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notiziario Novembre 2011 N°10 - VITAMINA “D” E MALATTIE CARDIOVASCOLARI - Vit. “D” e infarto del miocardio

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Indice
notiziario Novembre 2011 N°10 - VITAMINA “D” E MALATTIE CARDIOVASCOLARI
Le malattie non trasmissibili nel mondo
Morti globali attribuite ai 19 principali fattori di rischio, in rapporto al livello del reddito dei paesi
Le malattie non trasmissibili in Italia
Tassi di mortalità dai 35 - 74 anni per 100.000 abitanti per malattie cardiovascolari (mcv), malattia coronarica (sca), ictus e decessi totali (dt) in alcuni paesi del mondo
Tasso delle morti per malattie cardiovascolari negli Stati Uniti
Tasso delle morti per malattie cardiovascolari in Europa
Vit. “D”, arteriosclerosi
Vit. “D” e PAD(arteriopatia ostruttiva periferica)
Vit: “D” e calcificazione (calcium score) coronarica
Vit. “D” e infarto del miocardio
Vit. “D” e scompenso cardiaco
Vit. “D” scompenso e morte cardiaca improvvisa
Vit. “D” e trapianto di cuore
Vit. D, PTH e aterosclerosi carotidea
Vit. “D” e ictus
Tutte le pagine

Vit. “D” e infarto del miocardio

Dal suo canto Edward Giovannucci dell’Harvard School of Public Health, Boston, Massachusetts e collaboratori (Arch Intern Med 2008; 168:1174–1180) hanno valutato prospetticamente più di 18.000 uomini dell’Health Professionals Follow-up Studydi età dai quaranta ai settantacinque anni, senza diagnosi di malattie cardiovascolari al momento della campionatura dei prelievi di sangue, confrontando il basso livello sierico di vitamina (<37,5 nmol / l) con quello più ottimale (> 75 nmol / L). Durante i dieci anni di follow-up, 454 uomini sono andati incontro a un infarto miocardico non fatale o a una malattia coronarica fatale. L'incidenza di eventi cardiovascolari era 2,09 volte maggiore negli uomini con i bassi livelli di vitamina, con una differenza statisticamente significativa. Dopo aggiustamento per le variabili abbinate, i soggetti con deficit di 25 (OH) D (15 ng / mL) dimostravano un aumentato rischio d’infarto miocardico, rispetto a quelli considerati in stato di sufficienza di 25 (OH) D (30 ng / mL) (rischio relativo [RR], 2,42, 95% intervallo di confidenza [IC], 1,53-3,84, p <0.01).

Dopo successivo aggiustamento per la storia familiare d’infarto miocardico, indice di massa corporea, consumo di alcool, attività fisica, storia di diabete mellito e livelli d’ipertensione, etnia, regione, assunzione di omega-3, LDL e HDL, trigliceridi, questa relazione rimaneva significativa (RR 2,09, 95% IC, 1,24-3,54, p = .02). Anche con i livelli intermedi di 25 (OH) D vi era un rischio elevato, rispetto a quelli sufficienti (22,6-29,9 ng / mL: RR, 1,60 [95% IC, 1,10-2,32]; e 15,0-22,5 ng / mL: RR, 1,43 [95% IC, 0,96-2,13], rispettivamente).
In conclusione, la bassa 25 (OH) D corrispondeva a un più alto rischio d’infarto miocardico, in maniera graduale, anche dopo aggiustamento per i fattori noti, associati alla malattia coronarica.

Bryan Kestenbaum dell’University of Washington e collaboratori hanno voluto valutare l’associazione, separatamente e in combinazione, della 25-OHD e del PTH (ormone paratiroideo) con gli eventi cardiovascolari e la mortalità durante i quattordici anni di follow-up del CHS (Cardiovascular Health Study), in rapporto all’evidenza dell’abbastanza comune frequenza dell’insufficienza della prima e dell'eccesso del secondo negli anziani (J Am Coll Cardiol, 2011; 58:1433-1441). Hanno, così, arruolato un totale di2.312 persone senza malattia cardiovascolare al basale, monitorando tutti i casi d’infarto del miocardio, d’insufficienza cardiaca, di morte cardiovascolare e di mortalità per qualsiasi causa. Trecentottantaquattro partecipanti, corrispondenti al 17%, avevano livelli sierici di 25-OHD <15 ng / ml e 570, il 25%, PTH di 65 pg / ml. Dopo aggiustamento, ogni concentrazione di 25-OHD inferiore di 10 ng / ml si associava a un 9% in più (IC (intervallo di confidenza) 95%: 2% al 17%) del rischio relativo di mortalità e a un 25% maggiore (IC 95%: 8% al 44%) rischio relativo d’infarto miocardico. Livelli sierici di 25-OHD <15 ng / ml si associavano anche a un rischio di mortalità del 29% superiore (IC95%: 5% al 55%). D’altro canto, le concentrazioni sieriche di PTH di 65 pg / ml si associavano a un maggiore rischio del 30% d’insufficienza cardiaca (IC 95%: 6% al 61%), ma non di altri esiti. Non era, peraltro, evidente un’interazione tra i livelli sierici di 25-OHD e le concentrazioni di PTH e di eventi cardiovascolari.



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