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Un antidoto per i nuovi anticoagulanti orali

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Da oltre mezzo secolo il trattamento anticoagulante orale è stato attuato con i farmaci dicumarolici, che agiscono antagonizzando la Vit. K (quelli disponibili in Italiasono Warfarin e Acenocumarolo). Si tratta di farmaci caratterizzati  da costo molto basso, ma che comportano la necessità di frequenti controlli della coagulazione e soprattutto sono gravati da un elevato rischio di interazioni farmacologiche, in gran parte dovute ad interferenze con il CYP2C9, che controlla la biotrasformazione di queste molecole e di un gran numero di altre (almeno 200).

I nuovi anticoagulanti inibitori diretti del fattore Xa offrono il vantaggio di non richiedere controlli di laboratorio e di provocare un rischio molto minore di interazioni, anche se ad un costo molto più elevato. Un grave inconveniente di questi farmaci è però costituito dalla mancanza di un antidoto utilizzabile con facilità in caso di incidenti emorragici (come la Vit. K per i dicumarolici) e dalla necessità di ricorrere ai complessi protrombinici concentrati, di efficacia ancora incerta.

E’ pertanto di notevole interesse la notizia dei buoni risultati ottenuti con Andexanet alfa (PRT 4445, Portola Pharmaceuticals). Si tratta di un fattore Xa modificato ricombinante che agisce come falso bersaglio per gli inibitori diretti di Xa (Rivaroxaban e Apixaban), che si legano ad esso nel sangue circolante. La soppressione dell’azione anticoagulante ottenuta mediante infusione endovenosa protratta (2 ore) è dose-dipendente, immediata (2 minuti), pressoché completa e persistente.

Uno studio di fase 2 su 54 volontari sani trattati con Apixaban, presentato al XXIV Congresso della Società Internazionale dell’Emostasi e della Trombosi svoltosi ad Amsterdam nel luglio 2013, ha confermato l’efficacia del trattamento e ne ha dimostrato una buona tollerabilità. E’ attualmente n corso uno studio di fase 2 su soggetti trattati con Rivaroxaban, mentre altri studi sono in programma.

Il grande interesse per questa molecola è testimoniato dalla sua approvazione come farmaco innovativo da parte della FDA statunitense.

Consumo di noci e letalità totale e causa-specifica

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Nel New England Journal of Medicine del 21 novembre 2013 sono stati pubblicati i risultati di uno studio condotto su due coorti di professionisti sanitari (76.464 donne seguite dal 1980 al 2010 nel Nurses’ Health Study e 42.464 uomini seguiti dal 1986 al 2010 nel Health Professionals Follow-up Study) per un totale di oltre 3 milioni di persone-anno.

Lo studio, nel corso del quale si sono verificati 16.200 decessi tra le donne e 11,229 tra gli uomini,  ha preso in esame il rapporto tra consumo di noci e letalità totale e causa-specifica.

Il consumo di noci è risultato significativamente associato in misura inversa con la letalità in entrambe le coorti; questa associazione è risultata tanto più stretta quanto maggiore era il consumo settimanale di noci. L’associazione inversa è risultata ugualmente significativa per le morti provocate da neoplasia, cardiopatia e malattia respiratoria.

I risultati di questo studio appaiono confermare l’utilità, attualmente discussa, dei PUFA ω-3, data la ricchezza delle noci in acido α-linoleico (ALA), precursore di acido eicosapentaenoico e di acido docosapentaenoico (DPA).

 

Bao Y,  Han J,  Hu  F B & al: Association of Nut Consumption with Total and Cause-Specific Mortality. N Engl J Med 2013:369,2001

Terapia dello scompenso cardiaco. Finalmente Eplerenone disponibile (e rimborsabile) anche in Italia

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Eplerenone, un antagonista selettivo dei recettori per i mineralocorticoidi, è finalmente diventato rimborsabile anche in Italia (Inspra, Pfizer). Il farmaco era stato lanciato sul mercato nel 2005 per il trattamento dei pazienti con scompenso cardiaco post-infarto miocardico, alla dose di 50 mg. Nel febbraio 2012 aveva ricevuto anche l’approvazione per il trattamento dei pazienti con scompenso cardiaco cronico in classe II NYHA, in aggiunta alla terapia standard, e un nuovo dosaggio di 25 mg.

Le indicazioni terapeutiche ora approvate per questa specialità sono le seguenti:

  • per la riduzione del rischio di mortalità e morbilità cardiovascolare in pazienti stabili con disfunzione ventricolare sinistra (LVEF ≤ 40%) ed evidenze cliniche di scompenso cardiaco a seguito di recente infarto del miocardio, in aggiunta alla terapia standard compresi i betabloccanti.
  • in aggiunta alla terapia ottimale standard, per la riduzione del rischio di mortalità e morbilità cardiovascolare nei pazienti adulti con scompenso cardiaco (cronico) in Classe NYHA II e disfunzione sistolica ventricolare sinistra (LVEF ≤ 30%).

Le evidenze scientifiche a supporto delle indicazioni sono robuste. Nello studio EPHESUS (1) l’Eplerenone ha indotto una riduzione significativa della mortalità e morbilità di soggetti infartuati con disfunzione sistolica in classe NYHA III-IV. Nello studio EMPHASIS-HF (2) si è osservata una riduzione significativa di mortalità ed ospedalizzazioni di pazienti affetti da scompenso cardiaco lieve (classe NYHA II) nel gruppo di trattamento attivo con Eplerenone.

      Tali risultati hanno permesso di inserire il farmaco quale trattamento fondamentale nella terapia dello scompenso cardiaco cronico (classe A, livello di evidenza 1) nelle ultime linee-guida della Società Europea di Cardiologia (3) al dosaggio di 25 o 50 mg die.

      I vantaggi rispetto allo Spironolattone sono rappresentati da una netta riduzione degli effetti collaterali di tipo sessuale (soprattutto ginecomastia e mastalgia), mentre invariato rimane il rischio di iperkaliemia.

      Da sottolineare come il farmaco sia prescrivibile in classe A senza obbligo di inserire note AIFA o piano terapeutico.

 

  1. Pitt B, et al. Eplerenone, a Selective Aldosterone Blocker, in Patients with Left Ventricular Dysfunction after Myocardial Infarction. NEJM 2003;348:1309
  2. Zannad F, et al. Eplerenone in Patients with Systolic Heart Failureand Mild Symptoms. NEJM 2011;364:11
  3. McMurray JJV, et al. ESC Guidelines for the diagnosis and treatmentof acute and chronic heart failure 2012. The Task Force for the Diagnosis and Treatment of Acute andChronic Heart Failure 2012 of the European Society of Cardiology.Developed in collaboration with the Heart Failure Association (HFA) of the ESC. Eur Heart J 2012, doi:10.1093/eurheartj/ehs104
Ultimo aggiornamento Giovedì 16 Aprile 2015

Una nuova prospettiva nel trattamento dell’ipercolesterolemia

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La rimozione di LDL-colesterolo dal plasma è operata dai recettori LDL presenti sulla superficie degli epatociti. Per questo motivo tutte le sostanze che interferiscono con la funzione dei recettori LDL possono alterare l’omeostasi del colesterolo. L’enzima  Proprotein Convertase Sutilisin/Lexin type S (PCSK9) è in grado di legarsi ai recettori LDL degradandoli e quindi  inibendone la funzione. L’interesse per questo enzima deriva dall’osservazione che la presenza di mutazioni comportano perdita della funzione di PCSK9 comporta riduzione delle concentrazioni plasmatiche di LDL-colesterolo e minor rischio di malattia coronarica.

Sono stati recentemente pubblicati i risultati di uno studio di fase 1 su 32 volontari adulti ipercolesterolemici. Di questi 24 sono stati trattati con  un RNA interferente nella sintesi di PCSK9 (ALN-PCS) e 8 con placebo. Nei soggetti trattati la concentrazione plasmatica di PCSK9 si è ridotta in media del 70% (p<0,0001)e quella di LDL colesterolo del 40% (p<0,0001.

Sono attualmente in corso studi clinici di fase III volti a stabilire se l’inibizione di PCSK9 sia in grado di ridurre il rischio di malattia cardiovascolare con effetti avversi accettabili.


Fitzgeral K & al, Lancet 2013 Oct 1 (epub ahead of print)

Steinberg D, Witztum JL, Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A. 2009106 (24): 9546            

Mayer G, & al,  J. Biol. Chem. 2008283 (46): 31791.

 Lopez D,  Drug News Perspect 2008. 21 (6): 323–30. 

Prevenzione farmacologica secondaria dell’aterotrombosi: il problema dell’inosservanza

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Le conseguenze dell’inosservanza in terapia farmacologica sono particolarmente gravi nei trattamenti a lungo termine, nei quali l’inosservanza stessa per ovvi motivi è più frequente e meno facilmente rilevabile.

La prevenzione secondaria nei soggetti con malattia aterotrombotica rientra notoriamente fra quelle a rischio di inosservanza, ma l’entità e le conseguenze del fenomeno sono ancora poco note.

Notevole interesse assumono a tal riguardo i risultati di uno studio (REduction on Atherothrombosis for Continued Healt, REACH) condotto su 37.154 pazienti seguiti per 4 anni da 5.587 medici di 44 paesi. E’ stato rilevato che l’inosservanza del trattamento, presente nel 46,7% dei casi all’inizio del periodo di studio e nel 48,2% un anno dopo, si correla strettamente con il rischio di eventi cardiovascolari e con la letalità (p<0,01).

Gli autori commentano queste osservazioni sottolineando la gravità del fenomeno e la necessità di interventi correttivi, primi fra tutti quelli sui comportamenti dei medici curanti.

Kumbhani D & al: Adherence to secondary prevention medications and four-year outcomes in outpatients with atherosclerosis. Am J mED 2013:16,693

Protezione gastrica nei soggetti trattati con Clopidogrel

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Ai soggetti in trattamento con Clopidogrel viene di regola prescritto un inibitore di pompa protonica (IPP) per proteggere la mucosa gastrica.  L’opportunità di adottare questa prevenzione va valutata tenendo conto che tutti gli IPP, oltre a ridurre la biodisponibilità di Clopidogrel  in conseguenza dell’aumento del pH gastrico, sono potenti inibitori dell’isoenzima del citocromo P450 CYP2C19 da cui dipende la trasformazione di Clopidogrel nel suo metabolita attivo e quindi determinano riduzione della sua efficacia antiaggregante (Conrado DJ  & al, Ann NY Acad Sci 2010:1207,134).

Questo problema è stato oggetto di un Expert Consensus Document di tre società mediche statunitensi (ACCF, ACG, AHA) le cui raccomandazioni sono le seguenti: 
La somministrazione di Clopidogrel deve essere accompagnata da quella di un PPI  (con esclusione di Omeprazolo che appare la molecola più interferente) solo nei pazienti vasculopatici ad alto rischio di emorragia digestiva. Nei soggetti a medio rischio può essere prescritto un H2RA, con esclusione di Cimetidina, che più degli altri inibisce CYP2C19. Poiché tutti i PPI e tutti gli H2RA hanno emivita di eliminazione   breve (2-3 ore), l’interazione con Clopidogrel può essere limitata distanziando al massimo l’assunzione dei due farmaci (ACCF/ACG/AHA 2010 Expert consensus document  Am J Gastroenterol)

Ipertensione fattore di rischio neoplastico

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L'ipertensione aumenta il rischio di cancro e ne aggrava la prognosi. Queste le conclusioni del più ampio e completo studio osservazionale sul tema, presentato a Stoccolma.
Circa 290 mila uomini coinvolti e 288 mila donne, tra Norvegia, Austria e Svezia, divisi in cinque gruppi (quintili) a seconda del livello di pressione media, calcolata come la somma di sistolica e diastolica, divisa per due.
I soggetti sono stati seguiti per 12 anni al termine dei quali sono stati contati 22.184 uomini e 14.744 donne con cancro, con 8.724 decessi tra i maschi e 4.525 tra le femmine.
I maschi del quinto quintile, ovvero quelli con la pressione più alta, hanno evidenziato un rischio di sviluppare cancro del 16% rispetto al 13 di quelli del primo quintile, con una mortalità dell'8% rispetto al 5. Per le donne, il rischio di mortalità da tumore è risultato del 5% per il quinto quintile e del 4 per il primo.
«Trattandosi di uno studio osservazionale, non possiamo certo affermare con i nostri risultati che ci sia un legame causa-effetto tra ipertensione e rischio cancro, o che la causa del tumore sia un fattore legato alla pressione sanguigna» dice Mieke Van Hemelrijck, ricercatrice del Cancer epidemiology group al King,s College di Londra. «Certo è, però, che uno stile di vita salutare, che includa attività fisica e dieta equilibrata, ha dimostrato di ridurre l'incidenza di molte malattie croniche. Finora l'ipertensione è stata unanimemente riconosciuta come un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari e ora possiamo dire lo stesso anche per il cancro».
Così Franco Berrino, responsabile del servizio di Epidemiologia dell'Istituto dei tumori di Milano: «Ci sono sempre maggiori evidenze di un legame tra sindrome metabolica e cancro. Grazie a questo importante studio, all'interno del Metabolic syndrome and cancer project, abbiamo un'indicazione in più su come proprio gli stili di vita possano avere ricadute su rischio e prognosi dei tumori». (n.m.)

Doctor News, 29 settembre 2011 

Interazione tra Parossetina e Pravastatina.

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La somministrazione contemporanea di Parossetina e di Pravastatina è responsabile di un aumento della glicemia.

Questa sorprendente interazione risulta da un esame condotto su 12.627 eventi avversi indotti da farmaci registrati dall’Adverse Event Reporting System (AERS) della FDA statunitense. La valutazione retrospettiva eseguita su 104 soggetti diabetici e  135 non diabetici trattati con Parossetina e Pravastina ha dimostrato che la glicemia  a digiuno  aumenta, per effetto della interazione tra questi due farmaci, di 19 mg/dL nei soggetti non diabetici e di ben 48 mg/dL in quelli diabetici.   Per contro, nessuno dei due farmaci, somministrato singolarmente, si è dimostrato responsabile di modificazioni glicemiche.

I risultati della ricerca indicano che l’interazione tra Pravastatina e Parossetina non rappresenta un effetto di classe. Anche se Pravastatina si associa a un lieve aumento della glicemia se somministrata contemporaneamente a ognuno degli altri SSRI, questo aumento non risulta significativo. Analogamente non significativo è risultato l’aumento della glicemia osservato con l’ associazione  di Atorvastatina con Fluossetina e di Rosuvastatina con Sertralina.

Il meccanismo dell’interazione tra Pravastatina e Parossetina non è chiaro.  E’ tuttavia noto che gli effetti pleiotropici delle statine sono mediate dall’inibizione di Rac1, una GTPasi che svolge u ruolo determinante nella traslocazione del trasportatore di glucosio GLUT4, mentre Parossetina interferisce con la ricaptazione della serotonina che, nelle cellule β, è coinvolta nella secrezione di insulina. Questa interpretazione contrasta però con il fatto che l’interazione non sembra essere un effetto di classe né per le statine né per gli SSRI.

Si tratta comunque di una segnalazione che merita di essere tenuta presente nella pratica prescrittiva quotidiana, potendo determinare un rilevante peggioramento del controllo glicemico (Tatonetti NP & al, Clin Pharmacol Ther 2011:90,133).

HbA1c nella diagnosi di diabete

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I consulenti di WHO/IDF hanno reso pubblico nel gennaio 2011 un Abbreviated Report of a WHO Consultation su Definizione e diagnosi di diabete mellito e iperglicemie intermedie.

In questo report vengono fornite le seguenti raccomandazioni  sull’interpretazione dei valori di HbA1c nella diagnosi di diabete:

HbA1c può essere utilizzata come indagine diagnostica per il diabete purché vi sia certezza della qualità dell’analisi e della standardizzazione dei valori in accordo con quelli internazionali.

Un valore di HbA1c di 6,5% è raccomandato come valore soglia per la diagnosi di diabete. Un valore inferiore a 6,5% non esclude il diabete se questo è diagnosticato utilizzando la misurazione delle glicemie.

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