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notiziario Novembre 2011 N°10 - VITAMINA “D” E MALATTIE CARDIOVASCOLARI - Vit. “D” e ictus

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Indice
notiziario Novembre 2011 N°10 - VITAMINA “D” E MALATTIE CARDIOVASCOLARI
Le malattie non trasmissibili nel mondo
Morti globali attribuite ai 19 principali fattori di rischio, in rapporto al livello del reddito dei paesi
Le malattie non trasmissibili in Italia
Tassi di mortalità dai 35 - 74 anni per 100.000 abitanti per malattie cardiovascolari (mcv), malattia coronarica (sca), ictus e decessi totali (dt) in alcuni paesi del mondo
Tasso delle morti per malattie cardiovascolari negli Stati Uniti
Tasso delle morti per malattie cardiovascolari in Europa
Vit. “D”, arteriosclerosi
Vit. “D” e PAD(arteriopatia ostruttiva periferica)
Vit: “D” e calcificazione (calcium score) coronarica
Vit. “D” e infarto del miocardio
Vit. “D” e scompenso cardiaco
Vit. “D” scompenso e morte cardiaca improvvisa
Vit. “D” e trapianto di cuore
Vit. D, PTH e aterosclerosi carotidea
Vit. “D” e ictus
Tutte le pagine

Vit. “D” e ictus

L’ictus, le cui descrizioni risalgono ai tempi antichi di Ippocrate (460-370 aC.), dopo la cardiopatia ischemica e il cancro è la terza causa di morte in Europa. Peraltro, non è importante solo per tale motivo, ma anche per il carico di morbilità e dei costi sanitari molto alti che condiziona, soprattutto a causa degli esiti neurologici. Inoltre, è causa frequente di morte improvvisa e imprevista. In definitiva, l'ictus è una delle principali cause di morbilità e mortalità anche in tutto il mondo, con ampie disuguaglianze epidemiologiche tra l’Europa dell'Est e quella dell’Ovest, probabilmente derivanti dalla differenziale prevalenza dell’ipertensione, più elevata nell’Europa orientale. L'ictus, comunque, in Europa è la più importante causa di morbilità e di disabilità a lungo termine e i continui cambiamenti demografici lasciano presupporre un suo aumento d'incidenza e di prevalenza. Esso, peraltro, rappresenta negli anziani la seconda causa più comune di demenza, la più frequente d’epilessia e porta frequentemente a depressione. L'aggiornamento dell’EUSI (European Stroke Initiative) della prima edizione del 2000 riguarda sia l'ictus ischemico sia il TIA (attacco ischemico transitorio), patologie che, oramai, sono da considerarsi una singola entità. Il concetto “time is brain” s’impone come indicazione prioritaria di assistenza sanitaria e pone l’accento sul trattamento dell’ictus, che deve essere considerato nei termini di un'emergenza, evitando qualsiasi ritardo nocivo alle prime cure.

 Stefan Pilz e collaboratori dell’University of Heidelberg, Germany, attingendo sempre allo studio LURIC (Ludwigshafen Risk and Cardiovascular Health), hanno studiato 3.316 pazienti con misure  della  25-idrossivitamina D e 1,25-diidrossivitamina D, sottoposti a angiografia coronarica. Dopo un follow-up di 7,75 anni, 769 pazienti erano morti, di cui 42 per ictus fatale, di forma   ischemica in 27, emorragica in 8 e di eziologia sconosciuta n 7 (Stroke. 2008 Sep;39(9):2611-3. Epub 2008 Jul 17).

Nel confronto con i sopravvissuti in analisi di regressione logistica binaria, l'odds ratio (con l’IC 95%) per l'ictus fatale era pari a 0,58 (0,43-0,78, p <0,001) per ogni valore di z di 25 (OH) D e 0,62 (0,47-0,81; P <0,001) per ogni valore z di 1,25 (OH) 2D. Dopo aggiustamento per i possibili vari fattori confondenti, queste odds ratio rimanevano significative per la 25 (OH) D a 0,67 (0,46-0,97, p = 0,032) e per l’1,25 (OH) 2D a 0,72 (0,52-0,99, P = 0,047). Valori Z di 25 (OH) D e 1,25 (OH) 2D erano, peraltro, ridotti in 274 pazienti che avevano una storia di precedente malattia cerebrovascolare. Questi risultati permettevano agli autori di concludere che i bassi livelli di 25 (OH) D e di 1,25 (OH) 2D erano indipendentemente predittivi per l’ictus fatale, suggerendo che la supplementazione della sostanza, per i suoi probabili effetti antitrombotici e neuro protettivi, si offrirebbe come approccio promettente per la prevenzione dell’ictus.

Erin Michos della Johns Hopkins University School of Medicine, Baltimore e collaboratori hanno inteso arruolare il 25% dei soggetti di colore dello studio randomizzato, controllato con placebo, VITAL (VITamin D and OmegA-3 TriaL), finanziato dal National Institutes of Health e gestito dall’Harvard Medical School e Brigham and Women's Hospital, che sta valutando se 2000-UI il giorno di vitamina “D” o di olio di pesce, contenente circa 1 g di acidi grassi omega-3, possano ridurre l’incidente di cancro, di malattie cardiache o d’ictus (NHANES III linked mortality files" AHA 2010; Abstract 9478.).  

Già in precedenza, il gruppo della Johns Hopkins e altri ricercatori avevano dimostrato che la carenza di vitamina era un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari, per l’infarto miocardico e per la morte cardiovascolare e per tutte le cause, in modo indipendente dai tradizionali fattori di rischio. Si era anche dimostrata la molto diffusa prevalenza della carenza della vitamina, in modo particolare per le popolazioni nere, con valori dell'80% negli Stati Uniti, tanto da ritenere che si potessero spiegare, così, alcuni degli eccessi di rischio cardiovascolare in questa etnia, rispetto ai bianchi. Pur tuttavia, gli studi, condotti sino a oggi sul rapporto tra vitamina “D” e ictus, hanno interessato solo popolazioni bianche e non i soggetti di colore, in cui sono più frequenti entrambe le condizioni patologiche. Usando la NHANES III (third National Health and Nutrition Examination Survey), come rappresentativo campione trasversale degli adulti statunitensi, i ricercatori hanno arruolato 7.981 adulti bianchi e di colore, senza storia di malattie cardiovascolari e d’ictus. Nella media di quattordici anni di follow-up, si sono verificati 176 decessi totali d’ictus, di cui 116 in bianchi e sessanta in neri. Al basale, i neri presentavano 25 (OH) D molto più bassa rispetto ai bianchi. La carenza di vitamina, definita da valori inferiori ai 15 ng / mL, era presente nel 6,6% dei bianchi vs il 32,3% dei neri.

Pur tuttavia, i neri avevano ancora un più alto tasso d’ictus fatale rispetto ai bianchi, con un aumento del 65% dopo aggiustamento per i vari fattori di rischio, quali età, sesso, istruzione, reddito, indice di massa corporea, fumo, attività fisica, e proteine C-reattiva.

La razza, l’età, il genere o la stagione non determinavano differenze nei livelli di vitamina. La 25OHD media era più bassa nel gruppo del trapianto di fegato, rispetto a quello del cuore (34,4 ± 17,5 vs 47,7 ± 20,7 nmol / L, p <0.03). Tra i trapiantati di fegato il 22% aveva addirittura livelli non rilevabili (<17 nmol / L).

Tali risultati condurrebbero a mantenere alto il grado di attenzione per questa problematica nel trapianto di cuore e ancor più di quello di fegato (Clin Transplant. 2009 Nov-Dec; 23(6): 861–865).



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