindrome di Pickwick o con l’abuso di alcool o di sedativi.

il continuum clinico degli SDB

Questo “continuum” suggerisce che nel corso del tempo l’OSA non affrontata adeguatamente può accelerare la morte attraverso le malattie cardiache, l’ipertensione, l’ictus, l’infarto del miocardio, l’insufficienza e le aritmie cardiache, il diabete, la sindrome metabolica. Possono anche verificarsi, per le manifestazioni della sonnolenza o di diversi effetti sul comportamento, incidenti alla guida dei veicoli o altri professionali e lavorativi.

Elio Luganesi dell’Università di Bologna e collaboratori per primi considerarono e descrissero il passaggio sottile e graduale dal banale russare alla malattia o sindrome dell’apnea ostruttiva del grande russatore (Bull Eur Physiopathol Respir.  1983; 19 (6):590-4).
I segni clinici sospetti di questo processo erano individuati principalmente nell'insorgenza del russare intermittente e nella sonnolenza diurna. A tal proposito, gli Autori proposero una valutazione diagnostica basata sul monitoraggio oggettivo del comportamento respiratorio, come il fragore del russare, la pressione endotoracica e la SaO2 durante il sonno, la tendenza alla sonnolenza diurna tramite il MSLT (multiple sleep latency test). Questi parametri dovevano, infatti, stabilire non solo la presenza di uno stato di malattia, ma anche dare un'indicazione abbastanza precisa dei diversi stadi di essa.
Questi fattori aggiuntivi potevano, in effetti, indurre un russatore a passare all’OSA (obstructive sleep apnea), che l’Autore preferiva chiamare malattia dei grandi russatori. Peraltro, questo sviluppo processuale di eventi ha avuto la conferma da studi sperimentali che hanno mostrato la crescente collassabilità delle vie aeree durante il sonno con la progressione dal normale al russare, all’UARS e all’OSA. Inoltre, la CPAP (continuous positive airway pressure) ha dimostrato di poter trattare efficacemente l’apnea, ma non di ottenere la risoluzione dell’UARS o dei russamenti.

Pertanto, è bene che il medico riconosca come un’entità di continuum questa malattia nei suoi pazienti, i quali, pur traendo efficacia dal trattamento per uno degli aspetti, possono di certo continuare a soffrire per gli altri.

Il russamento notturno

Il russamento costituisce, quindi, uno degli aspetti più comuni degli SDB ed è stato descritto sin dai tempi più antichi della storia. Interviene in genere come rumore generato nelle vie aeree superiori durante il sonno, senza episodi di apnea o d’ipoventilazione durante l'inspirazione, ma anche in espirazione.
Si stima che nella popolazione generale i russatori siano nell’ordine dal 19 al 37% e nella mezza età più del 50%. I maschi sono più colpiti delle femmine, probabilmente per le differenze dell’anatomia e della funzione faringea, dell’assetto ormonale, dei loro effetti sui muscoli delle vie aeree superiori e della distribuzione del grasso corporeo.

Premesso che ogni porzione membranosa senza un supporto cartilagineo, compresi il palato molle, l’ugola e le pareti della faringe, può produrre il rumore del russamento, questo deriva dai cambiamenti della configurazione e delle proprietà delle vie aeree superiori durante il sonno. Può verificarsi in qualsiasi fase del sonno, ma si produce più comunemente durante le fasi due, tre e quattro per effetto  della diversa elastance delle vie aeree e del tono muscolare, legati all’attività simpatica e all’output neurale sulle pareti delle vie aeree superiori durante la fase REM (rapid eye movement) e non-REM.Costituiscono suoi fattori predisponenti: l‘età media o avanzata, l'obesità, l’aumento del peso corporeo, la postura del corpo, l'uso di alcool e di rilassanti muscolari, la retrognazia, l’ostruzione nasale, lo sviluppo di asma e il fumo. Sino a poco tempo fa il russare era considerato un fastidio sociale senza conseguenze cliniche per il protagonista, ma solo per il compagno di letto. Dopo la piena definizione della sindrome dell’apnea del sonno, il russare ha cominciato a essere studiato come un importante sintomo clinico. Pur tuttavia, anche se di gran lunga più comune rispetto all’OSA, rappresenta di solito il motivo principale per cui il paziente si rivolge al suo medico, soprattutto per suggerimento del convivente e senza avere necessariamente l’apnea del sonno. Un russatore primario, comunque, è di solito asintomatico e non soffre, quindi, delle malattie cardiovascolari. A volte si lamenta di una sensazione di stanchezza al risveglio, di un’eccessiva sonnolenza durante il giorno, di uno scarso rendimento al lavoro e di difficoltà della concentrazione.

In tali casi è utile un approfondimento dello studio clinico con un’anamnesi più accurata, soprattutto per evidenziare i fattori di rischio. Potrebbe anche essere utile eseguire indagini, come la polisonnografia e l’Epworth Sleepiness Scale, per valutare il livello della sonnolenza diurna e anche distinguere il russamento primario dall’OSAHS. Altre indagini potrebbero essere dirimenti nell’escludere la presenza di particolari malattie, come l’acromegalia e l’ipotiroidismo.

L’UARS (Upper Airway Resistance Syndrome

L’UARS, o sindrome da resistenza delle vie aeree superiori, occupa una posizione intermedia tra gli estremi definiti da una parte dal russamento e dall’altra dall’OSA. È caratterizzata dai risvegli ripetuti notturni a causa della resistenza al flusso nelle vie aeree superiori e dalla consequenziale eccessiva sonnolenza e stanchezza diurna. Per la sua identificazione, non è indispensabile il russamento, pur essendo presente con i brevi risvegli.
Gli eventi UARS sono in genere brevi, da uno a tre respiri, e sono denominati RERA (Respiratory Effort Related Arousal).
Il RERA consiste, invero, in una limitazione del flusso aereo con progressivo incremento dello sforzo respiratorio, seguito da un rapido sblocco e da ricadute, dimostrabili a livello dell’elettroencefalogramma (arousal). Tutto ciò, però, non soddisfa i criteri per un’ipopnea o un’apnea. Nell’UARS, a differenza dell’OSAHS, non vi è alcuna evidenza della desaturazione dell’ossigeno. I criteri del riconoscimento di un RERA richiedono un modello di progressivo aumento della pressione negativa esofagea che termina con un cambiamento improvviso della pressione e un risveglio dal sonno. Inoltre, l'evento deve durare dieci secondi o più. Pur tuttavia, la manometria esofagea è una metodologia poco pratica e, di rado, sopportata dai pazienti. Un modo affidabile e valido di misura consiste, invece, nell'uso di una cannula nasale e di un trasduttore di pressione. In tal modo, i risultati ottenuti sono affidabili. Peraltro, nei riguardi della diagnosi dell’OSA, questo metodo non differisce in maniera clinicamente significativa dalla manometria esofagea. Con entrambi i metodi, difatti, il RDI (respiratory disturbance index) è maggiore di cinque e la sua soglia di normalità è maggiore di quindici.

tavola sinottica sugli SDB

Definizione ed epidemiologia delle apnee notturne

L’apnea, dopo l'insonnia, è la seconda patologia del sonno per frequenza e costituisce la forma più comune degli SDB, essendo correntemente riconosciuta come una condizione prevalente con gravi conseguenze negative sulla salute.
L’apnea, termine derivato dal greco e che significa letteralmente assenza del respiro, si distingue in tre tipi:

  • L’OSA (obstructive sleep apnea).
  • La CSA (central sleep apnea).
  • La forma mista in cui i pazienti interrompono la respirazione ripetutamente durante il sonno.

L’OSA è la più comune forma dei tre tipi, costituendo più dell’85% di tutti i casi di SBD. Essa è definita come l’intermittente interruzione del respiro attraverso il naso e la bocca mentre si dorme e per convenzione deve durare almeno dieci secondi, potendo estendersi sino a trenta o anche più. Deve associarsi anche a una desaturazione dell’O2 del sangue, uguale o superiore al 4%. Più precisamente l’OSA è caratterizzata dall’ostruzione parziale o completa delle vie aeree superiori, in particolare dell’orofaringe, soprattutto posteriore sia alto sia basso, in concomitanza di un continuo sforzo respiratorio inefficace a permettere la dovuta escursione toracica. Perché l'apnea si possa interrompere e il passaggio dell'aria riprendere, permettendo la sopravvivenza del paziente, è necessario il cosiddetto micro risveglio inconsapevole, anche di pochissimi secondi, spesso inavvertito a livello della coscienza. Di solito, fra un’apnea e la successiva si producono rumori roboanti da russamento e spesso il paziente può avvertire una sensazione di reale soffocamento. Inoltre, i ripetuti micro risvegli determinano la frammentazione del sonno con perdita della sua proprietà ristoratrice, comportando l’eccessiva sonnolenza del giorno dopo.
Nel caso del CSA, invece, le vie aeree non sono bloccate. È il cervello che non riesce a inviare i dovuti segnali ai muscoli respiratori, per cui s’instaura un’interruzione dell’impulso neurale con mancanza dello sforzo respiratorio. Vi sono, in definitiva, l’assenza dei movimenti toraco-addominali e, quindi, l’impossibilità della cassa toracica a espandersi.

termini e definizioni relativi all'OSA

Nella forma mista, combinazione delle due precedenti, il flusso aereo cessa senza sforzo respiratorio iniziale e con un progressivo sforzo respiratorio conclusivo. La traccia toraco-addominale, quindi, gradualmente aumenta di ampiezza fino a essere normale una volta che si riprenda il flusso oro-nasale al termine dell’apnea.
L’ipopnea indica, invece per suo conto, una riduzione del 30-50% del flusso respiratorio di aria per almeno dieci secondi, determinando una desaturazione arteriosa di ossigeno del 2-4%. In genere, le ipoapnee ostruttive sono caratterizzate da una diminuzione del flusso d'aria maggiore o uguale al 30% rispetto al basale e della durata di almeno dieci secondi. Anche l’ipopnea ostruttiva, distinguendosi dall’apnea centrale, si associa al continuo sforzo respiratorio.
Precursore nella maggior parte dei soggetti con sleep apnea è il russamento o roncopatia, condizione caratterizzata dal rumore prevalentemente inspiratorio durante il sonno, determinato dalla vibrazione del palato molle e dei pilastri posteriori delle fauci.

È bene ricordare che da qualche tempo le più importanti istituzioni scientifiche americane, europee e australiane hanno formulato le raccomandazioni per la classificazione univoca dei disordini del sonno legati alla respirazione. Insieme, quindi, all’OSAHS (obstructive sleep apnea hypopnea syndrome) hanno riconosciuto le due sindromi con la respirazione non ostruttiva, ossia la CSA e la sindrome con respiro di Cheyne-Stokes. La comune esperienza clinica ha portato, però, a verificare in alcuni pazienti la presenza dell’apnea mista e in altri la forma ostruttiva che sembra cambiare per eventi centrali in rapporto ad alterazioni della posizione del corpo o dell'applicazione della pressione positiva.
Inoltre, la predominanza delle apnee ostruttive riguarda il sonno REM (rapid eye movement), la posizione supina del coricarsi e le prime ore della notte, mentre quella delle apnee centrali il NREM (non rapid eye movement), la posizione laterale del dormire e le ore tardive della notte.

In considerazione che una sindrome costituisce un gruppo di segni e sintomi che nel loro insieme caratterizzano una particolare condizione patologica, Gilmartin GS della Beth Israel Deaconess Medical Center, Boston, Massachusetts - USA e collaboratori hanno per primi definito complessa una particolare entità che si riferiva nello stesso paziente a disturbi respiratori nel sonno comprendenti problematiche sia ostruttive ripetitive e sia eventi centrali non ipercapnici (Curr Opin Pulm Med. 2005 Nov;11 (6):485-93).
Gli Autori affermavano, infatti, che la complessità dei disturbi respiratori nel sonno corrispondeva a una forma distinta di apnea con caratteristiche riconoscibili e presenti senza e più spesso peggiorata dal trattamento con la pressione positiva delle vie aeree. Contribuivano alla sua determinazione, secondo gli studiosi, sia la stabilità in stato di riposo e sia il comportamento del sistema di controllo respiratorio a essa stessa.

In definitiva, si è convenuto a tutto oggi, per opportunità di semplificazione e omogeneità di studio in campo scientifico, di definire questo tipo complesso di disturbi respiratori nel sonno con il termine di CompSAS (complex sleep apnea syndrome).

Timothy I. Morgenthaler della Mayo Clinic Sleep Disorders Center, Rochester, MN e collaboratori hanno cercato di determinare la prevalenza della CompSAS, ipotizzando che le caratteristiche cliniche dei pazienti fossero più vicine a quelli con CSA che a quelli con OSAHS (SLEEP 2006;29 (9): 1203-1209).
Gli Autori arruolavano, così, duecento ventitré adulti più venti pazienti consecutivi con diagnosi di CSA.
La prevalenza della CompSAS, dell’OSAHS e della CSA nel campione di un mese era del 15%, dell’84% e dello 0,4% rispettivamente. I pazienti con CompSAS differivano nel sesso da quelli con OSAHS (uomini 81% vs 60%, p <.05), ma erano altrimenti simili nel sonno e nella storia cardiovascolare. Inoltre, i pazienti con CompSAS dichiaravano minori lamentele nel gestire l’insonnia (32% vs 79%; p <.05), rispetto a quelli con CSA, non dimostrando per il resto condizioni cliniche significativamente diverse. Gli indici apnea-ipopnea diagnostici per i pazienti con sindrome complessa dell’apnea del sonno, dell’OSAHS e della CSA erano rispettivamente 32.3 ± 26.8, 20.6 ± 23.7 e 38.3 ± 36.2, (p = .005). La pressione positiva continua sopprimeva l’ostruzione respiratoria, ma il residuale indice di apnea-ipopnea rimaneva elevato nella CompSAS e nella CSA, essendo nella prima pari a 21.7 ± 18.6 e nella seconda a 32,9 ± 30,8 vs i 2.14 ± 3.14 dell’OSAHS; p <.001).

In conclusione, i pazienti con sindrome da apnea del sonno complessa si mostravano, finché non si applicava la pressione continua positiva delle vie aeree, per lo più simili a quelli con OSAHS.

Juan Wang dell’University General Hospital, Tianjin, China e collaboratori hanno riportato una revisione sulle caratteristiche della CompSAS (Complex sleep apnea syndrome), come forma distinta dei disturbi respiratori nel sonno caratterizzata da CSA in pazienti con OSA durante il trattamento iniziale con CPAP (Patient Preference and Adherence 2013:7 633–641).

Gli Autori riferivano che i meccanismi che la producevano non erano ancora ben noti. Era, inoltre, ancora controverso il dato sulla sua prevalenza e sul suo significato clinico. In effetti, i pazienti con CompSAS presentavano caratteristiche cliniche simili a quelli con OSA, ma mostravano modelli di respirazione come la CSA. Nella maggior parte dei casi di CompSAS, gli eventi CSA durante l’iniziale CPAP erano transitori e potevano poi scomparire dopo l’uso continuato per 4~8 settimane o anche di più. Tuttavia, si poteva evitare la scarsa esperienza iniziale dei pazienti con CompSAS con la CPAP e la continuazione della terapia poteva spesso causare la non aderenza a essa.

prevalenza della compSAS

L’ASV (adaptive servo-ventilation), dispositivo automatico minutato della ventilazione con analisi del respiro e regolazione consequenziale delle impostazioni, era il trattamento di scelta per i malati. Questo congegno forniva una pressione minima necessaria per mantenere la pervietà delle vie aeree e anche per ridurre l'iperventilazione ciclica e le apnee centrali.
Il possibile meccanismo alla base della CompSAS era ritenuto l’alterata chemiosensibilità di controllo della ventilazione durante il sonno, con conseguenti apnee centrali o con respirazione periodica aggravata dalla CPAP, utilizzata per il trattamento dei disturbi ostruttivi respiratori. Anche con un controllo adeguato dei disturbi ostruttivi respiratori nel sonno, comunque, le apnee centrali e le ipopnee potevano causare desaturazioni ossiemoglobiniche e frammentazioni del sonno stesso.

Per loro conto, Tomasz J. Kuźniar della North Shore University Health System, USA e collaboratori, utilizzando il database dei pazienti con CompSAS tra lo 01/11/2006 e il 30/06/2011 presso il North Shore University Health System, hanno eseguito una ricerca retrospettiva, esaminandone la prevalenza dei fattori di rischio e definendone le altre caratteristiche cliniche (Sleep Breath (2013) 17:1209–1214).

le comorbidità di 150 pazienti con compSAS

A tal fine, gli Autori consideravano la definizione della sindrome che comportava l’inclusione di quei pazienti con OSA che sviluppavano l’apnea centrale, previa restituzione della pervietà delle vie aeree. La presenza dell’ipertensione arteriosa, della malattia coronarica e dello scompenso cardiaco erano, peraltro, stati proposti come fattori di rischio per la CompSAS tra i pazienti con OSA.
S’identificavano, così centocinquanta pazienti con CompSAS, di cui il 64,7%, pari a novantasette, aveva almeno un fattore di rischio per CompSAS, mentre il 35,3%, pari a cinquantatré, ne era esente. Le prevalenze della bassa frazione di eiezione ventricolare sinistra e l’ipocapnia erano basse. Gli interventi terapeutici consistevano in numerosi trattamenti con pressione positiva delle vie aeree e, soprattutto, con ASV. Centodieci pazienti, il 73,3%, rispettavano la terapia consigliata, traendone un miglioramento clinico.

In conclusione, sebbene la maggior parte dei pazienti con CompSAS avesse comorbidità cardiache, circa un terzo prima dei test del sonno non presentava fattori di rischio di CompSAS.

Pur tuttavia, l’apnea di tipo ostruttivo, che caratterizza la sindrome delle apnee ostruttive (OSAS), costituisce il disturbo respiratorio più frequente durante il sonno. Essa ha un’incidenza del 5% circa.  La sua prevalenza, in caso di AHI maggiore di cinque e senza sintomi, corrisponde al 24% nei maschi e al 9% nelle femmine e in presenza sonnolenza al quattro e al 2% rispettivamente. Il gran numero di studi sino a ora eseguiti, però, non ha potuto stimare la sua prevalenza reale nella popolazione generale per la quantità importante dei casi non riconosciuti. Si conviene, infatti, che fino allo 80% dei pazienti della sua forma moderata o grave non ottiene la diagnosi, anche nelle condizioni di un più adeguato accesso all’assistenza sanitaria. Ancora più sorprendente è il numero delle condizioni di salute, sempre non riconosciute, connesse con questa malattia. Com’è noto, queste vicende comprendono la diminuita funzione neurocognitiva, l’aumento del rischio d’incidenti della strada, la riduzione della qualità della vita, l’ipertensione, l’insulino-resistenza e le malattie cardiovascolari.
Molti studi sulle popolazioni di diverse aree geografiche e di gruppi etnici, comunque, hanno stabilito un’alta prevalenza dell’OSA, tanto da raffigurarla come una vera e propria epidemia. Essa, peraltro, si manifesta strettamente legata all’epidemia dell'obesità che, com’è noto, costituisce a livello globale un'importante condizione di salute pubblica. L'obesità, in effetti, è un ben riconosciuto fattore di rischio per una varietà di condizioni mediche, compresa l’OSA. Di tutte le persone con apnea ostruttiva del sonno, si stima, in effetti, che il 60-70% è in sovrappeso o con obesità franca.
L'invecchiamento è, di certo, un altro importante fattore di rischio per l’OSA. La sua prevalenza aumenta, infatti, di due o tre volte nelle persone anziane di età superiore ai sessantacinque anni, rispetto ai soggetti tra i trenta e i sessantaquattro. Arriva, peraltro, a un tasso stimato del 65% in un campione di persone di età superiore ai sessantacinque. Dopo questa età, senza altre disparità relative, si nota, però, una regolare continuità nell'incidenza. Una spiegazione di questo plateau è il relativo aumento della mortalità nelle persone di questo gruppo.
L’OSA negli adulti è sempre descritta con maggiore frequenza negli uomini rispetto alle donne prima della menopausa con un rapporto di circa due o tre a uno probabilmente a causa delle influenze ormonali. Dopo la menopausa, l’incidenza della malattia raggiunge la parità tra maschi e femmine. In effetti, si rileva almeno un aumento triplo nel rischio tra le donne prima e dopo questo particolare periodo della loro vita, ridotto, peraltro, in caso di terapia sostitutiva ormonale. Inoltre, non sembra esserci alcuna differenza nella prevalenza di genere prima della pubertà.
La prevalenza, inoltre, è generalmente indicata nei diversi paesi dal 3 al 7 per cento per i primi e dal 2 al cinque per le seconde.
Per quanto riguarda la razza, non si sono rilevate particolari differenze, soprattutto se si procede a correzione per l’indice della massa corporea. In alcuni studi la sua prevalenza è stata riscontrata maggiore nella razza africana e asiatica, probabilmente in rapporto alla particolare conformazione del massiccio facciale.

A tale proposito, Aibek E della Kyrgyz State Medical Academy Kyrgyzstan e collaboratori nella loro revisione sistematica di ventiquattro articoli della letteratura dal 1993 al maggio 2012 con 47.957 soggetti asiatici, di cui 26.042 uomini e 21.915 donne, riscontravano una prevalenza dell’OSA che variava dal 3,7 al 97,3% (BMC Pulmonary Medicine 2013, 13:10).
Il genere maschile, l'età avanzata, la BMI e il rapporto vita-fianchi alto, la maggiore circonferenza del collo, l'ipertensione arteriosa, il fumo, il russare e la sonnolenza diurna erano tutti associati con l’OSA. La dimensione del campione, la differenza tra le popolazioni studiate e il fatto che alcune ricerche avevano incluso pazienti con un'alta probabilità pre-test dell’OSA potevano, però, spiegare la differenza nei tassi di prevalenza.

In conclusione, comunque, questa revisione sistematica metteva in evidenza la mancanza di dati relativi alla prevalenza dell’OSA negli asiatici e pochi studi fornivano una stima approssimativa del carico della malattia in alcune comunità.

Pur tuttavia e in via definitiva, l’OSA interessa maggiormente i sottogruppi in sovrappeso o obesi e gli anziani. Il suo picco di comparsa è intorno ai cinquanta anni e dopo i sessantacinque si rileva senza sintomi nel 70% degli uomini e nel 56% delle donne. Nell’uomo, peraltro, presenta una maggiore incidenza tra i cinquanta e i sessanta anni, mentre nelle donne nel terzo trimestre di gravidanza e dopo la menopausa.
In effetti, il testosterone, con il modulare la muscolatura delle vie aeree superiori, determina una maggiore gravità dei disturbi respiratori sonno-correlati.  In un sottogruppo di pazienti con grave apnea ostruttiva del sonno, gli uomini superavano le donne di ben otto volte. In genere, negli adulti la prevalenza dei maschi di età media supera di tre volte quella delle femmine in cui le apnee tendono a raggrupparsi durante il sonno REM, mentre negli uomini predominano nella posizione supina. Nessuna differenza di sesso esiste, invece prima della pubertà e dopo la menopausa. Difatti, le differenze di genere diventano impercettibili probabilmente per la diminuzione dei livelli del progesterone.

Karl A. Franklin dell’Umeå University, Sweden e collaboratori, traendo spunto proprio dalla considerazione dell’apnea ostruttiva del sonno, come malattia principalmente maschile, hanno voluto determinare la sua frequenza tra le donne nella popolazione generale (ERJ March 1, 2013 vol. 41 no. 3 610-615).
Gli Autori hanno, quindi, arruolato 400 donne di un campione casuale di popolazione di età compresa tra i venti e i settanta anni, invitandole a rispondere a un questionario e a eseguire la polisonnografia notturna.

prevalenza in % dell'OSAS lieve, moderata e grave in diversi sottogruppi di popolazione

L’OSA con indice apnea / ipopnea superiore o uguale a cinque si rilevava nel 50% (IC 95%: 45-55%) delle partecipanti.
Essa era correlata all'età, all'obesità e all'ipertensione, ma non alla sonnolenza diurna. La forma grave, con AHI maggiore o uguale a trenta, era presente nel 14% (IC 95%: 8,1-21%) delle femmine di età compresa tra i cinquantacinque e i settanta anni. Si rilevava, invece, nel 31% (IC 95%: 12-50%) delle obese con un indice di massa corporea uguale o superiore a 30 kg m2 nell’età dai cinquantacinque ai settanta anni. L’apnea del sonno, con sonnolenza diurna e quella con ipertensione, erano osservate come due diversi fenotipi dell’OSA.
In conclusione, l’OSA si verificava nel 50% delle femmine di età compresa tra i venti e i settanta anni e nel 20% era moderata, mentre nel 6% era grave. Inoltre, l’apnea del sonno nelle donne era legata all'età, all'obesità e all'ipertensione, ma non alla sonnolenza diurna.

Anche per quanto riguarda età pediatrica, l’apnea ostruttiva rappresenta uno dei più comuni e gravi disturbi del sonno. Nei nati prematuri le probabilità della malattia, rispetto ai nati a termine, sono state rilevate da tre a cinque volte maggiori. Essa, comunque, dimostra il suo picco d’incidenza tra i due e gli otto anni, età corrispondente al momento in cui le tonsille e le adenoidi sono di dimensioni sproporzionate in rapporto alle vie aeree superiori. In generale, comunque, i risultati dei pochi studi epidemiologici hanno riportato che la prevalenza dei disturbi respiratori del sonno in età prescolare e scolare varia dal 3.2% al 12,1% per il russamento primario, mentre l’incidenza dell’OSA dall’1,1 al 2,9%.
La prevalenza abituale del russamento nei bambini in età scolare è stimata intorno al 12-20%.

L. Brunetti dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, Italy e collaboratori, per determinare la prevalenza di disturbi respiratori legati al sonno in un'ampia coorte di bambini in età scolare e prescolare dell’Italia meridionale, hanno progettato uno studio di prevalenza trasversale in due fasi:
1) screening d’identificazione in una coorte di 1.207 soggetti dei bambini sintomatici da un questionario autosomministrato,
2) definizione strumentale dei disturbi legati al sonno (Chest. 2001 Dec;120 (6):1930-5).
Le femmine erano 612 (il 51%) e i maschi 595. L’età media era di 7,3 anni con range dai tre agli undici anni. Sulla base delle risposte, i bambini erano classificati in tre gruppi:
1) non russatori,
2) russatori occasionali,
3) russatori abituali.
Tutti i russatori abituali erano sottoposti a una valutazione polisonnografica domiciliare e quelli con un indice di desaturazione di ossigeno maggiore di due erano avviati allo NPM (nocturnal polygraphic monitoring). I bambini con un indice di apnea / ipopnea maggiore di tre ricevevano una diagnosi di OSAS (obstructive sleep apnea syndrome).
Su un totale di 895 questionari (74,2%) restituiti, 710 bambini (il 79,3%) erano identificati come non russatori, 141 (il 15,8%) russatori occasionali e 44 (il 4,9%) russatori abituali. La percentuale dei maschi russatori abituali era superiore a quella delle bambine (6,1% vs 3,7%, rispettivamente; p <0,09). L’OSAS era diagnosticata in nove bambini con la NPM.
Il limite più basso di prevalenza dell’OSAS nell'infanzia era l'1% (intervallo di confidenza [IC] 95%: 0,8 e 1,2). Se si aggiungevano i cinque bambini che avevano subito l’adenoidectomia e / o la tonsillectomia a causa del peggioramento delle condizioni cliniche e i due bambini che avevano dimostrato di avere l’OSAS con l’ossimetria domiciliare, allora la prevalenza saliva all’1,8% (limite superiore della prevalenza; IC 95%: 1,6-2,0).

Lo stesso gruppo di studio della L. Brunetti, in virtù dell’associazione tra l’obesità e i disturbi respiratori del sonno, tradizionalmente descritta come un problema negli adulti ma in realtà con origini nell'infanzia, ha cercato una verifica in un'ampia coorte di scolari e di età prescolare nel Sud dell’Italia (Chest 02/2010; 137 (5):1085-90. DOI:10.1378/chest.09-1529 · 7.13).
Si esaminavano, così, 1.207 bambini, di cui 612 femmine e 595 maschi di età media di 7,3 anni con questionari auto-somministrati. Secondo le risposte, i soggetti erano divisi in tre gruppi:

  • non russatori (NS),
  • russatori occasionali (OS),
  • russatori abituali (SA).

Tutti gli HS, che anche non erano riusciti a effettuare uno studio ossimetrico domiciliare, erano avviati al monitoraggio polisonnografico per la definizione degli SDB. La BMI era calcolata in base alle tabelle di crescita italiane. Un totale di 809 soggetti (67.0%) erano eleggibili per lo studio. Di essi, quarantaquattro ​​ (il 5,4%) erano classificati come HS, 138 (il 17,0%) come OS e 627 (77,5%), come NS. Quattordici (l’1,7%) ricevevano la diagnosi di OSAS. Sessantaquattro (il 7,9%) erano definiti obesi, 121 (il 14,9%) in sovrappeso e 624 (il 77,2%) con peso normale. La frequenza di HS era significativamente più alta negli obesi rispetto ai sovrappeso e normopeso (12,5% vs 5,8% vs 4,6%, rispettivamente; P = .02). La frequenza dell’OSAS era dell'1,6% nel gruppo con peso normale, dell’1.6% nel sovrappeso e del 3,1% nei soggetti obesi (P = non significativo).

In conclusione, i risultati dell’ampio campione di bambini italiani suggerivano che l'obesità era peculiarmente associata al russamento.

A tale proposito, la DS (Down Sindrome), trisomia del cromosoma 21, è una condizione in cui alcune caratteristiche facciali si combinano insieme per rendere più probabile la comparsa dell’OSAS. La sindrome, in effetti, è un disordine dello sviluppo neurologico caratterizzato da molteplici comorbidità. I disturbi del sonno sono comuni tra i bambini con malattia e possono causare un grave disagio significativo per le famiglie. A tale proposito, le caratteristiche specifiche della sindrome sono, difatti: il tono muscolare relativamente basso, la rinofaringe stretta con lingua larga, l'obesità, le tonsille e le adenoidi ipertrofiche. Per questi motivi l’OSA interviene più frequentemente nel mongolismo rispetto al resto della popolazione.

A tale proposito, de Miguel-Díez J dell’Universidad Complutense de Madrid, Spain e collaboratori hanno eseguito uno studio prospettico in un gruppo non selezionato di 108 bambini con sindrome di Down di età di 7,9 [4,5] anni con range da uno ai diciotto anni, per valutare la prevalenza dei disturbi respiratori nel sonno e per determinarne i fattori predisponenti significativi, indipendentemente dell'esistenza o meno di segni clinici suggestivi dei disturbi respiratori, (Sleep. 2003 Dec 15;26 (8):1006-9).
Tutti i partecipanti durante la notte in ospedale erano sottoposti all’esame consueto anamnestico e fisico clinico e anche alla radiografia laterale della rinofaringe, all’esame poligrafico cardiorespiratorio con un dispositivo portatile ambulatoriale. Un indice di apnea-ipopnea di almeno tre era ritenuto necessario per la definizione della presenza dei disturbi respiratori nel sonno.
La prevalenza degli SBD era 54,6%, significativamente più alta nei maschi (64,7%) che nelle femmine (38,5%) (P <.05). Il gruppo con questi disturbi era significativamente composto di elementi più giovani (6,4 [3,9] anni), rispetto a quelli con le registrazioni polisonnografiche normali (9,6 [4,6] anni) (P <.001). Nell'analisi multivariata, l'età inferiore agli otto anni (odds ratio [OR]= 3,36, intervallo di confidenza [IC]95%= 1.40, 8.06), il sesso maschile (OR= 3.32; IC 95%= 1.32, 8.12) e l’iperplasia tonsillare (OR= 5.24, IC 95%= 1.52, 19.03) erano significativamente associati con i disturbi respiratori nel sonno. Di converso, l’indice di massa corporea, l’iperplasia adenoidea, la precedente tonsillectomia o adenoidectomia, la malattia cardiaca congenita, la malocclusione dentaria e la macroglossia non ne influenzavano la prevalenza.

In conclusione, la prevalenza dei disturbi respiratori nel sonno nei bambini, soprattutto maschi, con sindrome di Down era molto alta, risultando poco più del 50%. L’iperplasia tonsillare, inoltre, poteva giocare un ruolo nella fisiopatologia, mentre l’iperplasia adenoidea, l'obesità e le malattie cardiache congenite non si dimostravano importanti fattori di rischio.

Sally R. Shott dell’University of Cincinnati, Ohio – USA e collaboratori nel loro studio prospettico di coorte di cinque anni su sessantacinque bambini con sindrome di Down con valutazione dei problemi otorinolaringoiatrici, osservavano che la PSG (polysomnography) si rivelava anormale, come da sindrome dell’apnea ostruttiva del sonno, nel 57% dei casi (Arch Otolaryngol Head Neck Surg 132 (4): 432-6 (2006 April).
Includendo anche un indice di risveglio elevato, i risultati anormali salivano all’80%. Pur tuttavia, il sessantanove per cento dei genitori segnalava l’assenza dei problemi del sonno nei loro figli, anche se ben il 54% delle PSG in questo gruppo era risultato anormale. Di quei genitori che avevano segnalato i problemi del sonno nei loro figli, solo il 36% aveva avuto risultati anormali nello studio.

In conclusione, a causa dell’elevata incidenza della sindrome dell’apnea ostruttiva del sonno nei bambini con sindrome di Down e della scarsa correlazione tra le impressioni dei genitori dei problemi con i risultati della PSG, gli Autori ritenevano necessaria la raccomandazione dell’esame di base della PSG a tre o quattro anni in tutti i bambini malati.

Dal loro canto, Hoffmire CA del Department of Veteran Affairs, Canandaigua, NY e collaboratori hanno voluto descrivere il comportamento del sonno nei bambini con DS (Down Syndrome) e il suo rapporto con le condizioni mediche (J Clin Sleep Med. 2014 Apr 15;10 (4):411-9).
Gli Autori hanno, così, condotto uno studio trasversale nel periodo 2009-2011 sui disturbi del sonno su 107 bambini e adolescenti con DS dai sette ai diciassette anni di età. Si valutavano i problemi di sonno utilizzando i rapporti delle badanti su due convalidati strumenti di screening: il CSHQ (Childhood Sleep Habits Questionnaire) e lo PSQ (Pediatric Sleep Questionnaire). La prevalenza dei disturbi del sonno era confrontata nei bambini con e senza comorbidità importanti, utilizzando la regressione di Poisson modificata con gli errori robusti standard.
Il 65% dei bambini si mostrava positivo sul CSHQ per significativi problemi del sonno nel mese precedente.  I loro genitori, però, spesso non avevano segnalato questi disturbi. Il 46% era indicato positivo sullo PSQ per problemi respiratori correlati al sonno e il 21% per disturbi del movimento sempre correlati al sonno. I bambini con asma, autismo e una storia di malattie alle adenoidi e alle tonsille avevano problemi più attuali, rispetto ai bambini senza queste patologie.

In conclusione, gli Autori affermavano che i loro risultati suggerivano che i problemi del sonno potevano essere importanti nei bambini con DS, ma sottostimati. Essi, peraltro, sembravano essere correlati con le comorbidità prevalenti e potevano anche fornire una traccia per implementare le linee guida correnti.

In definitiva, comunque, i dati della prevalenza dell’OSA sono gravati da una serie di limitazioni metodologiche insite nelle differenze degli schemi del campionamento dei pazienti, nelle disparità nelle tecniche utilizzate per il monitoraggio del sonno e della respirazione e nella variabilità delle stesse definizioni. Queste condizioni possono realmente alterare le analisi di prevalenza della malattia e potenzialmente precludere la formazione di una stima globale di vero peso della forma sintomatica e occulta.
Negli Stati Uniti i dati della coorte Wisconsin indicavano la prevalenza in persone di età tra i trenta e i sessanta anni dal 9 al 24% per gli uomini e dal 4 al 9% per le donne. Dati analoghi erano stati riscontrati in uno studio epidemiologico in Pennsylvania. D’altro canto, la prevalenza dell’OSAHS in popolazioni non-americane è stata studiata prevalentemente negli uomini, risultando corrispondente allo 0,3% in Inghilterra e al 3% negli uomini australiani.  

L’OSA, quindi, è molto più frequente di quanto riconosciuto nell’accezione comune e Young T. e coll. dell’University of Wisconsin-Madison - USA in uno studio di coorte hanno rilevato in prima diagnosi la forma da moderata a grave nel 93% delle donne e nell'82% degli uomini in 4.925 adulti (Sleep. 1997 Sep;20 (9): 705-6).

In seguito lo stesso gruppo di studio, proprio ribadendo l'alta prevalenza e l’ampio spettro di gravità dell’apnea ostruttiva del sonno non diagnosticata, come derivati dalla Wisconsin Sleep Cohort, suggeriva che i fattori importanti della progressione della malattia comprendevano l’obesità, l’età avanzata e la presenza del russamento (Am J Respir Crit Care Med. 2002 May 1; 165 (9):1217-39).

indice medio di apnea-ipopnea al basale e incremento a 8 anni in 202 partecipanti al Wisconsin Sleep Cohort

In età pediatrica, invece, gli studi su larga scala della prevalenza dei disturbi respiratori del sonno sono carenti. Si stima, comunque, che il 2-3% della popolazione pediatrica sia affetto da OSAS e che una percentuale ben più alta del 12% presenti un abituale russamento. In effetti, nel punto non ben definito della linea che unisce questi due estremi della stessa condizione, si colloca il confine tra la normalità e la patologia.
            Guilleminault C. e collaboratori della Stanford University Sleep Disorders Program, Stanfordle, considerando anche l’attuale progressivo aumento dell'epidemia dell’obesità infantile, hanno eseguito uno studio, avanzando sfiducia nei confronti della loro stima nella popolazione pediatrica, riportata dal 5 al 6% (Arch Pediatr Adolesc Med. 2005 Aug; 159 (8):775-85).
Gli Autori hanno esaminato per questo gli articoli pubblicati in letteratura in materia di OSAS pediatrica, rilevando che, nonostante il particolare impatto sulla salute pubblica, erano comunemente ignorate le anomalie ortodontiche e cranio-facciali legate alla malattia. Inoltre, una particolare area di controversia racchiudeva l'uso di un indice del disturbo respiratorio per la definizione delle varie anormalità stesse. In effetti, le apnee e le ipopnee non erano le uniche segnalate dalla polisonnografia. Inoltre, gli Autori facevano notare che l’adenotonsillectomia era spesso considerata il trattamento di scelta per l’OSAS pediatrica, pur in assenza di un giudizio di efficacia differenziale nei singoli casi. Peraltro, il ritrovamento isolato di tonsille piccole non era sufficiente a escludere la necessità di un intervento chirurgico.
La pressione continua positiva delle vie aeree per via nasale poteva, comunque, essere l'opzione di trattamento efficace, ma comportava la cooperazione e la formazione del bambino e della famiglia. Si rilevava anche che il trattamento ortodontico, il più delle volte trascurato, costituiva, invece, una valida alternativa e un’integrazione all’adenotonsillectomia.

In conclusione, gli Autori con il loro studio rilevavano che molti disturbi e sindromi erano associati all’OSAS pediatrica. Pertanto, tale diagnosi doveva essere considerata nei pazienti con presenza di tali sintomi e sindromi.
Da notare che in caso di malattie neuromuscolari, come la distrofia muscolare di Duchenne (DMD), la sclerosi laterale amiotrofica, la sindrome postpoliomielitica e la miastenia grave, l’incidenza tende ad aumentare. Inoltre, la prevalenza negli anziani mostra tassi significativamente più elevati, essendo segnalata per gli uomini anche intorno al 28-67% e nelle donne anziane intorno al 20-54%. In un sottogruppo di pazienti con grave OSA, gli uomini presentavano una frequenza di otto volte maggiore. Nei bambini, come precedentemente detto, il tasso di prevalenza è stimato intorno al 5-6%.

Sean M. Caples della Mayo Clinic, Rochester, Minnesota e collaboratori nella loro recensione sull’OSA già ponevano, peraltro, l’accento sulle disparità dei valori della prevalenza della malattia descritta in letteratura (Ann Intern Med. 2005;142:187-197).
La migliore evidenza nei meriti al tempo derivava dall’esame dei dati aggregati di quattro grandi ricerche sulla prevalenza dell’OSA che avevano usato una metodologia simile di studio. Si stimava, infatti, che uno su cinque adulti bianchi con un indice medio di massa corporea dai venticinque ai 28 kg / m2 poteva avere un AHI equivalente a cinque o superiore, come in caso di malattia lieve, e uno su quindici di quindici o superiore, come per una patologia moderata. Inoltre, nei paesi occidentali fino al 5% degli adulti aveva probabilmente la sindrome dell’apnea ostruttiva del sonno.
I dati longitudinali della Wisconsin Sleep Cohort mostravano, invero, che tra le persone con apnea ostruttiva del sonno lieve con AHI da cinque a quindici di base l’aumento del peso corporeo del 10% comportava un rischio di sei volte maggiore per lo sviluppo dell’apnea ostruttiva del sonno moderata o severa e una variazione dell'1% del peso prediceva un concorde cambiamento del 3% nell’AHI. Il meccanismo alla base di tutto ciò sarebbe stato collegato, almeno in parte, al restringimento delle vie aeree causato dall'eccesso regionale di grasso. Peraltro, l'associazione tra grandezza della circonferenza del collo e l’ipopnea - apnea sosteneva questa ipotesi. Nei riguardi delle differenze di sesso, la maggiore prevalenza negli uomini dell’OSA trovava spiegazione per un’interpretazione solo parziale nelle influenze ormonali. Le donne in postmenopausa erano, peraltro, riconosciute a maggior rischio di OSA, rispetto a quelle in premenopausa con un effetto migliorativo della terapia ormonale sostitutiva.

In conclusione, il 20% dei caucasici adulti con BMI tra 25 e 28 kg/m2 aveva un indice di apnea ipopnea (AHI) di cinque o superiore e circa il 6% di questi pazienti stessi avevano AHI di quindici o maggiore L’analisi dei sottogruppi mostrava, peraltro, una più forte progressione della malattia nei pazienti obesi dai quarantacinque ai sessanta anni di età, o nei russatori abituali di base. Il sesso, invece, non correlava con la progressione della malattia.

Per altro canto, Paul E. Peppard dell’University of Wisconsin – Madison - USA e collaboratori hanno stimato la prevalenza dei disturbi respiratori nel sonno negli Stati Uniti per i periodi compresi dal  1988 al 1994 e dal 2007 al 2010, utilizzando i dati del Wisconsin Sleep Cohort Study (American Journal of
Epidemiology, 2013, 177, 1006–1014).

le stime della prevalenza dell'AHI e dell'ESS score nel Wisconsin Sleep Cohort Study 1988 - 2011

Lo studio era stato istituito nel lontano 1988 con partecipanti selezionati in modo casuale e arruolati in una popolazione adulta del Wisconsin. Un totale di 1.520 era tra i trenta e i settanta anni di età, disponeva di polisonnografia per la valutazione della presenza dei disturbi respiratori nel sonno e si sottoponeva a studi ripetuti a intervalli di quattro anni. La prevalenza dei disturbi era modellata in funzione dell’età, del sesso e dell’indice di massa corporea. Le stime erano state estrapolate dalle distribuzioni dell’indice di massa corporea degli US, stimate utilizzando i dati del National Health and Nutrition Examination Survey. Fra gli uomini dai trenta ai quarantanove anni le correnti stime di prevalenza dei disturbi respiratori da moderati a gravi, misurati con AHI come eventi / ora ≥ quindici nel sonno, erano il 10% (intervallo di confidenza (IC) 95%: 7, 12).  Tra quelli dai cinquanta ai settanta anni erano il 17% (IC 95%: 15, 21).  Nelle donne tra i trenta e i quarantanove anni erano il 3% (IC 95%: 2, 4) e tra i cinquanta e i settanta il 9% (95% IC: 7, 11).

Questi tassi di prevalenza rappresentavano secondo il sottogruppo un sostanziale aumento nel corso degli ultimi due decenni per gli aumenti relativi tra il 14% e il 55%.

Per loro conto, Xingqi Deng del Center Hospital of Minhang District, Shanghai, China e collaboratori hanno cercato su larga scala nella popolazione un’accurata e credibile correlazione tra il sesso, l’età e l'obesità con la gravità dell’OSA (PLoS ONE (2014) 9(9): e107380).
Gli Autori hanno, così, reclutato 1.975 maschi e 378 femmine in sequenza con OSA. Età, BMI (body mass index), WHR (waist hip ratio), fumo, consumo d’alcol e gravità dell'OSA differivano tra i due sessi. In entrambi i sessi, la BMI e il WHR erano positivamente e quasi linearmente associati alla gravità dell'OSA. L’analisi numerica ristretta Spline cubica di Hermite risultava più efficace dell'approccio di correlazione di Pearson nell’associare l'età con l’AHI. La regressione lineare multipla mostrava che l'aumento dell'età si associava con l’aggravamento dell’OSA nei maschi di quaranta anni e meno e nelle femmine tra i quarantacinque e i cinquantatré. Nei maschi la BMI, il WHR e il diabete erano indipendentemente associati, con modalità specifiche per gruppo di età, con la gravità dell’OSA. Nelle femmine solo la BMI si associava con la gravità dell’OSA a tutte le età.

In conclusione, nei pazienti di sesso maschile la BMI e il WHR si rilevavano fattori di rischio importanti per il peggioramento dell’OSA. L'età e il diabete erano associati con la gravità della malattia nei maschi di particolari età. Nelle femmine, invece, la BMI era anche un fattore di rischio di rilievo per la grave OSA, che aumentava nella fascia tra i quarantacinque e i cinquantatré anni.

In definitiva, come riportato da James F. Pagel dell’University of Colorado su Medscape Education Neurology & Neurosurgery del 28/10/2011, è bene considerare come l’OSA sia presente in più del 60% dei seguenti comuni pazienti visitati nelle cure primarie:

  • Ipertesi che richiedono più di un farmaco.
  • Obesi con IMC (indice di massa corporea) maggiore di 35 kg / m2 o di trenta, ma con alta circonferenza del collo.
  • Malati cardiovascolari, in particolare quelli con insufficienza cardiaca congestizia sia sinistra sia destra, o con pregresso infarto del miocardio, o con fibrillazione atriale.
  • Pazienti con pregresso ictus.
  • Pazienti deceduti durante la guida.
  • Pazienti con dolore cronico in trattamento con farmaci oppiacei.
  • Diabetici, soprattutto se obesi, con insulino-resistenza e / o sindrome metabolica.

L’OSA è anche abbastanza comune tra i pazienti con malattie neurologiche e polmonari croniche e in quelli con depressione. Peraltro, il suo trattamento in questi ultimi pazienti ha dimostrato di apportare un miglior controllo di essi, oltre alla diminuzione della morbilità e della mortalità.

Salienti note storiche sull’OSA (apnea ostruttiva del sonno)

Dalla sua iniziale descrizione di oltre quaranta anni fa L’OSA, caratterizzata dagli episodi ricorrenti di ostruzione completa o parziale delle vie aeree superiori durante il sonno, ha guadagnato progressivo maggiore interesse nel mondo sanitario clinico e in quello di ricerca, ma anche nella popolazione generale.
Pur tuttavia, solo negli ultimi anni si è formata una crescente consapevolezza sulla prevalenza e sul significato clinico dei disordini respiratori nel sonno (DRS) e dei loro effetti su una serie di patologie cardiovascolari, tra cui l'ipertensione, l’insufficienza cardiaca, l’infarto del miocardio, la fibrillazione atriale, il diabete di tipo 2 e la sindrome metabolica. I DRS descrivono, in effetti, un gruppo di malattie caratterizzate da alterazioni della frequenza e/o profondità del respiro durante il sonno. Questi episodi intermittenti, causati dall’ostruzione parziale o completa delle vie aeree superiori, interrompono la ventilazione normale e l'architettura del sonno, determinando la sua scarsa qualità, la sonnolenza diurna e le altre conseguenze cliniche. Pur tuttavia, bisogna considerare che i sintomi particolari dell’OSA, come il russare pesante, scandito da rantoli soffocanti e di solito in combinazione con i comuni sintomi di sonnolenza diurna e la sua correlazione con l’obesità, si ritrovano descritti fin dai tempi più antichi e anche nella Bibbia prima di 2.000 anni fa.

Ippocrate (460-377 a.C.) già nel “de morbis, liber II, sect V” stabilì nel IV secolo a.C. la relazione tra l’obesità e la morte improvvisa, facendo riferimento anche alla difficoltà del respiro di alcuni tipi di sonno. E in effetti, nell’antichità era anche comune la nozione di quanto fosse corta la vita di chi russava a bocca aperta.

Già Claudius Aelianus (235-170 d.C.) nella sua miscellanea “Varia Historia” riportava un quadro sintomatologico di apnea nel sonno e del suo trattamento.

Peraltro, Dionisio di Eraclea, re goloso e obeso del Ponto, era descritto con evidenti difficoltà respiratorie ed era tenuto sveglio con aghi infissi nel corpo per evitare il soffocamento.

Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) ripeteva l’esempio delle prime fonti greco-romane del disturbo, associato principalmente all’obesità, alla sonnolenza e all’affaticamento diurno. In effetti, l’obesità rappresentava la patologia principale, mentre i disturbi del sonno e della respirazione quelli collaterali./p>

Anche in Magas di Cirene (276-250 a.C.), re della dinastia Tolemaica, si descriveva una sintomatologia simile.

Pur tuttavia, solo nel trattato di William Wadd sull’obesità del 1829 e più precisamente nei “Comments on Corpulencia, Lineaments of Leanness, Mems con Diet and Dietetics” si descrivevano le correlazioni tra l’obesità, le difficoltà di respiro e la sonnolenza.

Più tardi nel 1877 W. H. Broadbent descriveva i sintomi dell’apnea del sonno nella rivista “ The Lacent”. Pur tuttavia, sino  a quasi trent’anni fa la malattia passò inosservata come entità d’interesse clinico.

Nel 1890 Silas Weir fece seguito con il suo primo trattato sui disturbi respiratori.

Nel 1898 Walter A. Wells in uno studio pubblicato in “L’American Journal of the Medical Sciences” descrisse il collegamento tra i disturbi del sonno con l’ostruzione delle vie aeree nasali.

Le prime comparse dell’apnea ostruttiva notturna nella letteratura scientifica, comunque, riguardavano i pazienti gravi, comunemente ipossiemici, ipercapnici e con insufficienza cardiaca congestizia.

Solo nel 1956 Burwell CS dell’Harvard Medical School e collaboratori descrissero più sistematicamente l'associazione tra l’ipoventilazione alveolare con l'obesità (Am J Med 1956: 21:811-818).
Gli Autori rivisitarono, in effetti, i dati forniti dalla letteratura riguardanti le manifestazioni cliniche di quest’associazione e presentarono il quadro clinico di un paziente con dimostrazione della fisiopatologia per mezzo dei test di funzionalità polmonare. Inoltre, riportarono il risultato dell'inversione di questi difetti mediante la riduzione del peso. In quest’occasione gli Autori definirono “la sindrome di Pickwick” con i sintomi dell’apnea. Essa, però, fece concentrare l’attenzione della comunità scientifica del tempo quasi esclusivamente sull’obesità dei pazienti, piuttosto che sui loro disturbi respiratori durante il sonno.
E, in effetti, solo le ricerche successive al 1960 stabilirono che l'obesità non era essenziale per l’OSA, ma che intervenivano altre comorbidità associate con i disordini del respiro.

sindrome di Pickwick

A tale proposito, è bene ricordare che il termine usato per definire la sindrome derivava da un romanzo di Charles Dickens, pubblicato nel 1836, il “The Pickwick Papers”. In questo romanzo l’Autore introduceva il lettore a un personaggio, Joe, il ragazzo obeso, assonnato, difficile a risvegliare, con pesante russare e con edemi periferici.

Osler W.- The Principles and Practice of Medicine

Questa descrizione clinica così accurata dell’OSA dell'adulto ispirò il famoso medico William Osler (1849-1919) a coniare il termine di “sindrome di Pickwick” e ad associare inequivocabilmente il russare con l’eccessiva sonnolenza e l’obesità (Osler W.- The Principles and Practice of Medicine, ottava edizione, 1918).

In tale contesto è bene ricordare che Charles Dickens (1812-1870) è stato uno scrittore prolifico con un’influenza così diffusa nella letteratura e nella società. In effetti, continua ancora oggi a essere oggetto di fascino. È stato un acuto osservatore e la descrizione dei suoi personaggi è stata così accurata che molte caratteristiche cliniche dei disturbi respiratori del sonno hanno preceduto di almeno 120 anni quelle della scienza medica.

A tale proposito, Meir Kryger della Yale University School of Medicine, New Haven, CT ha tracciato in un suo articolo le caratteristiche di questo grande scrittore che ha giocato un ruolo così importante nella medicina. In effetti, ha descritto sindromi, ha promosso il trattamento dei bambini, ha contribuito alla creazione d’istituzioni mediche e, cosa più importante di tutte, ha portato la società a faccia a faccia con la realtà e l’umanità dei poveri, del deforme e degli storpi (Clin Sleep Med 2012;8 (3):333-338).

Peraltro, bisogna considerare diverse descrizioni dei particolari della vita di personaggi storici che riconducono alla diagnosi dell’OSA.  Sono, ad esempio, riportate prove storiche negli archivi medici che dimostrerebbero come William Howard Taft, presidente degli Stati Uniti tra il 1909 e il 1913, soffrisse di apnea ostruttiva del sonno in rapporto a sue dichiarazioni che lo accostavano a Joe, il ragazzo di Pickwick. Vi erano, difatti, descrizioni di una tendenza all’eccessiva sonnolenza diurna, di una roncopatia, di un’ipertensione arteriosa sistemica e di un deterioramento cognitivo e psicosociale.

Sir John Falstaff

Ciononostante, uno dei personaggi della letteratura che rifletteva maggiormente i sintomi dell’apnea era, di certo, Sir John Falstaff, protagonista di varie opere del teatro di Shakespeare.  Egli, difatti, era tratteggiato con obesità, con fatica a respirare, con smodatezza nel mangiare e nel bere, con il russare come un cavallo, con sonnolenza di giorno in momenti inopportuni per cui doveva essere sempre svegliato energicamente. Per questo, Falstaff è entrato nella storia dell’apnea, facendo attribuire il nome a un particolare tipo del russare: il “Falstaff snore”, che descrive il russare profondo dei pazienti obesi.

Continuando, comunque, nell’analisi storica dell’OSA si giunge al 1965, quando Henri Gastaut registrò la prima polisonnografia con evidenza delle apnee durante il sonno.

Di lì a poco nel 1970 William Dement istituì presso la Stanford University, California, USA la prima clinica del sonno.

Pur tuttavia, alla fine degli anni ’60 Elio Lugaresi della Bologna University, Italy e collaboratori rilevarono che la maggior parte dei pazienti con OSA avevano una lunga storia di forti russatori e ipotizzarono, così, un legame tra queste due condizioni che confermarono nel 1972 con la polisonnografia (Bull Physiopathol Respir (Nancy). 1972 Sep-Oct; 8 (5):1103-13.).
Nel maggio 1972 Elio Lugaresi, Presidente della Società Italiana di Neurologia, inaugurò a San Marino il primo Convegno Nazionale sui disturbi del respiro nel sonno. Questo si può considerare il primo forum scientifico sulla sindrome dell’apnea-ipopnea del sonno e sulle sue nuove modalità di trattamento. Fino a quel momento l’unica alternativa di terapia che si offriva ai pazienti era, in effetti, la soluzione chirurgica sotto forma della tracheotomia.
Il russamento semplice fu, così, riconosciuto il primo stadio preclinico della malattia, che poteva evolvere nel tempo fino a raggiungere lo stadio quattro o complicato. Questa fase corrispondeva alla già definita sindrome Pickwickiana con ipoventilazione alveolare persistente, anche in veglia, con scompenso cardiaco e con importante sonnolenza diurna.
Elio Lugaresi, neurologo, esperto nei disturbi del sonno e proveniente dal gruppo di Gastaut, s’impose come pioniere riconosciuto e rivoluzionario nella medicina del sonno degli anni '70. Contribuì con importanti studi alla comprensione della fisiopatologia e delle conseguenze della malattia. Per tutto questo la comunità scientifica gli consegnò nel 2004 il prestigioso Prix Interbrew-Baillet de La Sante. Grazie a questo studioso si standardizzarono i problemi di alcune malattie come l’insonnia, la roncopatia cronica, l’apnea ostruttiva del sonno, la sindrome delle gambe senza riposo e l’insonnia familiare grave.

In seguito, nel 1976 Guilleminault C, interessato alle relazioni pubblicate da Elio Lugaresi che avevano dimostrato la presenza dell'ipertensione notturna nei pazienti roncopatici, coniò l’espressione “obstructive sleep apnea syndrome” (OSAS). L’Autore, infatti, con i suoi collaboratori descrisse per la prima volta la malattia in otto bambini (Pediatrics 1976;58 (1):23-30)
Da allora, l’OSAS nei bambini ha riscosso molta attenzione da parte degli studiosi e della ricerca e ora è ampiamente accettata come causa importante di morbilità.
Guilleminault con il suo gruppo fu, quindi, il primo a compiere studi clinici con osservazione del sonno, così come a pubblicare casi concreti di pazienti. Grazie ai loro lavori vi fu la definizione in maniera indipendente della SARVAS (syndrome de haute résistance des voies aériennes supérieures), patologia a metà tra la roncopatia semplice e la sindrome dell’apnea ostruttiva. In virtù di questo lavoro scientifico, la sindrome dell’apnea del sonno diventò, così, un’entità clinica.

Da allora, si sono succedute numerose ricerche pubblicate in letteratura e JE Remmers nel 1978 offrì la dimostrazione che alla base della malattia l’ostruzione delle vie aeree giaceva nell’orofaringe e non nel laringe.
Seguirono, quindi, le prime raccomandazioni terapeutiche consistenti nella tracheotomia che, pur guadagnandosi la proprietà di metodo salvavita, provocava frequenti complicanze post-operatorie a livello dello stoma, come le infezioni e la mancata cicatrizzazione.

Questa pratica chirurgica era, comunque, conosciuta dai tempi antichi e già Marco Aurelio Severino (1580-1656) è citato come uno dei primi studiosi che la utilizzavano per permettere il passaggio dell’aria alle vie aeree ostruite, salvando, così, innumerevoli vite durante l'epidemia di difterite del 1610 a Napoli.

Per precisione, però, fu Lorenz Heister (1683-1758) che stabilì il termine di tracheotomia per un’incisione della trachea.
            Pur tuttavia, furono gli studi di Colin Sullivan in Australia sulle condizioni patologiche respiratorie durante il sonno dei cani che portarono alla preparazione di una maschera idonea a fornire con successo negli animali la quantità di ricambio dell’aria respiratoria.    
Stimolato da queste ricerche, l’Autore nel 1981 introdusse per la prima volta nell’uomo la CPAP (Continuous Positive Airway Pressure), metodo rivoluzionario per la gestione della malattia, che dette impulso all’istituzione di numerosi dipartimenti specialistici dedicati alla diagnosi e terapia dei disordini nel sonno, permettendo, così, i vantaggi considerevoli di oggi a questo tipo di malati (Lancet 1981, 1 (8225): 862-5).
In effetti, Colin Sullivan dimostrò di aver completamente impedito in ciascuna delle cinque pazienti del suo studio l'occlusione delle vie aeree superiori semplicemente aumentando o riducendo il livello di pressione positiva. Pur tuttavia, questo trattamento non fu subito acquisito nella pratica medica e si è dovuto aspettare un periodo piuttosto lungo per osservarne l’applicazione su  vasta scala. Questo anche perché i primi modelli dei dispositivi usati erano ingombranti e rumorosi. Solo in seguito, verso la fine degli anni ottanta, essi furono migliorati divenendo di dimensioni accettabili e, quindi, molto più pratici e utilizzabili per un loro largo consumo.
La CPAP, comunque, durante gli anni è rimasta per lungo tempo l’unica opzione offerta per il trattamento dell’apnea. Negli anni novanta iniziò la comparsa di altri dispositivi, come gli apparecchi per l’avanzamento mandibolare (Orthoapnea). La ricerca, peraltro, è sempre protesa all’immissione di nuove risposte terapeutiche di comprovata efficacia che possano offrire la maggiore tollerabilità e facilità di uso per una sempre maggiore accettazione da parte dei pazienti.

Nel 1988 con l’identificazione del fenomeno delle ipopnee venne introdotta l’espressione “obstructive sleep apnea-hypopnea syndrome” (OSAHS).