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NOTIZIARIO Febbraio 2010 N°2

A cura di Giuseppe Di Lascio

 

Con la collaborazione di:

Bagalino Alessia, Bauzulli Doriana, Di Lascio Alessandro, Di Lascio Susanna, Levi Della Vida Andrea, Melilli Simonetta, Pallotta Pasqualino, Sesana Giovanna, Stazzi Claudio, Zimmatore Elena

 

IL POTENZIALE RUOLO DELLA VITAMINA “D” NELLA PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE

Prima all'inizio degli anni 90’ pochi consideravano la possibilità che la vitamina “D” potesse essere importante per la salute del cuore. La sua importanza, difatti, è stata per lungo tempo legata al rachitismo, descritto per la prima volta da Whistler D. nel “De morbo puerli anglorum, quem patrio ideiomate indigenae vocant "the rickets" (Journal of History of Medicine 1645; 5:397-415). John Cannell, fondatore del Vitamin D Council, ha permesso, di fatto, la divulgazione delle conoscenze nei meriti grazie all’intuito del rilievo della vitamina non solo nel contesto della salute delle ossa ma ad ampio raggio nell’organismo, indicando la marcata prevalenza del suo deficit nelle popolazioni contemporanee.Nel 1990, il professor Robert Scragg dell'Università di Auckland pubblicò la scoperta sorprendente che le vittime di un attacco di cuore avevano livelli di vitamina D inferiori rispetto ai loro omologhi in buona salute. Il suo team aveva esaminato 179 pazienti colpiti da attacco cardiaco entro dodici ore dall'insorgenza dei sintomi, confrontandoli nello stesso giorno con un gruppo di persone sane, come controllo in termini di età e distribuzione tra i sessi. In particolare nei casi di attacco cardiaco i livelli medi di vitamina erano di 32,0 nano moli per litro (nmol/L), rispetto ai 35,5 nmol/L dei controlli sani. Il rischio di un attacco di cuore fu calcolato essere del 57 per cento più basso con i livelli di vitamina D pari o superiori al livello medio misurato, rispetto ai soggetti i cui i livelli di vitamina D erano inferiori alla media. Questi risultati fornirono già il supporto per l'ipotesi che l'esposizione ai raggi solari rappresenta un’aumentata protezione contro la malattia coronarica. Ulteriori prove sono sopraggiunte nel 2002 dall’Asia Pacific Scientific Forum, promosso dall’American Heart Association. Paul Varosy dell'Università della California a San Francisco presentò, difatti, lo studio in donne di età superiore ai 65 anni, alcune delle quali con supplementazione di vitamina D, riscontrando che ridotti livelli ematici di alcune forme di vitamina D si associavano a un aumentato rischio di attacchi di cuore, senza verificare compiutamente se i supplementi della vitamina potessero influire sul rischio degli eventi.

La produzione di calcitriolo dipende da un adeguato apporto di vitamina D.Dopo la conversione costitutiva a 25 (OH)-vitamina D per opera del fegato, la maggior parte del calcitriolo (calcitriolo ormonale) circolante è compiuta dall’1alfa idrossilasi (CYP27B1) presente nei reni. Numerosi altri tessuti sono anche in possesso di 1 alfa-idrossilasi e appaiono importanti per la produzione locale di calcitriolo a concentrazioni elevate. Il recettore per il calcitriolo, il recettore della vitamina D (VDR), è espresso in quasi tutti i tessuti.Così che quest'ultima forma di produzione di calcitriolo costituisce un classico sistema autocrino paracrino. La produzione locale di calcitriolo può anche essere importante nei tessuti bersaglio come ossa, ghiandole paratiroidi, perché si è dimostrata la presenza di 1 alfa-idrossilasi nelle cellule di questi tessuti.

La produzione di vitamina D3 dal 7-deidrocolesterolo nell'epidermide

L'attivazione del VDR da parte ormonale o di produzione locale di calcitriolo, generalmente, promuove la differenziazione dei tessuti e inibisce la proliferazione. Alcune azioni di regolamentazione del VDR sono anche indipendenti dal calcitriolo.

La produzione di 1,25 (OH)2 D nel rene, strettamente controllata, è stimolata dall’ormone paratiroideo e inibita dal calcio, fosfato e FGF23. Quella extrarenale, come quella nei cheratinociti e macrofagi, sono sotto diversi controlli, stimolata, principalmente, da citochine, come il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF- α) e l'interferone gamma (IFN- γ). La riduzione dei livelli della 1,25 (OH)2 D nelle cellule si ottiene con una diminuzione della produzione o stimolazione del suo catabolismo attraverso l'induzione di CYP24A1, la 24-idrossilasi. La 25 OHD e la 1,25 (OH)2 D sono idrossilate in posizione 24 da questo enzima per formare 24,25 (OH)2 D e 1,24,25 (OH)3 D rispettivamente. Questa 24-idrossilazione è generalmente il primo passo per il catabolismo di questi metaboliti attivi, sebbene la 24,25 (OH)2 D e la 1,24,25 (OH)3 D abbiano la loro attività biologica. Il CYP24A1 è indotto dalla 1,25 (OH)2 D, che serve come un importante meccanismo di feedback per evitare la tossicità della vitamina D. Nei macrofagi il CYP24A1 è mancante o difettoso, salvo che in situazioni particolari come diverse malattie granulomatose, vedi la sarcoidosi in cui la produzione macrofagica di 1,25 (OH)2 D è aumentata, per cui possono verificarsi ipercalcemia e ipercalciuria a causa di elevate concentrazioni di 1,25 (OH)2 D.

Il metabolismo della vitamina D

La vitamina “D”, che può essere somministrata settimanalmente o anche mensilmente perché liposolubile, deriva nel nostro organismo da due fonti: la luce del sole (80%), sotto forma di raggi ultravioletti, e la dieta (20) con alimenti e integratori. Molti tipi di cellule e tessuti hanno recettori per essa e la sua forma attiva è modulata dal calcio e dall’ormone paratiroideo con potenziali effetti a valle su una serie di sistemi corporei come i marker dell’infiammazione, il sistema renina angiotensina. Sotto diversi punti di vista la vitamina “D” può considerarsi effettivamente un ormone, liberato dalla pelle per attività dei raggi ultravioletti del sole, attivato dal fegato e dai reni, con stimolo all’aumento di assorbimento di calcio nell'intestino. Risponde, così, di fatto, alla definizione di un ormone: 1) sostanza chimica, 2) formata in una parte del corpo, 3) trasportata nel sangue in altro organo o di sua parte, 4) con potere di alterare la funzione o la struttura di uno o di molti organi o loro parti.

La 25 OH vitamina “D”, rappresenta la forma di stoccaggio inerte, il suo trasporto avviene tramite la VDBP (Vitamin D binding protein) e l'albumina, la sua conversione in 1, 25 OH vitamina D è determinata dall’alfa 1 idrossilasi per raggiungere i siti specifici in cui si combina con il recettore (VDR). La vitamina “D” e i suoi metaboliti sono trasportati nel sangue anche in forma libera in piccole quantità, mentre il fegato produce VDBP e albumina che possono essere perse in particolari enteropatie o nella sindrome nefrosica. Così che nelle epatopatie, enteropatie o nefropatie, che si traducono in bassi livelli di queste proteine di trasporto, si possono avere bassi livelli totali di metaboliti della vitamina D senza esserne carente, in quanto la loro concentrazione libera può essere normale.

Metabolismo e funzioni della vitamina D

La maggior parte dei tessuti e delle cellule del corpo possiede recettori per la vitamina “D”.

Le sue azioni fisiologiche sono:

  • aumento dell'assorbimento nel digiuno e nell'ileo del calcio e del magnesio,
  • corretta mineralizzazione delle ossa,
  • inibizione della proliferazione della muscolatura liscia vascolare del sistema cardiovascolare con arresto della calcificazione vascolare,
  • regolazione delle citochine pro-infiammatorie,
  • controllo del sistema renina-angiotensina,
  • miglioramento della sensibilità all'insulina,
  • aumento della sintesi proteica e del numero e dimensioni delle fibre muscolari di tipo 2,
  • azione antiproliferativa, immunosoppressiva con effetti di pro differenziazione nella cute,
  • espressione di potenti peptidi antimicrobici e aumento delle possibilità di azione ossidativa dei macrofagi,
  • azione antiproliferativa con pro differenziazione ed aumento dell’apoptosi e diminuzione dell'angiogenesi in specifiche cellule cancerose.

Siti dei recettori della vitamina D

Alcune dimostrazioni confermano, peraltro, che l'uso della luce UVB e della vitamina “D” sono utili per il trattamento della psoriasi e sotto il profilo immunitario si ha dimostrazione che bassi livelli della vitamina comportano un aumento della suscettibilità alla tubercolosi, all'influenza e ad altre infezioni del tratto respiratorio.

Dagli studi effettuati emerge che l’ipovitaminosi “D” può essere considerata una condizione di epidemia silente, molto diffusa, presente in circa un miliardo di persone in tutto il mondo, il 30% sino al 50% della popolazione generale, più frequente negli anziani, nelle donne in età fertile e nei neonati, spesso non riconosciuta dai medici. Più precisamente essa riconosce molteplici cause come l’inadeguata esposizione solare, l’uso di creme e indumenti protettivi solari SPF> = 8, la vita in alta quota e, comunque, con meno tempo negli spazi aperti, la maggiore pigmentazione cutanea, l’invecchiamento per minore precursore nel sangue (età superiore ai 65 anni), la stagione invernale, le latitudini settentrionali superiori a 40°, la diminuzione dell’assorbimento come per postumi di bypass intestinale, il morbo di Crohn, la celiachia, l'allattamento al seno, l’insufficienza epatica, la malattia renale cronica, l’obesità, l’immobilizzazione o l’istituzionalizzazione e la gravidanza e l’allattamento per eccessive necessità, i farmaci (inibitori dell’assorbimento dei grassi e del colesterolo, le statine, steroidi che ne diminuiscono l'emivita, il dilantin, il fenobarbital, la rifampicina che possono tutti indurre gli enzimi epatici P450 ad accelerare il suo catabolismo, l’HAART - highly active antiretroviral therapy). Negli ultimi dieci anni, si è definito anche il rapporto tra carenza di vitamina “D” e rischio di sviluppare diabete mellito (DM) e le sue complicanze. I pazienti in dialisi hanno marcate anomalie nei riguardi della vitamina e ciò ricade anche sui diabetici, che rappresentano quasi il 50% dei pazienti sottoposti a nuova dialisi. A causa della perdita della funzione renale, i pazienti sottoposti a dialisi non sono in grado di produrre adeguatamente calcitriolo con suoi consequenziali livelli molto bassi per cui richiedono supplementazione o analoghi per una profondamente diminuita attivazione del VDR nei tessuti di tutto il corpo.

Wolf M, esaminando pazienti sottoposti a emodialisi, ha trovato che i diabetici presentavano maggiore probabilità di essere gravemente carenti di 25 (OH)-vitamina- D (<10 ng/mL), rispetto ai non diabetici (22% vs 17%) [Kidney Int. 2007;72:1004-1013]. Livelli più bassi di 25 (OH)-vitamina-D e di calcitriolo correlano fortemente con un aumentato rischio di morte durante i primi 90 giorni se non s’interviene con somministrazioni iniettabili di calcitriolo o con un analogo.In conclusione:

  • la fonte della vitamina deriva dalla cute per l’80% e dalla dieta per il 20%,
  • il suo deposito consiste nella 25 OH Vitamina-D3 (Calcidiolo),
  • la sua forma attiva è il 1,25 (OH)2 vitamina- D (calcitriolo),
  • il suo meccanismo d’azione si esplica attraverso i recettori nucleari simili agli ormoni steroidei per l’upregulation dell’espressione genica nelle cellule bersaglio,
  • le funzioni sono soprattutto quelle legate all'assorbimento del calcio nell'intestino per l’efficiente utilizzo del calcio nella dieta.
  • è coinvolta anche nella crescita della cellula, nella sua differenziamento e apoptosi,
  • simula la secrezione di insulina,
  • modula il sistema immunitario,
  • riduce l'infiammazione e lo sviluppo muscolare,
  • è di difesa dei telomeri proponendosi come vitamina della lunga vita.

La sua mancanza si configura generalmente in condizioni di livelli serici dai 12 ai 20 ng/mL (30 - 50 nmol/L), mentre con 20-29 ng/mL s’indicano quelle insufficienti, dai 30 agli 80 ng/mL (75 sino a 200 nmol/L) le adeguate e > 150 ng/mL quelle eccessive. In generale, un supplemento di 100 UI di vitamina “D” il giorno aumenta i livelli ematici di 1 ng/mL, così che chi assume 1000 UI/die, dovrebbe avere livelli serici nella gamma di 25-32 ng/mL e quelli trattati con 4000 UI di 40-50 ng/mL. Da notare, peraltro, che bastano dai cinque ai dieci minuti il giorno di luce solare per i bisogni di vitamina D, senza avere legittime preoccupazioni per il cancro della pelle.

Fonti alimentari di vitamina D

Peraltro, il pesce costituisce una delle sue migliori fonti alimentari per cui, combinando insieme esposizione solare e dieta appropriata, si ottengono i migliori risultati. D’altro canto, è considerato quasi impossibile subire effetti negativi dall’ipervitaminosi D, difatti, i bagnini, che trascorrono intere giornate al sole, presentano, in genere, livelli di vitamina “D” di circa 45-65 ng/mL e l’ipercalcemia non è un problema, con l'eccezione dei casi alla presenza di rare malattie granulomatose.

La vitamina “D”, oltre che aumentare l'assorbimento intestinale del calcio, ridurre i livelli di ormone paratiroideo e migliorare la quantità e la qualità del tessuto osseo, ha un effetto benefico vascolare, proteggendo dall’arteriopatia periferica e dall’infarto del miocardio.La sua carenza può, difatti, aumentare il rischio di malattie cardiovascolari attraverso tre possibili meccanismi:

  • in primo luogo, causando uno squilibrio tra le citochine anti-infiammatorie e pro infiammatorie riducendo l'attività di NF-κB, aumentando la produzione di IL-10, diminuendo l’IL-6, IL-1, l’interferone γ e il TNFα,
  • in secondo luogo, attraverso i recettori specifici delle cellule endoteliali la cui stimolazione inibisce la proliferazione delle cellule,
  • in terzo luogo, attraverso l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone con sviluppo d’ipertensione.

D’altro canto, gli alti livelli di calcitriolo, difatti, riducono l'attività della renina plasmatica, con conseguente riduzione delle concentrazioni plasmatiche di angiotensina II, della pressione arteriosa, dell'infiammazione dell'endotelio vascolare, della progressione dell'aterosclerosi.

Pertanto, livelli adeguati di vitamina “D” sono necessari per una buona salute vascolare. Inoltre, l’1,25-diidrossicolecalciferolo, metabolita attivo della vitamina, si lega con il recettore specifico, attivando il CYP3A4, enzima del sistema del citocromo P450 che metabolizza l’atorvastatina. Pertanto, i livelli bassi di vitamina D possono ridurre l'attività del CYP3A4, aumentando i livelli di atorvastatina e, quindi, aumentandone l’azione. Le statine, efficaci inibitori della HMG-CoA reduttasi, com’è noto, agiscono principalmente riducendo i livelli di colesterolo e di trigliceridi essendo e sono per questo usati, ormai tassativamente, nella prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari.

VITAMINA “D”, CLOPIDOGREL E STATINE

In tale contesto è utile ricordare che sono riportati in letteratura studi sulla riduzione degli effetti dell’atorvastatina per i motivi in precedenza riportati, relativi alla metabolizzazione del precursore clopidogrel in forma attiva, con limitazione dell’attività del prodotto, come considerato per i CCB, calcio antagonisti, e i PPI, inibitori della pompa protonica.

Potenziale influenza della terapia con statine sugli effetti antipiastrinici del CLOPIDOGREL

Inibizione del tasso di ossidazione del CLOPIDOGREL

Lau W.C. e coll. nel 2003 su 44 pazienti hanno verificato un effetto attenuato del clopidogrel a dose di attacco di 300 mg e dose di mantenimento di 75. Stesso risultato è stato descritto da Neubauer e coll. nel 2003 su 47 pazienti alle stesse dosi del farmaco, mentre Mach F. e coll. su 21 pazienti hanno registrato effetto attenuato per la simvastatina ma non per l’atorvastatina. Hockholzer W. e coll. nel 2005 su 1397 non hanno verificato nessun effetto a dosi di 660 mg di attacco e 75 di mantenimento e così pure Mitsios J.V. nel 2004 su 45 con dosi di 375 mg e 75. Serebrauny V.L. nel 2004 su 75 con dosi di 300 e 75, Muller I. nel 2003 su 77 con dosi di 660, Gorchacova O. nel 2004 su 180 con dosi di 600, Smith nel 2004 su 58 con dosi di 300 e 75. Zsamboky e coll. nel 2005 su 48 pazienti hanno verificato un’interazione aumentata a dosi di 300 e 75 e così pure Piorkowski M. e coll. nel 2004 su 49 a dosi di 300 e 75 e Vinholt P. e coll. nel 2005 su 66 a dosi di 75 mg.

Tassi di morte ad un anno per IMA/ICTUS

Nei riguardi dell’effetto clinico relativo alla cosomministrazione dei due farmaci Mukherjee e coll. nel 2005 in uno studio prospettico di una singola coorte di 1651 casi di sindrome coronarica acuta non hanno registrato nessun impatto della statina sul beneficio del clopidogrel e così pure Saw J. nello studio randomizzato e controllato post-hoc CREDO del 2003 su 2116 casi di elezione per PCI e Wienbergen H. e coll. nel 2003 nello studio prospettico multicentrico MITRA PLUS su 1576 soggetti con sindrome coronarica acuta.

Lim M.J. e coll nel 2005 nello studio prospettico multicentrico GRACE su 15.693 soggetti con sindrome coronarica acuta hanno rilevato un effetto sinergico, mentre Brophy J.M. e coll pregiudizievole nel 2005 in una analisi retrospettiva su 2927 casi di elezione per PCI.

Lo studio Charisma

CONDIZIONI CLINICHE ASSOCIATE ALL’IPOVITAMINOSI D

Condizioni cliniche associate all’ipovitaminosi D sono: il rachitismo e l’osteomalacia, le cadute nei pazienti anziani, la fibromialgia, il dolore muscolo scheletrico, refrattario, cronico, aspecifico, l’ipertensione, lo scompenso, il diabete di tipo 1 e 2, la diminuzione della sensibilità all'insulina, la sclerosi multipla e l’artrite reumatoide, il cancro della prostata, del colon-retto, della mammella e dell'ovaio. Il nostro interesse più particolare si basa sugli studi sperimentali su animali che hanno suggerito che la vitamina “D” può svolgere un ruolo diretto nello sviluppo dell’ipertensione e del diabete. D’alto canto più recenti studi indicano che la sua supplementazione a dosi da 700 e 800 UI/die e calcio in anziani carenti può ridurre significativamente l'incidenza di cadute, ma anche il rischio di osteoporosi e di frattura. Peraltro, come già citato, il ridotto apporto di vitamina “D” e calcio è stato associato anche a un aumentato rischio di linfomi non-Hodgkin, del cancro del colon, dell’ovaio, della mammella, della prostata e di altri tipi di cancro per un’attività come un fattore di trascrizione nucleare che regola la crescita cellulare, la differenziazione, l'apoptosi e una vasta gamma di meccanismi cellulari fondamentali per lo sviluppo di neoplasia. Questi effetti possono essere mediati attraverso i recettori della vitamina espressi nelle cellule tumorali. Pur tuttavia, la vitamina “D” non è ora raccomandata per ridurre il rischio di cancro.

La sua supplementazione si associa anche a un minor rischio di malattie autoimmuni. In uno studio finlandese di coorte su 10.821 bambini, la supplementazione di 2000 UI/die ha evidenziato una riduzione del rischio di diabete di tipo 1 del 78%, circa, mentre bambini con rachitismo presentavano rischio tre volte maggiore di diabete tipo 1. In uno studio caso-controllo di sette milioni di militari americani gli elevati livelli circolanti di vitamina “D” erano associati a un minor rischio di sclerosi multipla e associazioni simili sono state descritte per l'artrite reumatoide.

Riguardo al ruolo della vitamina nelle malattie cardiovascolari si ribadisce che la sua carenza attiva il sistema renina-angiotensina-aldosterone, potendo esporre all’ipertensione e all’ipertrofia ventricolare sinistra e, provocando anche aumento dell’ormone paratiroideo, si determina un aumento della resistenza all'insulina secondaria alla down regulation dei recettori dell'insulina, e, quindi, diabete, ipertensione, infiammazione e aumento del rischio cardiovascolare.

I potenziali meccanismi degli effetti antipertensivi della vitamina D

Inoltre, la sua carenza si associa a un aumento di tutte le cause di mortalità nella popolazione generale e di cinque volte del rischio di preeclampsia in gravidanza.

IL CONSUMO APPROPRIATO GIORNALIERO DI VITAMINA “D”

Gli studi suggeriscono che il consumo giornaliero di vitamina “D” dovrebbe essere molto più in alto delle 400 UI/die. Pertanto, assunzioni giornaliere nella gamma dalle 800 alle 1000 UI/die dovrebbero essere fortemente prese considerazione. Anche se ci sono preoccupazioni per quanto riguarda la tossicità della vitamina D, non sono stati riportati, fino ad oggi, effetti indesiderati legati a consumi che superano il limite superiore delle 2000 UI/die. In ogni caso, si dovrebbero incoraggiare le valutazioni seriche dei livelli di vitamina in una gamma più ampia di pazienti. I sintomi, consistenti in nausea, vomito, anoressia, calcificazioni nei reni sarebbero legati all’ipercalcemia. Comunque, va sempre considerata la mancanza di adeguata esposizione solare o l'uso cronico di sua protezione. In uno studio di Boston, l'esposizione delle mani, viso, braccia alla luce del sole dai cinque ai quindici minuti il giorno tra le 11-14 ha dimostrato un adeguato apporto di vitamina. Una dose eritemica minima di 0,5 UVB alle braccia e gambe equivale, di fatto, a 3000 UI di Vitamina “D”.

In caso di dieta carente di Vitamina è utile, di solito, somministrare dalle 1.500 alle 5.000 UI di vitamina D2 per via orale il giorno o 50.000 UI a settimana oppure dalle 10.000 alle 50.000 UI per via intramuscolare il mese. Nel malassorbimento per i grassi è utile somministrare dai 20 ai 30 mcg il giorno e nella cirrosi, sindrome nefrosica, insufficienza renale, resezione gastrica o intestinale, uso cronico di rifampicina, corticosteroidi, anticonvulsivanti, 0,15-0,5 mcg di 1,25 di-idrossivitamina-D il giorno.

Apporti giornalieri di vitamina “D” dalle 800 alle 1.000 UI sono una dose ragionevole per gli adulti per mantenere i suoi livelli > 32 ng/mL (80 nmol/L).

L'AAP (American Academy of Pediatrics) ha raddoppiato la dose raccomandata di vitamina “D” alle 400 UI il giorno per neonati, bambini e adolescenti. Dosi maggiori di 50,000 IU/die si possono associare a ipercalcemia e iperfosforemia.

Nei pazienti con carenza grave di vitamina D occorrono 50.000 UI di vitamina D giornaliere da una a tre settimane, seguite da una dose settimanale di 50.000 UI. Dopo il reintegro delle scorte dell’organismo sono utili, come mantenimento, 800 UI il giorno o 50.000 UI una volta o due volte il mese. La mancanza di esposizione al sole, il malassorbimento, o l’uso di farmaci antiepilettici può richiedere dosi di mantenimento più elevato fino a 50.000 UI da una a tre volte la settimana. Nei pazienti critici, l'albumina, corretta per i livelli di calcio, può sottovalutare l’ipocalcemia vera o ionizzata, pertanto, bisogna misurare il calcio ionizzato, soprattutto nei pazienti delle unità intensive.

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NOTIZIARIO Gennaio 2010 N°1

A cura di Giuseppe Di Lascio

 

Con la collaborazione di:

Bagalino Alessia, Bauzulli Doriana, Di Lascio Alessandro, Di Lascio Susanna, Levi Della Vida Andrea, Melilli Simonetta, Pallotta Pasqualino, Sesana Giovanna, Stazzi Claudio, Zimmatore Elena

 

L'IPERTENSIONE NEI BAMBINI E NEGLI ADOLESCENTI

Notevoli sono i progressi conseguiti nell’individuazione, la valutazione e la gestione dell’ipertensione nei bambini e negli adolescenti, ma lo sviluppo di una normativa di una grande banca di dati nazionali sulla pressione sanguigna con la definizione dei target per tutta l'infanzia, la capacità di identificare i soggetti di queste età con elevati valori di PA si sono realizzati soprattutto in USA. Sulla base dello sviluppo degli studi in tal senso è ormai evidente che l'ipertensione primitiva è rilevabile comunemente anche nei giovani con l’evidenza dei rischi a lungo termine per la salute, ribadendo l’importanza delle misure cliniche da adottare prontamente.Di fatto, sia l'ipertensione sia la preipertensione sono diventati un problema significativo per la salute nei giovani a causa della forte associazione di alta PA con il sovrappeso e di ulteriori fattori di rischio cardiovascolare. In ragione, poi, della forte associazione di apnea notturna con il sovrappeso e l'alta PA bisognerebbe sempre considerare una valutazione almeno anamnestica del sonno.

fig1

In tale contesto, sulla base della JNC 7, si definisce nei bambini:

  • ipertensione come media di PAS e/o PAD maggiore o uguale al 95° percentile per sesso, età e l'altezza su tre o più rilievi.
  • preipertensione come media di PAS e PAD maggiore o uguale al 90° percentile ma inferiore al 95° percentile,
  • come per gli adulti, per gli adolescenti con livelli di BP maggiore o uguale a 120/80 mmHg si dovrebbe considerare la preipertensione,
  • un paziente con livelli di PA sopra il 95° percentile in studio di un medico o in clinica, ma normoteso al di fuori di un ambito clinico, ha ipertensione da camice bianco, rendendosi di solito necessario il monitoraggio ambulatoriale (ABPM) per la diagnosi.

fig2

I soggetti oltre i tre anni, visitati in ambiente medico, dovrebbero essere routinariamente sottoposti a misura della loro PA preferenzialmente con il metodo auscultatorio, mediante un bracciale di adeguate dimensioni rispetto a braccio egli alti valori devono essere confermati in visite ripetute prima di etichettare il soggetto iperteso. Pertanto, le misure ottenute mediante dispositivi oscillometrici che superano il 90° percentile dovrebbero essere convalidate con l'auscultazione.

fig3

PRIME RACCOMANDAZIONI DELL'ESH SULLA IPERTENSIONE DEI BAMBINI

Lurbe E. e coll. del Department of Pediatrics, Consorcio Hospital General, University of Valencia, Spain, nelle premesse che l'ipertensione ha assunto maggiore interesse nei bambini e negli adolescenti grazie ai progressi scientifici, considerando l'onere cardiovascolare da essa determinato, hanno voluto definire le linee guida per migliorare l'identificazione e il trattamento della malattia anche nei pazienti di età ≤ 18 anni, ignorati in precedenza, come annunciato nell'European Meeting on Hypertension del maggio scorso (Journal of Hypertens. 2009;27:1719-1742.). Le nuove linee guida, rivolte soprattutto ai pediatri e ai medici di medicina generale comprendono:

  1. la definizione e classificazione dell'ipertensione;
  2. la diagnostica di valutazione;
  3. le misure di prevenzione;
  4. le prove per la gestione terapeutica;
  5. le strategie terapeutiche e gli approcci a condizioni speciali;
  6. il trattamento dei fattori di rischio associati;
  7. lo screening per le forme secondarie d'ipertensione.

Per il punto (1) gli AA, pur considerando "studio di riferimento" le linee guida nazionali degli Stati Uniti del 2004 in ragione della grande quantità dei dati disponibili in materia d'ipertensione dei bambini e degli adolescenti, sottolineano che i dati dell'US Task Force non si riferiscono a una popolazione europea e che, a tutte le età, i valori di pressione arteriosa sono di alcuni millimetri di mercurio inferiori a quelli misurati con lo stesso metodo auscultatorio in diversi studi europei. Entrambi i riferimenti definiscono la normale pressione arteriosa nei bambini con pressione sanguigna sistolica e pressione diastolica inferiori al 90° percentile per età, sesso e altezza e l'ipertensione con pressione sanguigna sistolica e/o diastolica persistentemente al 95° percentile o superiore, misurate con il metodo auscultatorio in separate occasioni ≥ 3. Bambini con PAS o PAD medie del 90° percentile o più, ma <95° percentile e adolescenti con pressione arteriosa di 120/80 mmHg, anche se inferiore al 90° percentile, sono classificati come aventi pressione del sangue alta-normale. L'obiettivo di pressione è <90° percentile per età, sesso e altezza, mentre <75°nel caso di malattia renale cronica senza proteinuria e <50° con proteinuria. Inoltre, anche se sono scarsi gli studi sullo stile di vita nei bambini su cui si basano le raccomandazioni, il senso comune suggerisce di stimolare l'attività fisica aerobica da moderata a vigorosa. Il trattamento antipertensivo deve considerare la presenza o l'assenza di danno d'organo bersaglio, di altri fattori di rischio o di malattie quali l'obesità, le malattie renali o il diabete mellito. La terapia farmacologica deve, comunque, iniziare alla presenza di danni agli organi bersaglio, d'ipertensione secondaria o di diabete mellito di tipo 1 o 2. Peraltro, studi pediatrici sono stati condotti con un numero limitato di beta-bloccanti, di calcioantagonisti, di ACE-inibitori e di sartani e solo un piccolo studio è stato condotto su un diuretico (clortalidone) nel 1984.

In effetti, il Rapporto 1987 della Second Task Force per il controllo della pressione nell'infanzia ha descritto le regole in tale campo per i bambini e gli adolescenti con la standardizzazione delle misure, raccomandando la sua registrazione in tutti i bambini dai tre anni in su nel corso di cardiomiopatia ipertrofica e di visite urgenti. Nel 1996 sono state pubblicate le nuove tabelle di pressione sulla base dei dati del rapporto della task force 1987, regolate per altezza ed età con stima del percentile di pressione per ragazzi e ragazze di tutte le età. La pressione standard è basata sul sesso, età e altezza per fornire una classificazione precisa in base alle dimensioni del corpo per cui le tabelle in uso ora comprendono il 50°, 90°, 95°, 99° percentile per sesso, età e altezza (con le deviazioni standard).

I danni d'organo sono comuni nei bambini e adolescenti ipertesi e l’ipertrofia ventricolare sinistra ne rappresenta la prova più importante. A tale proposito, i pazienti pediatrici affetti da ipertensione dovrebbe ottenere una valutazione ecocardiografica della massa ventricolare sinistra al momento della diagnosi e in seguito periodicamente. Difatti, la presenza di IVS costituisce un'indicazione d’inizio o di potenziamento della terapia antipertensiva.

Le indicazioni della terapia farmacologica antipertensiva nei bambini si riferiscono all’ipertensione secondaria e alla risposta insufficiente alle modifiche dello stile di vita. I recenti studi clinici hanno ampliato il numero di farmaci indicati per l’età pediatrica, fornendo le utili raccomandazioni di dosaggio per molti di essi. Si conviene d’iniziare con un singolo farmaco nella rosa degli ACE-inibitori, sartani, beta-bloccanti, calcioantagonisti e diuretici. L'obiettivo del trattamento antipertensivo nei bambini è la riduzione della P.A. a valori <95° percentile, a meno di condizioni concomitanti per le quali bisogna raggiungere valori <90° percentile. L’ipertensione grave, sintomatica deve essere trattata con farmaci antipertensivi per via endovenosa.

fig4

fig5

UNA TABELLA SEMPLIFICATA PER LO SCREENING DELLA P.A. NEI BAMBINI ED ADOLESCENTI

Una tabella semplificata, rispetto a quella riprodotta in precedenza per sole esemplificate età, può agevolare lo screening per la pressione del sangue potenzialmente anomala nei bambini e adolescenti. A tal fine David C. Kaelber e coll. del Case Western Reserve University in Cleveland, Ohio, sulle premesse che l’ipertensione e la preipertensione in pediatria sono notevolmente sottostimate per cui, sebbene l'American Academy of Pediatrics e l'American Heart Association raccomandino lo screening pressorio in tutte le visite dai 3 ai 18 anni, quasi il 75% dei casi d’ipertensione e il 90% dei casi di preipertensione rimane non diagnosticata, hanno riportato uno studio per realizzare uno strumento di screening adatto a identificare queste condizioni, sulla base delle tabelle esistenti del Fourth Report on the Diagnosis, Evaluation and Treatment of High Blood Pressure in Children and Adolescents (Pediatrics. 2009;123: e972-e974).

Difatti si deve considerare che:

  • la pressione arteriosa sistolica può variare per lo stesso soggetto da 4,59 mm Hg e la diastolica da 0,39 nel prelievo clinico e ambulatoriale, di 13,95 millimetri Hg e 7,93 tra giorno e notte, anche se rigorosamente misurata da personale ben addestrato, fino a 13,2 mmHg e a 9,6 mmHg
  • La differenza tra i metodi manuali e automatici di misura può essere più grande che 4,39 millimetri Hg per la pressione arteriosa sistolica e di 4,61 millimetri Hg per la diastolica.

Gli AA., pertanto, hanno utilizzato il limite inferiore di altezza, quinto percentile, nella gamma di pressione arteriosa ≥ 90° percentile per una determinata età e sesso e il limite superiore della pressione arteriosa di 120/80 mm Hg, come soglia per una diagnosi di preipertensione o la pressione sanguigna anormale. In tal modo hanno costituito la tabella con una riga per ogni età, con valori di cut off per la pressione sistolica e diastolica per sesso. Ogni riga corrisponde a un anno di vita dai 3 ai 18 anni. L’ultima fila in basso coincide con i soggetti di 18 anni e con gli adulti. Pertanto, la soglia massima di pressione sanguigna normale è 120/80 mm Hg e i più alti valori definiscono la preipertensione, l’ipertensione allo stadio I e allo stadio II. Ad esempio, le soglie di pressione sistolica e diastolica per i maschi di 8 anni sono 107 e 71 mm Hg, e 108 e 71 mmHg rispettivamente per le femmine. La revisione semplificata delle tavole offre il 100% di sensibilità per l’individuazione dell’alterata pressione sanguigna, ma può produrre maggiormente falsi-positivi nel caso di altezza superiore alla media. A tale proposito, però, gli autori fanno rilevare che l’aumentata individuazione dei casi positivi rappresenta una condizione di vantaggio. In tal modo si rimuove l’obbligo del percentile d’altezza con un facilitato screening della pressione arteriosa nei bambini considerando che l'utilizzo di cartelle cliniche elettroniche può sempre migliorare i tassi di rilevazione.

CARTELLA CLINICA ELETTRONICA PER IL RILIEVO DELLA IPERTENSIONE IN PEDIATRIA

Nell’ipertensione in età pediatrica risulta determinante, oltre l'età, qualche altro elemento per valutare il target di normalità per un dato paziente come il peso e l’altezza. Peraltro, il tasso d’ipertensione, rilevato con un supporto clinico decisionale (CDS), è stato di circa 7 volte maggiore di quello prima segnalato nei bambini e negli adolescenti. Tyler Watlington e coll. del Clinical Application Systems at The Children's Hospital in Aurora – Colorado, basandosi su strumenti elettronici per la valutazione clinica hanno cercato di sviluppare una valutazione della preipertensione e ipertensione pediatrica con aiuto alla diagnosi e, successivamente, al trattamento. La prevalenza stimata d’ipertensione nei bambini oggi giorno risulta del 2-3% e uno studio con supporto decisionale clinico di Marguerite ŚWIETLIK, riportato all’American Academy of Pediatrics 2009 National Conference and Exhibitions, ha riportato il 20% nel The Children's Hospital di Aurora, in Colorado.

Le misurazioni della pressione arteriosa di 708 bambini di almeno 3 anni di età, sono state raccolte durante il check-up e successivamente inserite nelle cartelle cliniche elettroniche. 132 bambini, il 19%, sono stati classificati dallo strumento CDS come ipertesi, 475, il 67%, come normotesi e 88, il 13%, come preipertesi. Dei 398 pazienti con misurazioni della pressione sanguigna durante e dopo il periodo di addestramento dello staff con lo strumento CDS, 46, il 12%, era classificato come iperteso, 303, il 76%, come normoteso e 49, il 12%, come preiperteso. Dei 617 pazienti con pressione sanguigna registrata dopo l'avvio della fase di addestramento 89, il 15%, è stato classificato come iperteso. I ricercatori hanno, così, ravvisato che, pur con le dovute cautele, c'è un grande potenziale di questo strumento CDS in aiuto all’identificazione della preipertensione e ipertensione e una guida adeguata al follow -up. La cartella clinica elettronica, pertanto, rappresenta uno strumento che semplifica la definizione dei piccoli pazienti, evitando di cercare la loro altezza percentile e la loro età, e leggere i grafici competenti.

Analizzando, pertanto, i dati di centinaia rilievi di pressione arteriosa normale e anormale in base all'età, sesso e percentile di altezza, i ricercatori hanno messo a punto una tabella molto semplificata, basata solo su età e sesso. Il numero di valori nella tabella semplificata è stato ridotto da 476 a 64 e per ogni anno dai 3 ai ≥ 18 v’è un solo valore di soglia abnorme di pressione sanguigna sistolica e diastolica, per sesso. Tale contenimento facilita l'identificazione dei valori anormali in quasi tutte le impostazioni cliniche o di screening. Questo strumento permette di identificare prontamente e facilmente i bambini e gli adolescenti che meritano un'ulteriore valutazione di pressione per l’esclusione dell’ipertensione. È anche un approccio è ideale al di fuori dello studio medico quando il percentile di altezza (che è richiesta per l'uso delle tabelle in corso) non può essere facilmente ottenibile.

È bene ricordare che la pressione media sistolica a un giorno di età nei neonati a termine è di 70 mmHg con aumento sino a 85 mmHg entro il 1° mese di età. In un'ampia coorte di bambini prematuri, studiati durante le prime 3 - 6 ore di vita, i limiti della pressione sistolica e diastolica erano indipendenti dal peso alla nascita e dall'età gestazionale, ma tendevano a correlarsi con un basso punteggio Apgar e l’ipertensione materna. Studi su neonati prematuri più grandi hanno dimostrato una correlazione significativa tra la PA sistolica e la lunghezza e il peso. Nei bambini più piccoli di un anno la PA sistolica è stata usata per definire l'ipertensione. Da notare, in particolare, che:

  • anche se nei bambini neri la pressione arteriosa ha dimostrato di essere superiore rispetto ai bianchi, le differenze non sono da ritenere clinicamente significative,
  • pertanto, le norme di riferimento in corso nei meriti non fanno distinzione tra i gruppi razziali ed etnici,
  • il braccio destro è preferito per la coerenza e il confronto con le tabelle standard,
  • la pressione sistolica è corrisponde alla comparsa del tono di Korotkoff,
  • la definizione della pressione diastolica è stata modificata ed è ora definita dalla scomparsa dei toni di Korotkoff,
  • il monitoraggio ambulatoriale della pressione (ABPM), diventato uno strumento prezioso nella valutazione e cura dell’ipertensione negli adulti, nei bambini è ben tollerato e riproducibile e si propone, ormai, come strumento utile nella diagnosi d’ipertensione borderline.

Da notare che l’ipertensione secondaria è più comune nei bambini rispetto agli adulti e durante una visita medica bisognerebbe sempre rilevare l’indice di massa corporea, per la forte associazione del sovrappeso, come pure la misura della P.A. in entrambe le braccia e una gamba.

EFFETTI DEL TRAFFICO SULLA PRESSIONE DEI BAMBINI

Wolfgang Babisch e coll. della Federal Environment Agency di Berlino, Germania hanno esaminato l'effetto del rumore del traffico stradale su un campione casuale di 1.048 bambini di età compresa tra 8-14 anni, arruolati dalla German Environmental Survey for Children (GerES IV), effettuata dal 2003 e al 2006 (Sci Total Environ 2009,407, 22,5839-5843). I rilievi più bassi della pressione sanguigna sono stati riscontrati nei bambini la cui stanza era di fronte a una strada a basso traffico, mentre quelli più alti nel gruppo con stanze di fronte ad una strada a elevato volume di traffico. Gli aumenti di pressione, pur non essendo clinicamente significativi al momento, erano tali da poter far prevedere aumenti della pressione sanguigna più tardi nella vita, risultando dannosi per la salute. La differenza di pressione sistolica, tra i bambini esposti a rumore di traffico intenso o molto intenso e a basso traffico, è risultata statisticamente significativa per (1,8 mm Hg, P = .036), ma non per la pressione diastolica (0,5 mm Hg). A breve termine, il rumore si è associato a un significativo aumento di 1,0 mm Hg (P = .004) per la PAS e 0,6 mm Hg (P = .025) per la PAD per ogni incremento di 10 dB (A) del livello di rumore. L'associazione tra il livello di rumore e PAS è stata 1,39 millimetri Hg per 10 dB (A) (P = .001). Peraltro non è stato identificato alcun effetto del rumore sulla frequenza cardiaca.

IPERTENSIONE DA CAMICE BIANCO NON PRIVA DI CONSEGUENZE NEI BAMBINI

Mieczyslaw Litwin e coll. del Department of Nephrology and Arterial Hypertension, The Children's Memorial Health Institute, Warsaw, Poland (JASH, 2009, 3 -6, 416-423), considerando che il significato clinico dell’ipertensione da camice bianco (WCH) rimane ancora incerto, con l'obiettivo di valutare il TOD (danno d'organo bersaglio) nella HTN (ipertensione essenziale) e nella WCH, hanno studiato 183 soggetti dai 5 ai 19 anni non trattati e con esclusione dell’ipertensione secondaria, analizzando retrospettivamente l'indice di massa corporea (BMI) e il monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa (ABPM). L’indice di massa ventricolare sinistra (LVMi) e dello spessore dell’intima-media carotidea (CIMT) sono stati analizzati in un sottogruppo di 106 bambini. La WCH è stata riscontrata in 54/183 bambini (29,5%) che avevano normale pressione arteriosa media (MAP), carico di MAP, e rapporto di MAP giorno/notte. Tuttavia, la media DS ± di LVMi (g/m2.7) era identica sia per i pazienti con HTN sia per quelli con WCH (38,2 ± 10,9 vs 37,0 ± 11,3, p =. 59), ma ha superato il 95° percentile nel 40% della HTN e nel 36% della WCH (NS). La CIMT media è stata significativamente maggiore rispetto al normale, ma non differente tra HTN e WCH, superando il 95° percentile nel 26% della HTN e il 29% della WCH. La WCH è stata riscontrata fino al 30% dei bambini definiti con HTN. I pazienti con WCH presentavano un TOD paragonabile a quello con HTN nonostante BMI simile, PA media e carico pressorio significativamente più bassi e un ben conservato pattern dipping della PA.

BAMBINI IPERTESI SE CON OSSA IN ACCELERATA MATURAZIONE

Pawel Pludowski e coll. del Children's Memorial Health Institute di Varsavia, sulla premessa che per maturazione accelerata ossea s’intende che il tempo della maturità biologica è superiore alla media, hanno voluto esaminare in campione, invero, relativamente piccolo e limitato ai bianchi, l'associazione tra il tasso di maturità biologica e lo sviluppo d’ipertensione primitiva in 54 bambini e adolescenti con nuova diagnosi di malattia confrontati con 54 soggetti sani, appaiati per indice di massa corporea (IMC), l'età, e sesso (Hypertension. 2009;54:1234).

fig6

Nei soggetti sani di controllo, l’età ossea (EO) era 14.7 ± 2.3 anni, non significativamente diversa dalla media di età cronologica (EC) di 14.2 ± 2.1 anni, mentre nel gruppo con ipertensione primitiva si rilevava un’età ossea media di 16,0 ± 2,0 anni, superiore di 1,9 ± 0,9 anni rispetto all’età cronologica media del valore di 14,1 ± 2,0 anni (P <.0001). Rispetto al corrispondente BMI dei soggetti di controllo, il gruppo con ipertensione presentava valori significativamente più elevati con prevalenza di accelerazione della maturazione scheletrica (EO-EC); 37,0% vs 88,9%; χ2 = 31,4, p <.0001).

fig7

Per diversi sottogruppi di BMI z score, in rapporto ai controlli, i valori EO-EC degli ipertesi sono stati superiori a partire da 1,24 anni nel sottogruppo con peso normale (P <.0001), da 1,80 anni nel sottogruppo in sovrappeso (p < .01) e da 1,40 anni nel sottogruppo di obesi (P <.0001). Predittivi dello status di pressione arteriosa dalla normotensione verso le fasi di preipertensione e I e II d’ipertensione sono stati l’EO-EC (β = ,530; P <.001), l’altezza (β = -. 379, p <.01) e l’EC (β = ,298; P <.05; R 2 = .43), sulla base di regressione di analisi. Gli autori dello studio affermano, pertanto, che, indipendentemente dall’IMC, l’avanzata maturazione biologica dovrebbe essere considerata come un marker indipendente per lo sviluppo d’ipertensione.

ESERCIZIO FISICO, PRESSIONE E MARKER DELL’ATEROSCLEROSI NELL’OBESITÀ PEDIATRICA

Nathalie Farpour-Lambert e coll. dell’University Hospitals of Geneva, Switzerland, sulle premesse che non tutti si rendono conto che i bambini obesi sviluppano segni precoci d’ipertensione e di aterosclerosi e che l'attività fisica non è generalmente considerata come un trattamento in età pediatrica, hanno condotto uno studio su 44 bambini con un'età media di poco meno di nove anni, con indice di massa corporea (BMI) superiore al 97° percentile specifico per età e sesso, randomizzati per tre mesi secondo un semplice programma di attività fisica di divertimento insieme ai loro amici per non farli sentire come esclusi e con bassa autostima, che porta generalmente a trascorrere il tempo in casa con attività sedentarie e con maggiore assunzione di cibo (J Am Coll Cardiol 2009; DOI:10.1016). I cambiamenti ottenuti sono stati vicini a quanto riscontrato con programmi multidisciplinari molto intensi.

fig8

Per diversi sottogruppi di BMI z score, in rapporto ai controlli, i valori EO-EC degli ipertesi sono stati superiori a partire da 1,24 anni nel sottogruppo con peso normale (P <.0001), da 1,80 anni nel sottogruppo in sovrappeso (p < .01) e da 1,40 anni nel sottogruppo di obesi (P <.0001). Predittivi dello status di pressione arteriosa dalla normotensione verso le fasi di preipertensione e I e II d’ipertensione sono stati l’EO-EC (β = ,530; P <.001), l’altezza (β = -. 379, p <.01) e l’EC (β = ,298; P <.05; R 2 = .43), sulla base di regressione di analisi. Gli autori dello studio affermano, pertanto, che, indipendentemente dall’IMC, l’avanzata maturazione biologica dovrebbe essere considerata come un marker indipendente per lo sviluppo d’ipertensione.

DANNI COGNITIVI DELL’IPERTENSIONE IN ETÀ PEDIATRICA

Marc Lande e coll. dell’University of Rochester Medical Center, considerando che le facoltà mentali del bambino possono risentire della crescente epidemia dell’obesità e ipertensione, basandosi sul fatto che gli adulti ipertesi hanno spesso problemi cognitivi ma concomitanti a malattie croniche come fumo o alcol hanno studiato 32 soggetti dai 10 ai 18 anni, ipertesi di nuova diagnosi, confrontati con 32 controlli (The Journal of Pediatrics, 2009; 154 (2): 207). Lande ha tratto stimolo a questo studio dopo aver notato una correlazione tra la pressione alta e più bassi punteggi nei test neuro cognitivi in un data set rappresentativo a livello nazionale, NHANES III, il National Health and Nutrition Examination Survey condotto tra il 1988 e il 1994. Anche se il gruppo d’ipertesi ha dimostrato un rendimento non abbastanza scarso da richiedere un intervento clinico, i risultati erano significativamente differenti rispetto al gruppo senza ipertensione. Inoltre, in più della metà dei bambini con ipertensione e obesità si sono dimostrate clinicamente significative l'ansia e la depressione. Gli AA hanno postulato, dietro la scorta dei loro dati, che i cambiamenti cognitivi dimostrati possono, di certo, rappresentare le manifestazioni molto precoci dei danni al cervello dovuti all’ipertensione, che possono precedere di molto quelli più evidenti, come l'ictus. Peraltro, risultati preliminari sembrano suggerire che il trattamento dell'ipertensione nei bambini può migliorare le loro funzioni cognitive ed esecutive, indicando che i cambiamenti cognitivi associati all’ipertensione possono essere reversibili con il trattamento di normalizzare dei valori tensivi.

ANTIPERTENSIVI E ANTIDIABETICI IN CRESCITA VS DECLINO DELLE STATINE IN PEDIATRIA

Joshua Liberman e coll. del CVS Caremark, Hunt Valley hanno valutato tutte le prescrizioni in età pediatrica e adolescenziale del loro istituto dall’1-9-2004 fino al 30 giugno 2007 in una popolazione mensile di bambini, di età compresa tra sei e 18, dai cinque a sei milioni (Arch Pediatr Adolesc Med 2009; 163:357-364).

fig9

Durante tale periodo l'uso d’antipertensivi e antidiabetici, orali e insulina, è aumentato notevolmente, mentre l'uso dei farmaci antidislipidemici è diminuito del 23%. Inoltre l'uso antidiabetici orali sino al 30 giugno 2007 è risultato più elevato del 21,4% tra le ragazze dai 16 ai 18 anni rispetto ai ragazzi, mentre l’uso dell'insulina con un tasso di prevalenza del 15% è stato più alto tra i ragazzi dai 16 ai 18. Il ricorso agli ACE-inibitori è risultato aumentato del 27,7% nelle femmine e del 25,2% nei maschi. Dalla loro analisi gli AA hanno valutato che 175.710 soggetti sono stati trattati, di cui 78.361 con insulina, 23.358 con antidiabetici orali, 79.055 con antipertensivi (30.276 con beta-bloccanti, 24.350 con ACE-inibitori). La realtà è, però, che 150.000 bambini e adolescenti sono negli Stati Uniti diabetici e un numero ancora maggiore - da 1.1 a 2.6 milioni - soffre di pressione alta. Ancor più - sette milioni - potrebbe avere dislipidemia, secondo le previsioni del NHANES III (National Health and Nutrition Examination Survey) e il numero dei bambini che ricevono la terapia farmacologica, non è proporzionato ai dati. Il timore di rabdomiolisi, effetto raro ma potenzialmente fatale, può frenare la prescrizione di statine, peraltro, ancora con qualche controversia sul loro uso nei bambini, anche se le linee guida in vigore, ne raccomandano l’uso dal 1992.

IL RITIRO DELLE SPECIALITÀ CONTENENTI IL PRINCIPIO ATTIVO BENFLUOREX

punto eclamativo

A seguito del comunicato stampa dell’EMEA con raccomandazione di non procedere all’allestimento di preparati contenenti benfluorex, autorizzati per la prima volta nel 1974, è opportuno informare tempestivamente il medico circa le indicazioni dell’EMEA riprese dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). L’Agenzia Europea dei Medicinali ha completato una valutazione della sicurezza ed efficacia del benfluorex e il Comitato dell’Agenzia dei Medicinali per uso Umano (CHMP) ha concluso che i benefici di benfluorex sono inferiori ai rischi, per cui è d’uopo revocare tutte le autorizzazioni alla immissione in commercio dei medicinali contenenti il prodotto. Il benfluorex, consigliato soprattutto nei diabetici in sovrappeso, è usato in associazione ad una dieta appropriata. Migliora l’utilizzazione dell’insulina rendendo le cellule più sensibili ad essa con riduzione della glicemia. Riduce anche la sensibilità alla fame, aumentando la produzione del glicogeno del fegato. La decisione attuale sul farmaco è derivata nel novembre 2009 per il rilievo di diversi casi di valvulopatia cardiaca e d’ipertensione arteriosa polmonare, per cui è bene seguire le seguenti raccomandazioni:

  • i pazienti che usano medicinali contenenti benfluorex devono, prontamente, contattare il proprio medico,
  • i medici devono sospendere il benfluorex, ricorrendo a farmaci alternativi,
  • i pazienti trattati con benfluorex devono consultare il proprio medico che indagherà sulla valvulopatia cardiaca.

Indice generale alfabetico anno 2010

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Adolescenti con bassa vitamina “D” più predisposti ai fattori di rischio CV Marzo 2010
Allarme nube da eruzione vulcanica Aprile 2010
Antipertensivi e antidiabetici in crescita vs declino delle statine in pediatria Gennaio 2010
Architettura del sonno normale Giugno 2010
Attacco di panico e malattia coronarica Luglio 2010
Bambini ipertesi se con ossa in accelerata maturazione Gennaio 2010
Calcio vitamina “D” e DM 2 nel NHS Settembre 2010
Caratteristiche EEG durante il sonno normale Giugno 2010
Carenza di vitamina “D” associata con un aumento della mortalità Marzo 2010
Carenza di vitamina “D”: fattore di rischio per il cuore? Marzo 2010
Cartella clinica elettronica per il rilievo della ipertensione in pediatria Gennaio 2010
Condizioni cliniche associate all’ipovitaminosi D Febbraio 2010
Conseguenze metaboliche del post traumatic stress disorder (PTSD) cronico Agosto 2010
Conseguenze metaboliche della restrizione cronica di sonno Novembre 2010
Correlazione tra disturbo di panico e dolore toracico Luglio 2010
Criteri di diagnosi del disordine di panico dal DDM-IV Luglio 2010
Cumulo medio/die di sonno per età e condizione Giugno 2010
Danni cognitivi dell'ipertensione in età pediatrica Gennaio 2010
Definizione del sonno e suoi modelli antropologici Maggio 2010
Deprivazione del sonno ed espressione emotiva Novembre 2010
Differenze della deprivazione cronica del sonno con l’età Novembre 2010
Diffusione dinamica della felicità nella rete sociale del Framingham Heart Study Novembre 2010
Disturbi d’ansia e cardiopatia Luglio 2010
Disturbi del sonno e suicidio negli adolescenti Ottobre 2010
Disturbi del sonno e tasso di mortalità Novembre 2010
Durata del sonno e rischio cardiovascolare Novembre 2010
Durata del sonno e sensibilità insulinica Novembre 2010
È, dunque, certo il legame della vitamina “D” con le malattie cardiovascolari? Marzo 2010
Effetti del traffico sulla pressione dei bambini Gennaio 2010
Effetti dell'invecchiamento e della menopausa sull’architettura del sonno Ottobre 2010
Effetti metabolici e cardiovascolari degli antipsicotici Agosto 2010
Effetti razziali delle integrazioni di vit. “D” nel DM2 Settembre 2010
Epidemiologia dei disturbi d’ansia Luglio 2010
Esercizio fisico, pressione e marker dell'aterosclerosi nell'obesità pediatrica Gennaio 2010
Eziologia dei disordini d’ansia Luglio 2010
Fonti alimentari della Vitamina “D” Febbraio 2010
Fosforo serico come marker di rischio cardiovascolare Marzo 2010
Gli effetti compulsivo-comportamentali nella cura del parkinson Agosto 2010
Gravidanza, disturbi del sonno ed errori del metabolismo glucidico Ottobre 2010
I bioritmi circadiani di alcune funzioni nell‟uomo Giugno 2010
I cambiamenti del sonno con l‟età Giugno 2010
I differenti stati corticali del sonno NREM e REM Giugno 2010
I disordini d’ansia secondo il NIMH Luglio 2010
I disturbi d'ansia - I^ parte Luglio 2010
I disturbi d'ansia - II^parte Agosto 2010
I potenziali meccanismi antipertensivi della vitamina “D” Febbraio 2010
I processi circadiani nel controllo sogno - veglia Giugno 2010
I supplementi di calcio aumentano il rischio d’infarto? Settembre 2010
I tempi relativi al sonno normale Giugno 2010
Il CARDIA Sleep Study Ottobre 2010
Il ciclo del sonno Maggio 2010
Il ciclo del sonno Giugno 2010
Il consumo appropriato giornaliero di vitamina “D” Febbraio 2010
Il cronotipo del sonno per età e sesso Giugno 2010
Il fumo in gravidanza pregiudica la durata del sonno del nascituro Novembre 2010
Il potenziale ruolo della vitamina “D” nella prevenzione cardiovascolare Febbraio 2010
Il ritiro delle specialità contenenti il principio attivo benfluorex Gennaio 2010
Il salutare cumulo di sonno/die Giugno 2010
Il sogno Giugno 2010
Il sonno alle varie età Giugno 2010
Integratori di calcio e calcium score delle coronarie Settembre 2010
Integratori di vit. “D” e rischio CV Settembre 2010
Integrazioni di calcio/vitamina “D” ed eventi cardiovascolari Marzo 2010
Ipertensione da camice bianco non priva di conseguenze nei bambini Gennaio 2010
Ipovitaminosi “D” e fattori di rischio CV Marzo 2010
Ipovitaminosi “D” e scompenso Settembre 2010
Ipovitaminosi “D” e PAD Settembre 2010
Ipovitaminosi “D” razza e mortalità cardiovascolare Marzo 2010
L'attività del cervello durante il sonno Maggio 2010
L'ipertensione nei bambini e negli adolescenti Gennaio 2010
L'ipnosi Giugno 2010
L'orologio biologico e l'omeostasi sonno-veglia Giugno 2010
La deprivazione del sonno Ottobre 2010
La melatonina e l'actimetria Giugno 2010
La vitamina “D” riduce il lavoro cardiaco? Marzo 2010
Le FASPS e le mutazioni genetiche Giugno 2010
Le forme di stato di coscienza Giugno 2010
Le funzioni del sonno Maggio 2010
le raccomandazioni “ada” 2010 del diabete Aprile 2010
Le relazioni tra sonno e salute Ottobre 2010
Le strutture cerebrali per il sonno e il risveglio Giugno 2010
Le teorie sulle funzioni del sogno Giugno 2010
Legame genetico tra la vitamina “D” e scompenso Marzo 2010
Livelli di vit. “D” e malattia CV Settembre 2010
Livelli di vit. “D” e rischio di malattie cardiometaboliche Settembre 2010
Lo studio MIMS Luglio 2010
Lo studio TIDE Settembre 2010
Lo studio VITAL Marzo 2010
Lo studio WHI CAD Marzo 2010
Maggiore impegno sul prediabete Aprile 2010
Maggiori evidenze sull’aumento di mortalità in carenza di vitamina “D” Marzo 2010
Messaggio utile per il paziente con ansia Agosto 2010
Metabolismo e funzioni della Vitamina “D” Febbraio 2010
Obesità della prima infanzia e brevità di sonno notturno Novembre 2010
Orlistat venduto senza controllo Aprile 2010
Peculiarità dei disturbi del sonno nelle donne Novembre 2010
Perdita di sonno e consumo di droga negli adolescenti Novembre 2010
Percorsi e neurotrasmettitori dell‟attivazione dello stato di veglia Giugno 2010
Postmenopausa, ormoni e qualità del sonno Ottobre 2010
Potenziale Ruolo della Vitamina “D” nella prevenzione CV Settembre 2010
Potenziali meccanismi favorevoli della vit. “D” e calcio nel DM2 Settembre 2010
Prime raccomandazioni dell'ESH sulla ipertensione dei bambini Gennaio 2010
Principi di cura dell'ansia e dell'attacco di panico Agosto 2010
Privazione di sonno, spia di sonnambulismo Novembre 2010
Quali soglie di vitamina “D” per la stratificazione del rischio cardiovascolare? Settembre 2010
Regolazione de sonno/veglia da parte dei fattori omeostatici e circadiani Giugno 2010
Revisione degli studi più recenti su 25 (OH) D e pressione arteriosa Marzo 2010
Revisione delle linee guida per la diagnosi e lo screening del diabete Aprile 2010
Rischio di diabete e livelli di vit. “D” Settembre 2010
Separazione genitoriale ed attacchi di panico Luglio 2010
Sforzi per la perdita di peso vanificati dal poco sonno Novembre 2010
Sindrome metabolica: Definizione al capolinea? Aprile 2010
Siti recettoriali della Vitamina “D” Febbraio 2010
Sonno, apporto calorico, insulinoresistenza e IMC in adolescenti Novembre 2010
Sonno e salute: i disturbi del sonno Ottobre 2010
Specialisti consultati per l’attacco di panico Luglio 2010
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